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Alla ricerca di un Principe italiano: scritti storico-politici minori di Alessandro Tasson

187 "E perciò vediamo che una mano di religiosi claustrali (i gesuiti), che oggidì si vantano di esser stati suscitati da Dio per opporsi

alle eresie de’ nostri tempi, servendo agli umori e ai pensieri mascherati di religione di questo cattolico Nembrot (re di Spagna), si sono primieramente arricchiti e fattisi padroni di molte nobilissime entrate, con le quali erigendo tempii e monasteri pomposissimi e convocando a sé con mille loro invenzioni in apparenza sante i poveri popoli, si sono fatti tiranni spirituali delle anime, dei corpi e della robba loro. Questi, in Polonia, in Germani, in Inghilterra, in Portogallo, in Francia, introdottosi per servir a Dio, hanno in un tempo istesso e molto meglio servito al re di Spagna [...]". Ivi, pp. 847-848.

188 "Ma quello che più importa, ecco con le guerre di Fiandra, di Portogallo, d’Inghilterra e oggi della misera Francia snervare questa

e quell’altra provincia delle genti sue per mandarle a morir infelicemente, senza frutto alcuno, né di vittoria, né di reputazione". Ivi, p. 849.

45 1.4.1 Sopra l’editto publicato da Enrico IV (1598)189

Lo scritto appare una risposta, con annessa analisi politica, a coloro che o per "ignoranza" o per "passione" non hanno compreso le motivazioni che hanno spinto Enrico IV a emanare l’editto di tolleranza. L’analisi quindi tende a dimostrare la giustezza di tale provvedimento e il beneficio che può arrecare alla Francia, agli equilibri europei, e alla religione cattolica.

Dopo la similitudine topica tra il sovrano e il medico, che hanno lo stesso compito di sanare il corpo e lo Stato e quindi medicare e risanare le ferite infette dalle malattie e dalle rivolte - in maniera decisa al nascere di tale infezioni e in maniera dolce e subdola quando tali forze infette hanno preso campo -, lo scritto si sofferma e analizza la validità del rimedio dolce attuato dal re di Francia, cioè cercare di sopire le sommosse interne tramite un editto che permetta la pace, e quindi il riassorbimento nello Stato delle istanze sovversive e distruttive, istituzionalizzando la fede cattolica nello Stato senza irritare e opprimere l’"eretica".

La causa della oramai grave malattia francese è individuata nel governo dei re fanciulli e nelle discordie dei prìncipi di Francia, i quali avendo indebolito lo Stato hanno prodotto il nascere delle eresie ed altre turbolenze che si sono manifestate nella prolungata guerra civile. Il testo si sofferma quindi sulla fondatezza storica di tale decisione, riportando esempi della storia passata che attestino il risultato positivo della pacificazione per la sconfitta delle eresie e dei conflitti interni.

Anche l’analisi politica contemporanea dimostra la ragionevolezza di tale decisione pacifica, poiché da un lato ridimensiona la politica ipocrita della Spagna all’interno dello Stato francese, dall’altro toglie un pretesto ai principi che si sono sollevati contro il re solo per metterne in discussione il potere. Lo scritto, per dimostrare la sua tesi, ipotizza le conseguenze di una possibile continuazione militare del conflitto, il quale avvantaggerebbe la Spagna che desidera l’annientamento della potenza francese,190 e

rafforzerebbe i principi eretici, i quali aiutati sia dalla Spagna sia da altre potenze che hanno abbracciato l’eresia, vincerebbero il conflitto. Per raggiungere i propri scopi egemonici la Spagna potrebbe unire militarmente gli stati a lei soggetti contro i francesi oppure continuare a finanziare e sobillare una parte dei francesi contro il re. Questa situazione di aperto conflitto inoltre potrebbe portare la Francia ad indebolirsi tanto da permettere ai territori che hanno abbracciato l’eresia di conquistare posizioni nello Stato. Infatti, la continuazione del conflitto farebbe emergere ancora di più lo stato di frammentazione politica, con l’unica riuscita di un rafforzamento dei prìncipi che hanno abbracciato l’eresia proprio in ragione della loro forza politica. In sintesi, quindi, l’ipotesi della guerra per sconfiggere l’eresia non potrebbe portare altro che lo stipularsi di un nuovo editto, ma questa volta più favorevole agli eretici che ai cattolici.

189 A. Tassoni, Annali e scritti storici e politici, cit., pp. 139-144.

190 "[...] alcuni catolici di nome più che di fatti, alla grandezza de’ quali torna a proposito che la Francia, che sola può loro troncare il

filo di quella possanza che con ogni studio procurano d’avere, sia sempre mai immersa in guerre civili, onde si disunisca e divenga talmente fiacca e debole che non possa far contrasto a quelli che, per l’altrui discordie fatti grandi, vorrebbero signoreggiare il tutto, come per lo passato non hanno mancato di dare denaro agl’ eretici per tener vive le parzialità di Francia". Ivi, p. 140.

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Per tali motivazioni il re ha pensato bene di concedere l’Editto di tolleranza ottenendo [...] il mezzo ch’è più sicuro per scemar gl’eretici, ridurli ad ubidienza e a fede, privarli de’ luoghi che tengono, goder dell’entrate che gli stessi s’usurpano e restituire il suo regno alla pristina gloria e grandezza, e poter vendicarsi de’ suoi capitali nemici e soccorrere gl’amici acciò che non rimanghino oppresso dalla tirannia di chi vorrebbe signoreggiare il tutto, e far sì che gl’ecclesiastici godano le loro entrate.191

Tale editto, per Tassoni, potrebbe porre le basi del ritorno della Francia alla grandezza che gli appartiene, grandezza che potrebbe essere utile anche agli amici italiani e all’Europa nella difesa delle autonomie messe in pericolo dalla tirannia imperiale degli spagnoli; dal punto di vista della religione cattolica, lo stesso editto, regolamentando le pratiche eretiche e mantenendo i benefici ecclesiastici, potrebbe apportare le premesse per un riassorbimento delle eresie per consunzione.

Lo scritto si conclude con un confronto tra i luoghi in cui la pace ha prodotto un riassorbimento delle eresie ed altri dove il conflitto ha messo le basi per la vittoria di esse: si fanno gli esempi di Carlo V che con la sua guerra ha eccitato l’eresia in Germania tanto da costringerlo a concedere l’Interim "il fomento e l’idra delle eresie";192 la Fiandra e

l’Inghilterra che in conflitto con la Spagna hanno abbracciato l’eresia e continuano nella loro opposizione ai cattolici; le terre pacificate, al contrario, hanno visto in breve tempo sopire e annientare l’eresie, come è evidente in varie città europee e italiane.

1.4.2 Filippiche contra gli spagnuoli (1615)

Le due Filippiche tassoniane sono da un lato in stretta connessione agli avvenimenti della guerra del Monferrato, fatta dal duca Carlo Emanuele di Savoia contro il ducato di Mantova, e rispondono ad una militanza politica del modenese a quello che egli riteneva il "primo guerriero d’Europa", ma dimostrano anche una coscienza politica dell’oratore, probabilmente non isolata, che seppur velleitaria (almeno a causa del successivo svolgimento storico), risponde ad analisi politiche pregevoli ed avanzate, in fase embrionale in alcuni passi del testo sull’Editto di Enrico IV prima analizzato, e formalizzate in alcuni pensieri politici che in maniera più teorica e dissimulata ritroviamo nei Pensieri, già ampiamente compilati dal poeta a questa data.

Già dal titolo è possibile riscontrare una volontà retorica-classicista che faccia del testo non solo un messaggio politico legato alla contemporaneità ma anche un modello di oratoria, che sulla scia di altri modelli illustri come Democrito e Cicerone, riesca a muovere l’animo del lettore nobile e letterato fino a divenire simbolo di una condotta politica e morale legata alla grande storia libertaria latina e greca. Lo scritto pare una continuazione della famosa tirata antispagnola che conclude il Principe di Machiavelli:

191 Ivi, p. 142.

192 "Quello di Germania è che dove Carlo V, aiutato dalla maggior parte de’ prencipi allemanni, non poté estirpare l’eresia dal paese

dell’elettore di Sassonia e di Hassen e d’alcune terre franche, sì che o astretto o volontariamente, non so come, concedette l’interim, che fu il fomento e l’idra dell’eresie, a’ nostri dì s’è veduto che la pace ha spente molte voraci fiamme in diversi luoghi poi che ha dato luogo alle dispute e al trattare insieme; [...]". Ivi, p. 144.

47 Non si debba, adunque, lasciare passare questa occasione, acciò che l’Italia, dopo tanto tempo, vegga uno suo redentore. Né posso esprimere con quale amore e’ fussi ricevuto in tutte quelle provincie che hanno patito per queste illuvioni esterne; con che sete di vendetta, con che ostinata fede, con che pietà, con che lacrime. Quali porte se li serrebbono? quali populi li negherebbano la obedienza? quale invidia se li opporrebbe? quale Italiano li negherebbe l’ossequio? A ognuno puzza questo barbaro dominio. Pigli, adunque, la illustre casa vostra questo assunto con quello animo e con quella speranza che si pigliano le imprese iuste; acciò che, sotto la sua insegna, e questa patria ne sia nobilitata, e , sotto li sua auspizi, si verifichi quel detto del Petrarca:

Virtù contro furore

Prenderà l’arme, e fia el combatter corto; Ché l’antico valore

Nell’italici cor non è ancor morto.

Al di là della forma estetizzante, che ne farà uno dei testi simbolo del Risorgimento italiano, è interessante, per la nostra ricognizione storico-politica, far emergere i temi e gli argomenti utilizzati dall’oratore per dimostrare il suo assunto e cioè l’importanza di affiancare il duca Carlo Emanuele contro gli spagnoli per liberarsi dal loro giogo.

1.4.3 Filippica I193

Il primo valore al quale si appella l’oratore è quello dell’"onore", tema classico e fondativo della cultura di Antico regime: ci si chiede retoricamente se "l’accettar promesse di provvisioni e croci e titoli vani" abbia "infettato" e resi servili quegli animi che in altro tempo dominarono il mondo. Il secondo valore è quello di "nazione" e di "patria": anche qui retoricamente l’oratore si chiede perché le altre nazioni possiedono dei popoli che comprendendo il valore dell’unità politica scordandosi delle inimicizie per far fronte a possibili conquistatori, e persino gli animali si legano tra loro per difendersi dagli attacchi, ma solo gli italiani abbandonano le armi italiane per "aderire all’armi straniere per seguitar la fortuna del più potente". Di questi italiani fa quindi una distinzione tra coloro che oramai si sono asserviti completamente al potere e parla dei milanesi e dei napoletani, e coloro che potrebbero seguire il suo ragionamento, poiché anche se per "interesse" o per "timore" combattono come "venturieri" per gli stranieri, in cuor loro biasimano tale potere. Si dimostra che l’"interesse" economico e di titoli è oramai soltanto una vana esca degli spagnoli, i quali "estinte" le miniere dell’India e resi infruttuosi gli stati di Milano e di Napoli, versano in condizioni disastrose tanto da non poter neanche pagare i propri soldati. Anche la paura degli spagnoli, il "timore", è infondata, poiché sebbene Carlo V eroicamente ha conquistato gran parte dell’Italia, i suoi successori hanno così mal gestito il loro Stato e indebolito la loro forza militare, che lo Stato spagnolo appare adesso come un "elefante che ha l’anima di un pulcino", e gli eventi della guerra del Monferrato sono serviti proprio a dimostrarne la debolezza.

Risponde in questo modo a coloro che credono che il duca non possa riuscire nell’impresa perché troppo inferiore alla potenza spagnola: la risposta è giocata da un lato

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sulla richiesta di cui l’orazione si fa portatrice, e cioè che gli altri italiani liberi abbraccino la causa del duca, dall’altro sulla possibilità di aiuti esterni, i quali, malgrado hanno dimostrato che la Francia guidata da Maria de’ Medici invece di abbracciare la causa del duca si sia alleata con gli spagnoli, "cosa inaudita", potrebbero arrivare dai Germani.

Ci dobbiamo soffermare un attimo su queste valutazioni. Quella Francia che Tassoni aveva esaltato nella condotta giudiziosa dell’Editto di Enrico IV, che avrebbe potuto grazie al suo risanamento riequilibrare lo strapotere spagnolo in Europa e in Italia, sotto la guida di Maria de’ Medici sembra non comprendere l’importanza strategica dell’alleanza con il duca Carlo di Savoia, in una guerra che potrebbe rimetterla in gioco negli equilibri italiani e europei.194 Il filofrancesismo del modenese, durante la reggenza

di Maria dei Medici, si trasforma in anti-francesismo: ciò è estremamente rilevante poiché ci fa comprendere come la valutazione politica degli stati europei, in Tassoni, sia in stretta connessione alle vicende e alle alleanze nazionali di tali potenze. In sintesi possiamo dire che fino a quando la Francia con Enrico IV ebbe una strategia di contrasto agli spagnoli alleandosi con gli stati italiani ed avvicinandosi a Roma, Tassoni come altri letterati politici esaltarono e sostennero la Francia, al contrario quando la reggente Maria de Medici attuò una politica filospagnola, Tassoni, come altri, associarono l’antifrancesismo all’antispagnolismo.

Ritornando allo scritto, l’ipotesi dell’aiuto dei principi germanici (quelli in contrasto con la casa Asburgica e quindi protestanti) ci deve indurre a riflettere sulla funzione laica di questa orazione che, mettendo da parte la conflittualità confessionale, auspica una sollevazione europea contro gli Asburgo che possa favorire l’Italia nella sua liberazione dagli spagnoli, ma anche riequilibrare finalmente l’assetto politico europeo.

L’orazione prosegue difendendo le ragioni delle pretensioni del duca sul territorio del Monferrato e analizzando la condotta delle due potenze, francese e spagnola. Se i francesi si sono schierati con il duca di Mantova che ha con loro gradi di parentele, altrettanto non hanno fatto gli spagnoli che con il duca Carlo si erano uniti in parentela con il matrimonio dell’Infante Margherita: anzi hanno spinto il governatore di Milano a minacciare loro guerra qualora non avesse liberato il Monferrato occupato. Tale condotta smaschera la politica interessata di queste potenze sui territori italiani. In particolare appare adesso chiara la condotta spagnola, arrogante e dominatrice tanto da intromettersi in una questione di uno Stato libero come quello savoiardo, che legittimamente aveva intrapreso la guerra. Così anche il matrimonio diventa il simbolo della condotta interessata degli spagnoli sui territori italiani, dice l’oratore:

Che ragione ha egli il Re di Spagna sopra il signor Duca di Savoia da comandargli come a suo suddito che disarmi a sua voglia? Quando il re suo padre gli diede la figliuola per moglie, disegnò forse

194 "Piaccia a Dio ch’io mi sia ingannato, come m’ingannai da principio nel fondamento ch’io feci sopra gli aiuti de’ Francesi, i quali

non saprei dire se in questo caso si mostrino più perfidi o più pazzi. La pazzia certo è manifesta mentre, dovendo e potendo aiutare un principe debole, loro confinante e confederato, contra un re potentissimo col quale professano natural nemicizia, non solamente nol fanno, anzi gli proibiscono gli aiuti e più tosto comportano, sedendo e ridendo, che il Re occupi le terre di lui e a loro medesimi fabbrichi fortezze sugli occhi che servano a tenergli lontani dagli stati ne’ quali pretendono". A. Tassoni, Lettere, cit. n. 229, pp. 182- 183, lettera del 10 ottobre 1614 al Conte di Polonghera.

49 di farlo in un medesimo tempo suo genero e suo vassallo? O pure s’immaginò di farlo suo suddito con assegnargli quella dote infelici di Napoli, che non si paga mai?195

Si capisce adesso il richiamo che appariva retorico all’"onore" e alla "nazione": la guerra del Monferrato ha reso evidente che la pace italiana non corrisponde ad una libertà e ad una autonomia dei suoi stati liberi, come lo era quello di Savoia, bensì è il modo con il quale la Spagna, e in misura minore la Francia, intendono erodere tale autonomia e libertà. E per far questo la Spagna utilizza la minaccia del governatorato di Milano:

Principi italiani, questo è punto che tocca a voi tutti né può dissimularsi. Il signor Governatore di Milano, dopo aver comandato alla Repubblica di Lucca, comandò al signor Duca di Modena, e fu obbidito. Ora mette un piede più in su e vuol comandare al signor Duca di Savoia e levargli lo stato, se non obbedisce; e se questa gli va colpita, non credano la Repubblica di Venezia e la Chiesa che la superbia spagnola non voglia passare anco più oltre.196

Si comprende anche perché tale orazione era indirizzata ai principi liberi e non a quelli già assoggettati dagli spagnoli; l’evento del Monferrato ha dimostrato che se non si libera l’Italia dal giogo spagnolo la libertà di questi stati è in pericolo, anzi è già fortemente dimezzata anche se loro credono di essere liberi:

Lo Stato della Chiesa sbandato e senza armi ha sopra il Regno di Napoli armato, che lo domina a cavaliere. La Toscana ha i ceppi di Portercole, Talamone, l’Elba, Piombino, Orbetello, e lo sprone della Sardegna per fianco. Lucca è pronta a servire, non che ad obbedire. Genova per li suoi interessi è più spagnola che italiana, e più soggetta al Re che le medesime terre del Re. Gli signori Duchi di Parma Modena e Urbino non solamente sono dipendenti, ma stipendiati e pagati. Quello di Mantova ha il monferrato nelle forbici di Milano. Di maniera che non ci resta se non la sola Republica di Venezia, la quale col Turco da un lato e con gli Spagnoli dall’altro, come fra due lime, si rimarrà finalmente consunta e distrutta.197

Anche se la condizione appare più che compromessa, l’oratore incita all’alleanza con il duca, poiché sia la situazione di crisi degli spagnoli, sia le ricchezze e le forze italiane, che seppur disgregate sono ancora potenzialmente in grado di rivaleggiare con qualsiasi esercito e nazione europea, possono far sperare che tale appoggio rivoluzioni quella che sembra una condizione irrimediabile.

L’orazione si conclude con una lunga invocazione all’unità dei principi italiani che sola potrebbe portare ad una autonomia territoriale che la renda all’altezza delle due potenze europee della Francia e della Spagna.

Notevole, e sicuramente emblematica, per la nostra tesi, è l’attualizzazione antimperiale, del famoso passo dell’Agricola198 di Tacito, nella tirata antispagnola:

Pagano la nobiltà italiana per poterla meglio strapazzare e schernire, stipiendano i forestieri per aver piede negli stati altrui; avari e rapaci, se il suddito e ricco; insolenti, s’egli è povero; insaziabili in guisa che non basta loro né l’Oriente né l’Occidente; infestano e sconvolgono tutta la terra, cercando

195 A. Tassoni, Annali e scritti storici e politici, p. 223. 196 Ibid..

197 Ivi, p. 224.

198 "[...] Romani, quorum superbiam frustra per obsequium ac modestiam effugias. Raptores orbis, postquam cuncta vastantibus

defuere terrae, et mare scrutantur; si locuples hostis est, avari, si pauper, ambitiosi, quos non Oriens, non Occidens satiaverit: soli omnium opes atque inopiam pari adfectu concupiscunt. Auferre, trucidare, rapere falsis nominibus imperium, atque ubi solitudinem faciunt, pacem appellant". Tacito, Agricola, XXX.

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miniere d’oro; corseggiano tutti i mari, tutte le isole mettono a sacco. Indarno si cerca di mitigare la loro superbia con l’umiltà; le rapine chiamano proveccio, la tirannide ragion di stato; e sacchieggiate e disertate che hanno le provincie, dicono di averle tranquillate e pacificate.199

Emblematica e simbolica, poiché l’orazione è fatta da un punto di vista “romano”, “italico”, “classico” e l’assimilazione di quel punto di vista con quello di un barbaro che fa una orazione contro l’imperialismo di Roma, ribalta completamente i valori in gioco in maniera paradossale: gli italiani, a cui l’esempio della gloria di Roma doveva guidare nel risveglio eroico per la liberazione, dovevano avere anche qualcosa di barbarico se volevano riuscirci, cioè avrebbero dovuto imparare dai nemici di Roma e forse in quel periodo storico dai popoli germani - nemici degli spagnoli.

1.4.4 Scrittura fatta, si crede, dal signor Alessandro Tassoni overo dal cavaliere

Bertacchi nell’occasione della guerra seguita tra lucchesi e modenesi l’anno 1613 (1613)

Questa relazione, scritta probabilmente poco prima della I Filippica, vuole essere una messa in burla e una risposta ai ragguagli200 a favore dei lucchesi, cioè una risposta agli

avvisi che circolavano a Roma sulla guerricciola tra Modena e Lucca, avvenuta contestualmente all’inizio delle imprese del Monferrato. La inserisco tra le due Filippiche per evidenziare la contiguità tra la prima orazione, fortemente aulica ed eroica - a favore del duca di Savoia e della liberazione dell’Italia, e questa scrittura - che vuole deridere le velleità e la millanteria militare dei lucchesi (ma la derisione ovviamente colpisce anche l’eroismo dei modenesi, rimproverati privatamente nelle lettere dello scrittore). La