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Alle soglie e dintorni dei Ragguagl

2 Il genere misto De' ragguagli di Parnaso e della Secchia rapita

2.3 Alle soglie e dintorni dei Ragguagl

Negli scritti di Boccalini è possibile distinguere due tipologie di dediche ai

Ragguagli, la prima è ideale e ideologica ed ha più valore di "Dedica d'esemplare" che

di "Dedica d'opera";238 la seconda è funzionale alla stampa e alla benevolenza dei suoi

superiori, che ritroviamo alle soglie della Prima e Seconda Centuria edite. Dal punto di vista critico le prime hanno un notevole interesse, perché ci forniscono una chiara indicazione del punto di vista politico e ideologico del nostro autore, sciogliendo quelle possibile incongruenze e ambiguità che il testo letterario in forma mascherata può

236 Ivi, p. 9. I pochi uomini con cui Filippo è riuscito in quello che Carlo V ha fallito sono i gesuiti ovviamente. 237 TRAIANO BOCCALINI, cit., p. 1094.

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presentarci. Il fatto che Boccalini abbia inizialmente pensato ad una dedica al Re di Francia Enrico IV,239 ci induce a riconsiderare le possibile fonti del genere che egli ha

sviluppato in stretta relazione con l'ambiente dei politiques francesi e del nuovo corso di tolleranza religiosa e di opposizione alla Spagna praticato durante questa reggenza, oltre ovviamente ad essere emblematico per l'ideologia politica di Boccalini.240 Ritorna così in

evidenza la possibile relazione che vi è tra il tipo di ragguaglio allegorico-satirico praticato dallo scrittore e la relazione satirico-politica della Satyre Ménippée de la Vertu

du Catholicon d'Espagne et de la tenue des Estas de Paris. Inoltre, tale prima dedica ad

un re come poteva essere Enrico IV svuota il carattere ideologico della dedica ai cardinali Scipione Caffarelli Borghese e Bonifacio Caetani, e ci fornisce una possibile accettazione da parte dei suoi dedicatari della posizione politica filofrancese e antispagnola sottesa al testo. La seconda Dedica d'esemplare ideale e politica è verso il re d'Inghilterra Giacomo I, anche in questo caso ci è utile considerarla criticamente, perché ci fornisce il posizionamento politico-ideologico di Boccalini nello scacchiere internazionale in seguito all'uccisione di Enrico IV e suggestivamente avvicina l'opera ad un'altra fonte non italiana dei suoi ragguagli, l'Utopia di More,241 la quale si ricollega ad un'altra fonte come

la Storia Vera di Luciano. Anche in questo caso la presenza di questa dedica, mai andata in stampa, da una parte ci fornisce un punto di vista politico fortemente connotato, dall'altra sminuisce la dedica che di lì a poco uscirà in stampa, anche se nel contempo ci permette di constatare una possibile vicinanza tra il punto di vista dell'Inghilterra di Giacomo I e il signore cardinale a cui l'autore in definitiva dedicherà la sua opera.

Nella Dedica alla prima Centuria dei Ragguagli di Parnaso troviamo un primo assaggio di quale sia, secondo l'autore, la definizione della sua opera:

Quel tempo che avanza alle fatiche de' miei Commentari, che ogni giorno fabbrico sopra gli Annali e le Istorie del prencipe degli scrittori politici Cornelio Tacito, volontieri per mia ricreazione spendo nella piacevole composizione de' Ragguagli di Parnaso; ne' quali, scherzando sopra le passioni e i costumi degli uomini privati non meno che sopra gl'interessi e le azioni de' prencipi grandi, nell'uno e nell'altro soggetto sensatamente mi son forzato dir daddovero.242

Il focus critico auto-interpretativo si concentra interamente su "scherzando" e "dir daddovero" che ci evidenzia i due estremi del genere da lui proposto e cioè un insieme di "scherzi", di rappresentazioni comiche o satiriche, sotto le quali l'autore ha nascosto la realtà, ovvero ciò che egli ritiene vero.

Nella prefazione A chi legge, nei Ragguagli editi nel 1612, Boccalini esordisce con queste parole:

239 Lettera del 28 settembre 1607 Al re di Francia, Enrico IV. TRAIANO BOCCALINI, cit., pp. 821-822.

240 "Nostro Signore Iddio prosperi per molti anni quella vita della Maestà Vostra, nella quale non meno dei Francesi hanno grandissimo

interesse quelli italiani, che ancor vivono liberi dalla crudele e avara servitù de' stranieri e i quali erano per pericolare, se la Maestà Vostra con il suo infinito valore non esaltava se stessa e quel suo floridissimo regno di Francia, che è contrappeso dell'inimici nostri e dal quale l'Italia, ridotta tanto vicina in servitù, riconosce quel poco di libertà che avanza". Ivi, p. 822.

241 "A' nostri giorni Tomaso Moro gran cancelliere dell'Inghilterra lascia il collo sotto la mannaia del suo troppo ingiusto e libidinoso

padrone". Ivi, Commentarii, p. 1073.

67 Co' gnatoni sempre famelici, i quali, benigno lettore, allora che fino alla gola hanno pieno il ventre, e che però grandemente essendo satolli delle vivande condite anco le più esquisite delicatezze, per dar nuovi gusti al palato, fino si sono chimerati i zuccheri bruschi.243

Il termine "gnatoni" non è neutro, ma ha implicazioni letterarie di notevole forza satirica. L'etimologia del termine è "mascella" e lo ritroviamo come nome parlante del servo parassita nell'Eunuco di Terenzio. Tale opera, come ci ricorda Firpo, è stata tradotta in italiano dal Boccalini in gioventù, quasi a rappresentare, simbolicamente, la sua entrata nel Parnaso letterario tanto desiderato. È opportuno riportare la traduzione del passo che caratterizza questo personaggio, fatta dal lauretano:

GNATONE: O Dio immortale! Che gran differenza è tra uomo a uomo e quanto è da più il savio del pazzo! [...] E' passato il tempo degli uomeni dabbene di messer Bartolomeo da Bergamo! Questa nuova età, nella quale fiorisce la compagnia della lesina, è fatta per chi sa ben uccellare e far bene il fatto suo; Gnatone fu il primo che trovò il nuovo arcigogolo da buscarsi buone spese e far sempre tempone. Or odimi: - gli dissi di nuovo - si trova al mondo certa razza d'uomeni che, con tutto che sieno e' più bei barbacani che vadino su per i campanili, vogliono però esser tenuti arcifanfani in tutte le scienze: io, quando m'abbatto in questi pecoroni, non mi contrappongo a loro altramente per non esser da essi schernito, ma spontaneamente gli applaudo e mostro strabiliarmi de' loro ingegni, né tu gli odi dir cosa che io non lodi, e se di nuovo quella stessa cosa bramano, io vo loro a seconda. Se alcuno dice di no, io subito nego, né così presto apre uno la bocca per dir di sì, che io confermo: finalmente ho fatto un commandamento a me stesso, di non contrapormi ad alcuno, e questa è una mercantanzia che rende cento per cento.

PARMENONE: Mira, che fantin di picche! Credi che, se costui avesse per le mani qualcuno di questi semplicioni, che con le sue furberie non lo mandasse in due giorni a' pazzerelli?

GNATONE: [...] Or, quando quel poveruomo morto di fame vede che io son tanto onorato e apprezzato da costoro, mi si buttò ginocchione a' piedi e, con le braccia in croce, mi cominciò a pregare ch'io volessi insegnargli questa mia nuova arte da buscar bene da vivere; io gli risposi, che entrasse nella mia accademia e facesse ogni suo sforzo di imitar le mie virtù, perché io voglio, a somiglianza de' filosofi, e' quali pigliano e' nomi dai loro primi autori, che i parassiti siano chiamati Gnatonici.244

Questo pezzo della traduzione di Boccalini all'Eunuco di Terenzio ci dà la cifra stilistica della prefazione alla sua opera maggiore. Il termine Gnatone non è messo lì a caso, ma rappresenta la prima spia linguistica del carattere satirico dell'opera, la quale vuole essere prima di tutto un dialogo militante con i letterati a lui contemporanei: "È passato il tempo degli uomeni dabbene di messer Bartolomeo da Bergamo!" dice il parassita Gnatone. Boccalini ironicamente chiama ad appello tutti gli Gnatonici, e con una auto-parodia si proclama un seguace di questi "crapuloni", "virtuosi", immettendo già nella prima similitudine un primo paradosso significante tra maschera e verità:

Potrebbe essere cha a Vostra Signoria illustrissima paresse che in alcuni luoghi di questi miei

Ragguagli io troppo avessi parlato oscuro, ma da questo mancamento mi scusa non solo la qualità

infelicissima de' tempi presenti, né quali così sono perseguitati gli scrittori che liberamente dicono il vero, come ne' passati secoli migliori erano puniti gli adulatori.245

L'assimilare i destinatari dell'opera, che in questo caso sono i letterati con l'autore del testo sotto il segno del parassitismo, è la prima maschera-figura dell'opera, che ribalta e carnevalizza uno dei luoghi retorici delle Prefazioni e cioè quella della captatio

243 Ivi, p. 85.

244 Ivi, pp. 901-903.

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benevolentiae.246 Il tema morale dell'adulazione, dell'ipocrisia e dell'ambizione, è forse il

fulcro di questi Ragguagli, e Boccalini ne è ben consapevole quando scrive l'A chi legge, in quanto, inserendo anche se stesso nella schiera, ci fornisce una prima chiave di lettura del testo che rappresenta una maschera comica di servo parassita, che quando sembra adulare ed elogiare in fondo si beffa del suo padrone: "Gnatone fu il primo che trovò il nuovo arcigogolo da buscarsi buone spese e far sempre tempone". Così il riferimento, anche se vogliamo vieto, all'opera come cibo247 e ai letterati come avventori già sazi di

cose più serie, diventa il primo segnale meta-letterario che l'autore ci fornisce su quella che sarà la sua opera. Non è solo un gioco letterario o uno scherzo, ma una presa di posizione estetica di cui bisogna tener conto: se andiamo a fare una piccola ricognizione del termine gnatone nella letteratura a lui precedente, possiamo constatare come quel termine significasse il negativo per antonomasia per il letterato; mentre attraverso la connotazione metaforica di "virtuoso" che egli ha utilizzato, tale termine ci suggerisce il tono dello scritto e la posizione di sfida assunta dall'autore fin dall’inizio.

Un esempio del carattere fortemente ambiguo della maschera ce lo dà Boccalini stesso all'interno della sua opera. Nel Ragguaglio XLIVin questo modo conclude una discussione in Parnaso tra lo storico Batista Platina, "pasticcere di parnaso", e Agostino Nifo, celebre filosofo, il quale lo aveva bastonato per aver messo la sua insegna sopra la sua pasticceria: "- Taci, Platina - disse allora Apollo, - ché a denari in contanti ti hai comprato il male che ti è accaduto; perché l'arma degli uomini onorati e di un filosofo tale quale è il mio dilettissimo Nifo, deve esser venduta nelle librerie, non nelle pasticcerie, dove solo si devono appender quelle dei gnatoni".

Nell'A chi legge la similitudine virtuosi-gnatoni termina con il desiderio di questi di poter gustare degli "zuccheri bruschi".248 Anche questo sintagma è fortemente connotato

stilisticamente e negativamente, rimandandoci alla tradizione burlesca e satirica del Cinquecento, nella quale l'espressione indicava l'accostamento di due cose opposte, da parte di coloro che volevano con ambizione e avidità qualcosa di impossibile. Un esempio di tale connotazione si ritrova in Giovanni Mauro d'Arcano poeta friulano tra i più importanti della tradizione burlesca cinquecentesca, nel Capitolo della Caccia:

Come i soldati male avvezzi in guerra,

246 Come afferma Genette nel descrivere I temi del perché nelle Prefazioni: "Questa tecnica si basa su ciò che la retorica latina chiamava

captatio benevolentiae, e la cui difficoltà non veniva affatto ignorata: si tratta infatti pressappoco, diremo noi in termini più moderni, di valorizzare il testo senza indisporre il lettore con una valorizzazione troppo immodesta, o semplicemente troppo visibile, del suo autore". G. Genette, Soglie, cit., p. 195.

247 Cfr. Macrobio: "Io pure affiderò alla penna le mie ricerche provenienti da diverse letture, in modo che riescano convenientemente

ordinate nello scritto. Infatti le cose ben classificate si ricordano meglio, e la classificazione stessa, non disgiunta da una specie di lievito che come condimento dà il tono a tutta l'opera, amalgama i vari ingredienti in un unico sapore; sicché un passo, se anche si capisce donde fu tratto, tuttavia sembra diverso da come era nel suo contesto. Lo stesso fa la natura nel nostro corpo senza alcun nostro intervento: gli alimenti ingeriti son di peso allo stomaco finché rimangono inalterati e solidi vi fluttuano, ma, non appena interviene una mutazione della loro natura, si trasformano in forza e sangue. Applichiamo lo stesso processo al nutrimento dello spirito: non lasciamo intatto il frutto dei nostri studi, ad evitare che ci resti estraneo, ma cerchiamo di assimilarlo come una sorte di digestione: altrimenti potrà entrare nella memoria, non nello spirito". Macrobio, I Saturnali, Utet, Torino 2013. Prefazione 6-8.

248 Ai letterati più arguti questa espressione nel contesto alimentare allegorico, e nel suo valore satirico, non poteva non ricordare i

famosi passi del Paradiso dantesco, nei quali il poeta fiorentino sembra far descrivere il carattere satirico-purgante del suo viaggio: "[...] «Coscïenza fusca / o de la propria o de l'altrui vergogna / pur sentirà la tua parola brusca. // Ma nondimen, rimossa ogne menzogna, / tutta tua visïon fa manifesta; / e lascia pur grattar dov' è la rogna. // Ché se la voce tua sarà molesta / nel primo gusto, vital nodrimento / lascerà poi, quando sarà digesta. // Questo tuo grido farà come vento, / che le più alte cime più percuote; / e ciò non fa d'onor poco argomento". (Paradiso, XVII, vv. 124-135).

69 Cui non basta alloggiare a discretione,

Che vogliono ancho saccheggiar la terra, Et ciercan cose da muover questione, Cioè zucchero brusco, et dolce agresto, Et dan tratti di corda alle persone,

Tanto che hor per quello, et hor per questo Vengono a voler tutto in una volta, Et in poche parole fan del resto, Così la mala giente avara, et stolta Non contenta di quel, ch’havea a bastanza Ciercò ogni vena de la terra occolta249

In questo passo paradossale, il poeta friulano vuole censurare moralisticamente l'avidità delle persone che non si accontentano di ciò che la natura offre loro e per questo sono la causa della violenza e dell'ingiustizia del mondo; questo tema tra l'altro, nel suo aspetto morale, pacifista ed antimperialista, è centrale nell'opera di Boccalini. L'aspetto interessante del passo boccaliniano è la ripresentazione stilistica in chiave ironica della similitudine di Mauro "Come i soldati" sostituita "Co' i gnatoni", lasciando però sottotraccia la possibile sferzata verso l'avidità e l'ambizione moderna, burlescamente rivendicata, che riemerge solo come spia stilistica nei termini chiave "gnatoni" e "zuccheri bruschi", di esplicita derivazione comica. Un'altra attestazione qualificante è quella che troviamo nella Priapea di Niccolò Franco sonetto 59:

Soldati, ove pensate voi bravare? in campo forse, o forse ov'allogiate, e dove per usanza dimandate fin del zucchero brusco a desinare? Ladri, che ucciso sia senza tardare chi vi dà tanta ladra autoritate, se ben fusse la sacra Maestate, di Misser Carlo che 'l facesse fare. Voi sete i valentuomini, canaglie?

Voi? peroché le braccia, e 'l capo, e 'l petto v'attorniate di ferro e di maglie?

Cancar vi mangi, poiché non l'ho detto: or non son io da più ne le battaglie, se v'entro tutto ignudo, e senza elmetto?250

Anche in questo caso il sintagma ossimorico è funzionale in negativo ad una tirata satirica antimilitarista e forse antispagnola, contro la presenza militare in Italia, visto il

249 G. M. d'Arcano, Della Caccia, vv. 109-120, in F. Jossa, La povera e fallita poesia, ed. critica delle rime di G. M. d'Arcano, tesi di

dottorato discussa a Firenze, relatore Villoresi correlatore Romei, 2014.

250 Cito dall'edizione del XVIII sec., N. Franco, Priapea, in Il Vendemmiatore, poemetto in ottava rima di Luigi Tansillo; e la Priapea,

sonetti lussuriosi-satirici di Niccolò Franco, stampato molto probabilmente a Parigi con la falsa indicazione di stampa: A Pe-King, regnante Kien-long, nel XVIII. secolo, p. 96.

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riferimento a Carlo. Non ho trovato invece alcuna espressione analoga nel Dialogo dell'Aretino come suggerisce nel suo ultimo commento Baldassarri.

La similitudine tra autore-letterato e "gnatone", e "zucchero brusco" e opera, si sposta dalla cucina nel laboratorio dell'alchimista, passando dalla falsificazione del parassita alla falsificazione dell'alchimia:

Onde per dar sempre delicato pasto ai voraci ingegni loro, fino hanno desiderato i zuccheri bruschi di veder nelle altrui nuove e capricciose composizioni meschiato il serio col piacevole: negozio che a' virtuosi così sempre è riuscito difficile, come agli alchimisti il fissare il mercurio: e il desiderio intenso che gli ambiziosi scrittori hanno di far acquisto della pubblica lode, non punto essendo inferiore all'ingorda avarizia degli alchimisti, ha cagionato che infiniti di essi più che molto hanno chimerato e sudato per talmente congelare l'instabil mercurio di unir l'utile col dolce, ch'egli stia saldo alla botta del martello di un sodo giudicio che sia inimico della falsa alchimia delle scurrilità.251

Come per la maschera di gnatone, così per quella dell'alchimista il rimando è a tutta quella tradizione cinquecentesca di connotazioni negative; ad iniziare dai sonetti di Niccolò Franco contro Aretino che forse è adombrato in quella "false alchimia della scurrilità", per finire con i "Cervellozzi Alchimisti", Discorso XLIX di Tomaso Garzoni che ce ne offre una esemplare raffigurazione:

Appaiono communemente i Cervellazzi Alchimisti quelli, che con sciocco pensiero tendendo ad alto, vogliono con piccola cosa far cose grandi, con la viltà magnificarsi, con la povertà arricchirsi, con la miseria sublimarsi, con l'infermità acquistare un'ottimo stato di sanità, con la penuria farsi beati, e felici in un momento. Quindi è, che fra' lambicchi, e ampolle vanno distillandosi, lambiccandosi il cervello di continuo, à che modo possino trarsi dalle miserie, e divenire in un tratto fortunati; e, partendo da stato infimo, e vile poggiare con le ali di Dedalo, in un punto fino al cielo.252

Anche per la polisemia, e in questo caso l'ironia, che c'è dietro questo rappresentarsi come alchimista, è possibile rintracciare nello stesso testo di Boccalini le varie accezioni che dà alla maschera nei Ragguagli:

Centuria I

Ragguaglio XIX: "[...] e che il tutto accadeva con molta ragione: percioché, così come non era possibile il dire che quell'infelice che per far l'alchimia si perdeva dietro i fornelli e le bocce, non fosse pazzo da catena, così faceva bisogno confessare che quel prencipe che di uno ignorante suo servidore avendo formato un bue d'oro l'adorava come suo idolo, di necessità fosse matto spacciato per tutte le regole"253

Ragguaglio XLI: "Che nel suo governo si forzasse e "omnia scire, non omnia exequi": perché il pigliar la briga di voler drizzar le gambe a' cani, era un perdere il cervello dietro ad un'alchimia da matti"254

Ragguaglio LII: "A questa replica rispose Apollo ch'egli non negava i meriti infiniti del duca, ma che di già felicissimamente cominciando gli uomini a venir in cognizione della falsa alchimia della milizia e dell'infelice esercizio del soldato, con ammetter il duca in Parnaso non voleva ritornar in maggior riputazione il miserabilissimo rompicollo degli uomini balordi"255

251 TRAIANO BOCCALINI, cit., p. 85.

252 T. Garzoni, Il theatro de' vari e diversi Cervelli Mondani, in Opere di Tommaso Garzoni Da Bagnacavallo, in Venetia, 1617, p.

90.

253 TRAIANO BOCCALINI, cit., p. 129. 254 Ivi, p. 202.

71 Ragguaglio LXXII: "[...] i quali, molto spesso mutandosi, e tutti entrando nel nuovo governo con un ardentissimo zelo di voler nella prima settimana correggere il mondo, svergognano poi loro stessi con la pubblicazione di certi nuovi bandi chimerati da essi e pieni di quelle molte stravaganze, che sogliono uscir da quelli, che, negl'ingegni loro avendo fantasticato concetti nuovi, non sono stati accorti di prima misurarli con quella pratica, che è il saldo martello che altrui fa conoscere l'argento fino dalla falsa alchimia"256

Ragguaglio XC: "Non sai tu che i miei letterati sono quelli che con la penna loro rendono eterno il nome degli uomini militari? e non ti è noto che la gloria che altri si acquista con le armi, quando però elleno non si cingono per la religione e per la difesa della patria, è falsa alchimia, mercatanzia da pazzi disperati? e che la riputazione che gli onorati virtuosi si acquistano con l'esercizio delle buone lettere e con maneggiar la penna, sempre è oro fino di coppella? —"257

Centuria II

Ragguaglio VIII: "[...] nel qual caso il titolo di prencipe, di duca e di marchese non era cosa veramente sostanziale, ma certa falsa alchimia, che molto somigliava quegli occhi di vetro che i guerci portano per