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L'aggiunta macrostrutturale tra le due redazioni della Secchia rapita

2 Il genere misto De' ragguagli di Parnaso e della Secchia rapita

4.1 L'aggiunta macrostrutturale tra le due redazioni della Secchia rapita

La secchia rapita è un’opera che conta due redazioni successive:486 la prima

manoscritta in dieci canti, conclusa più o meno verso la fine del 1615,487 e la seconda di

dodici canti, conclusa già nel 1618488 nell’assetto complessivo che avrà della princeps di

Parigi del 1622. La storia redazionale della Secchia è già stata studiata proficuamente da Besomi e Puliatti nelle loro distinte edizioni dell’opera; non è superfluo però indagare le motivazioni che hanno spinto Tassoni ad ampliare il poema e le modalità con le quali questa operazione è stata effettuata. La domanda da porsi è perché il poeta abbia voluto inserire un nuovo episodio in un determinato luogo del poema e con determinate caratteristiche. La risposta, naturalmente, non può essere quella sottaciuta, ma concorde dei critici, secondo la quale Tassoni abbia anticipato e quindi divulgato la prima redazione incompiuta, (che in realtà era già nella sua interezza di dodici canti nella mente del poeta), per la fretta con la quale gli amici gliela chiedevano.489 A mio avviso, con la prima

redazione si può ritenere conclusa una prima spinta creativa: la forma in dieci canti, infatti, non è incoerente o monca in sé, sia perché riprende il modello in dieci canti della

Vita di Mecenate di Caporali, sia perché viene legittimata dal modello eroico tassiano in

venti canti, dimezzandolo come struttura e come visione estetica. Analizziamo quindi la prima redazione, che rimarrà tale fino al 18 novembre 1617, quando Tassoni scriverà al Barisoni: “Son dietro ad aggiungere due altri canti alla Secchia, quali manderò poi a V.S. quando saranno finiti.”490

486 Per la storia editoriale della Secchia rapita si veda A. Tassoni, La secchia rapita e scritti poetici, a cura di P. Puliatti, Panini,

Modena 1989; A. Tassoni, La secchia rapita. I. La prima redazione, ed. critica a cura di O. Besomi, Antenore, Padova 1987 e La secchia rapita. II. Redazione definitiva, ed. critica a cura di O. Besomi, Antenore, Padova 1990.

487 Se la prima redazione è conclusa nel suo assetto macroscopico verso la fine del 1615, solo dopo quasi un anno di revisioni possiamo

ritenerla pronta per la stampa, e cioè nel novembre del 1616, data in cui Tassoni crede di poter stampare l’opera. Nella lettera del 19 dicembre 1615 al Barisoni, Tassoni afferma di star facendo copiare il poema da un copista: è da ritenere quindi che a quella data l’assetto macroscopico della prima redazione fosse concluso. A. Tassoni, Lettere, a cura di P. Puliatti, Laterza, Roma-Bari 1978, vol. I, num. 297, p. 238.

488 I canti finiti vengono mandati a Barisoni per aggiungerli, insieme alle nuove correzioni, alla prima redazione il 18 settembre del

1618: “Ora venendo il signor Francesco Zabatella per suoi affari costà, non ho voluto lasciar di salutar V.S. con mie lettere per ricordarmeLe servitore. E perché Ella mi scrisse alli mesi passati in materia della Secchia, io mando a V.S. con quest’occasione li due canti aggiunti, i quali vanno dopo il nono e quello che ora è il decimo vuol essere il duodecimo ed ultimo.” A. Tassoni, Lettere, cit., vol. I, num. 419, p. 360.

489 L’affermazione di Tassoni del 16 gennaio 1616: “i canti dovevano esser dodici e si dovea introdurre Pietro d’Abano a condurre

diavoli in favore de’ Modenesi; ma monsignor Querenghi m’ha messa tanta fretta che m’ha fatto finire alli dieci canti” (A. Tassoni, Lettere, cit., vol. I, num. 303, p. 246), va intesa non alla luce dell’ampliamento successivo in dodici canti, bensì, come un progetto diverso che ancora non aveva il suo assetto definitivo, e che lo ha trovato in dieci anche per cause esterne, e cioè per esempio la fretta del Querenghi. L’ampliamento successivo, infatti, non sarà quello dichiarato in questa lettera. Inoltre questo possibile episodio "meraviglioso" su Pietro d'Albano che guida i diavoli da condurre in favore di Modena, ci fa luce sull'idea originaria del poeta di trasformare la struttura tassiana immettendovi materiali eroi-comici come in questo caso quelli che rimandano al Baldus di Folengo.

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La prima redazione narra interamente quelle che sono le vicende della guerra tra Modena e Bologna, dall’antefatto fino alla conclusione della guerra, inoltre presenta, in due luoghi strategici dell'opera, cioè nei canti II e il IX, delle narrazioni fantastico- allegoriche: il concilio degli dèi e una giostra meravigliosa, in linea con il modello tassiano che pone il concilio infernale e la divagazione dell'isola di Armida in posizione speculare.491 La struttura, così, ha in sé un equilibrio geometrico492 che potremmo definire

a cerchi concentrici: dal primo cerchio dei canti esterni I e X, dove viene narrato l’antefatto e la fine della guerra, si passa al secondo cerchio dei canti II e IX che abbiamo detto perlopiù fantastici, poi al terzo dei canti III e VIII di preparazione alla guerra e di tregua militare, dove vi è la chiamata alle armi di re Enzo e le rassegne dell’esercito speculare all'invio di Ezzelino con le sue truppe, fino ad arrivare al nucleo centrale dei canti IV-V e VI-VII, dove sono narrati gli episodi dell’orribil guerra. Si può ritenere, quindi, che la struttura geometrica della prima redazione sia una delle prove dell’organicità e della completezza della prima visione del poema. La difficoltà di riuscire a stampare questa prima redazione, però, si prolungherà nel tempo, tanto che il poeta in un diverso periodo creativo, che sopraggiungerà verso la fine del 1617, e si protrarrà per tutto il 1618, comporrà altri due canti e li inserirà tra il IX e il X canto dell’assetto iniziale. Questi due canti narrano perlopiù un episodio novellistico e da commedia che ha come protagonisti il Conte di Culagna e Titta di Cola e vengono inseriti nel periodo della tregua militare, dopo il canto della giostra. All’interno del primo canto inserito vi è l’episodio di Venere che va a Napoli, per spingere alla guerra Manfredi, fratello di re Enzo imprigionato; episodio che da un lato bilancia la digressione da commedia dei canti, affiancandovi anche qui geometricamente un episodio che ricalca il tema tragico dell’amore incestuoso, dall'altro ricollega la tregua alla fabula guerresca. Dal punto di vista della struttura è possibile riscontrare una trasformazione da una struttura chiusa e regolata, a cerchi concentrici - come dicevamo .-, ad una dove l’elemento accidentale, cioè la digressione dei due canti, ricopre un ruolo centrale e simbolico, e così a mio avviso, ci si posta leggermente dal modello tassiano della narrazione verso il modello ariostesco: non è una casualità il fatto che dopo la giostra in cui vi era in premio uno scudo che raffigurava Martano, l’eroe-comico dell’Ariosto, il poeta inserisca un episodio dove il vincitore di quella giostra, Culagna, diventerà il protagonista di una divagazione che ricalca tra l’altro gli inganni, l’adulterio e le dinamiche, che erano propri dell’episodio ariostesco di Grifone, Origille e Martano. Inoltre il poema raggiunge la forma virgiliana dei dodici canti, ponendosi dal punto di vista strutturale come un dimezzamento dell'opera omerica, legittimando anche da questo punto di vista il verso "Elena trasformarsi in una secchia".

491 Cfr. E. Russo, Guida alla lettura della «Gerusalemme liberata» di Tasso, Editori Laterza, Roma-Bari 2014. In particolare si veda

il capitolo La struttura della Gerusalemme liberata, pp. 50-78.

492 Anche Rinaldi individua una forma a “cornici” nella struttura della Secchia. Cfr. R. Rinaldi, Con cambio secco”. Geometrie del

Tassoni, in Rinascimenti. Immagini e modelli dall’arcadia a Tassoni, Franco Angeli, Milano 2010. L'interpretazione di Rinaldi potrebbe essere ampliata dal confronto delle due redazioni, infatti la struttura calibrata a cornici è riscontrabile, con una precisione da “orologiaio”, solo nella prima redazione in dieci canti; nella seconda redazione in dodici, anche se non viene distrutta completamente, è però deformata con l’immissione di due canti tematicamente, ma non ideologicamente ed esteticamente, distanti dalla guerra eroicomica e in posizione tale da squilibrare leggermente quelle che erano le corrispondenze geometriche dei canti.

143 Il cambiamento di strategia dalla prima alla seconda redazione è comprovato anche dall’assenza di dichiarazioni di Tassoni precedenti al 1617, che faccia pensare ad una ipotesi di ampliamento così come poi è avvenuto; vi è in quel periodo solo una generica dichiarazione sull’ipotesi di inserire alcuni diavoli da condurre in favore di Modena, in linea con la strategia interamente guerresca della prima redazione. Ad avvalorare la tesi di un cambiamento strategico vi è l’evidenza di un cambiamento tematico e stilistico dei nuovi canti, che sembra prodursi come una scrittura di secondo grado, da inserirsi in un luogo ininfluente per la guerra, ma centrale per l’interpretazione, tale da riflettere l’intero poema come era uscito nella sua prima veste manoscritta. Infatti la strategia della seconda redazione della Secchia sembra seguire delle dinamiche che l’uscita della prima redazione manoscritta avevano alimentato nell’ambiente vicino al poeta, giocandoci in maniera ironica e sofisticata, per spiazzare da un lato le attese dei lettori e dall’altro, per complicare quelle che erano le semplificazioni circolanti dopo l’uscita della redazione manoscritta; dando in definitiva anche una nuova struttura al genere eroicomico in dodici canti, appunto.

Il fatto che l’episodio che vede come protagonisti Titta e Culagna non abbia nessun collegamento con la guerra del poema e che ciò nonostante i due personaggi diventino i protagonisti dell’intero poema, sia per quantità di ottave in cui vengono narrate le loro gesta, sia per il valore fortemente simbolico che assumono, ci deve indurre a riflettere su come la visione creativa di questo episodio si ricolleghi alla visione complessiva della

Secchia.

L’azione collettiva della guerra, nella prima redazione in dieci canti, anche se elegge Culagna come rappresentante in negativo del poema -in seguito alla vittoria di una giostra alla rovescia -, e Tiello di Tollo (primo nome di Titta di Cola) come suo vice, non impone una gerarchia qualitativa e quantitativa tra i personaggi tale da poter affermare che vi sia un protagonista dell’intero poema; protagonisti invece che si impongono nei due canti aggiunti e scardinano quelle che erano le certezze della prima redazione, per complicarle, disattenderle, con una profondità che era sconosciuta alla prima redazione. Alla forte caratterizzazione comica del Conte viene ad affiancarsi un’altra forte caratterizzazione quale è quella del personaggio di Titta di Cola, che non è una semplice spalla comica, ma un vero e proprio protagonista comico: un personaggio carico di forti implicazioni poetiche, che riesce sia a moltiplicare la simbolicità del Conte e sia ad inserirsi di diritto a simbolo del poema come co-protagonista dell’intera narrazione. La novità più importante nel passaggiodalla prima alla seconda redazione, sta proprio in questo nuovo personaggio Titta di Cola, che da simbolo statico di cortigiano nel canto della giostra, diventa uno dei protagonisti di tutto l’episodio dei canti inseriti nella redazione che vedrà la stampa.

Uno dei motivi dell’ampliamento in questa direzione borghese e cittadina è dovuto, a mio avviso, proprio alla prima ricezione dell’opera: il personaggio del Conte ha in sé - già nella prima redazione - caratteri fortemente satirici, che suscitarono curiosità tra i primi lettori del poema; Tassoni facendolo protagonista di un nuovo episodio, da un lato connotava ancora di più l’intero poema come una satira legata alla contemporaneità,

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dall’altro alimentava quella curiosità mondana che è uno dei motivi del successo immediato del poema. Affiancando al Conte un personaggio complesso come Titta di Cola, induceva i lettori a chiedersi quale fosse il vero bersaglio del poeta e chi avesse voluto ridicolizzare dietro questo nuovo personaggio. Una dimostrazione della centralità dell’episodio è la riproposizione dell’allegorica vittoria cavalleresca del pavido Culagna nella giostra carnevalesca, nella vittoria in chiave mondana di Titta nel duello con il Conte per insufficienza dell’avversario; la focalizzazione finale su Titta di Cola serve ad eleggere il personaggio a simbolo paritario del Conte per quella che è l’economia paradossale e comica della narrazione.

L’importanza che Tassoni dà a questo episodio è riscontrabile nella corrispondenza con il Barisoni (suo consigliere e curatore), colui che attende ad una possibile stampa padovana dell’opera, che come sappiamo non arriverà mai; scrive a canti conclusi il poeta: “Titta nel testo è l’istesso che ‘l cavalier romanesco descritto nel nono canto, che nel testo di V.S. è nominato con altro nome; ma l’ho mutato in Titta di Cola ed è messo per l’idea d’un romanesco, come il Conte di Culagna è messo per l’dea d’un poltrone. E però non occorre andar fantasticando ch’io abbia voluto intender né questo né quello perché questa è stata la vera mia intenzione: di voler descrivere un zerbino romanesco e un poltrone ambizioso. E V.S. sa che ‘l fine del poeta è di cavare il particolare dal generale, al contrario dell’istorico”.493 Tassoni afferma che la sua intenzione è quella di

inserire un altro personaggio che rappresenti, come il Conte di Culagna, un tipo umano ideale: come il Conte rappresenta un poltrone, così Titta deve rappresentare uno zerbin494

romanesco. Afferma inoltre che entrambi non rappresentano persone reali, negando una possibile satira ad personam, che come abbiamo detto già era largamente circolante soprattutto per quanto riguardava la figura del Conte; ma lo zelo eccessivo mostrato da Tassoni non gioca certo a favore della tesi del carattere puramente ideale dei personaggi.