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Tirannia e Stato di diritto: scritti storico-politici minori di Traiano Boccalin

1.3.1 Dialogo sopra l’Interim dato da Carlo V (1594)166

Traiano Boccalini in questo breve dialogo che finge di avere con Giovanni Sannesio, segretario di Pietro Aldobrandini, nell’attesa di essere ricevuto dal cardinale nipote, sembra analizzare politicamente alcuni fenomeni storici che condussero l’imperatore Carlo V a concedere l’Interim, "cioè la libertà di coscienza a’ Germani protestanti".167

Dal punto di vista letterario possiamo inserire l’opera nel genere dei dialoghi politici: tutta l’argomentazione è sviluppata dal personaggio specchio dell’autore Traiano al quale si affianca Iacomo che ha la funzione di scandire le tappe del ragionamento con l’espediente di domande ingenue ma mirate; la lingua e lo stile sono piani senza alcuna virata notevole

164 V. Santi, Il fico di Alessandro Tassoni, cit., p. 29. 165 Ibid..

166 TRAIANO BOCCALINI, cit., Scritti minori, pp. 851-864. 167 Ivi, p. 851.

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verso l’estetizzante, non vi è infatti nessun argomento di autorità e nessun intento sentimentale, né umoristico, né passionale.

Il tema dell’Interim appare come un pretesto per analizzare invece altri temi cari a Boccalini, come la differenza tra lo Stato ereditario e lo Stato elettivo; le ragioni che condussero alcuni principi tedeschi, e in particolare il duca di Sassonia, ad abbracciare l’eresia luterana; il rapporto e l’equilibrio tra le potenze di Francia e Spagna in stretta connessione con la situazione italiana; le cause e le conseguenze del Sacco di Roma; infine le cause che condussero all’acquisizione del ducato milanese da parte degli aragonesi e il loro oramai dominio politico sui territori italiani.

Il dialogante Traiano spiega all’interlocutore Iacomo, non senza una certa faziosità e forzatura storica, le premesse che condussero il papato ad avvalersi del braccio temporale dell’impero elettivo per tutelare la propria religione e la propria autorità: la preferenza per l’elettività dell’imperatore viene spiegata con l’argomentazione della migliore stabilità e durata di esso, poiché mentre l’ereditarietà è soggetta al sangue del regnante che può essere sterile, e non produrre eredi, ovvero può condurre persone poco atte al governo e causare il disgregamento dello Stato, l’elettività, al contrario, eleggendo il più atto o il più conveniente al governo degli elettori, mantiene quella stabilità che egli intravvede nel papato romano stesso.168 Il dialogo quindi indaga i possibili difetti di questo tipo di

governo e li individua proprio nel suo carattere aristocratico: il monarca, essendo soggetto ai principi elettivi, corre il rischio di perdere la sua forza a vantaggio dell’aristocrazia elettiva, per cui il governo viene a mutarsi da monarchia elettiva a monarchia aristocratica, vale a dire soggetta al potere degli elettori. È questo il caso del regno di Polonia e dell’impero di Germania nei fatti contemporanei al dialogo:169 in tali stati il

potere è così diviso tra i vari prìncipi da non permettere alcuna azione governativa da parte del re e dell’imperatore nelle guerre che questi stanno facendo contro i Turchi.170

Devo un attimo soffermarmi su questo punto: le due frasi attualizzanti "in queste urgentissime necessità passate di guerra" e "non vedete voi, che l’imperadore in tutte le sue guerre, e ora più che mai, sta malissimo", ci dovrebbero indurre a ripensare tutto il dialogo come un’argomentazione storica ab origine di fatti che investono il contemporaneo, anche perché in quel periodo era in atto una guerra dell’impero contro i Turchi, come dimostrerà la Lettera a Sannesio che analizzerò in seguito.

Ritornando all’analisi e sintesi del dialogo, vediamo come Traiano spiega al suo interlocutore che una motivazione per la quale il papa anticamente decise per l’elettività dell’impero (anche questo è da intendersi come una forzatura storica), è che qualora un imperatore per suo interesse si fosse rivoltato contro il papa stesso, esso avrebbe potuto,

168 "[...] le monarchie, che si eleggono il principe, sono più eterne, che quelle che l’hanno per successione, e la Sede Apostolica,

essendo monarchia altresì per elezione, avea bisogno di una monarchia anco durabile, come è ella". Ivi, p. 852.

169 La monarchia elettiva: "[...] in progresso di tempo si muta in monarchia aristocratica, cioè che alla fine tutta l’autorità dell’imperio

risiede appresso gli elettori, come si vede nel regno di Polonia e nell’imperio medesimo di Germania, poiché l’uno e l’altro di questi prencipi poco maggior autorità hanno ne’ Stati loro di quella che ha un doge nella republica di Venegia: e da questo ve ne potete avvedere, che, in queste urgentissime necessità passate di guerra, avendo l’imperatore necessità di danari, per avergli fa mestieri che si facci una dieta, ove con il consenso degli elettori e altri si stabilirono gli aiuti, che si devono dare all’imperatore". Ivi, p. 853.

170 "Non vedete voi, che l’imperatore in tutte le sue guerre, e ora più che mai, sta malissimo, perché il consiglio non sta a chi deve

decerner l’aiuto unito, ma si fanno le diete lunghe a radunarsi; e si può dir che sia monarchia la republica, senonché non delibera da re; ma l’imperio per questo s’indebolisce, bisognando chieder aiuti, quando bisognarebbe star in campagna con l’arme nelle mani". Ivi, pp. 853-854.

39 grazie al controllo del potere elettivo, coi tre grandi elettori ecclesiastici tra i sette imperiali, eleggerne un altro che si opponesse al rivoltoso. Per evitare che l’imperatore non potesse diventare eccessivamente potente si sarebbe dovuto eleggerne uno che non avesse avuto nel suo Stato tanta forza da sopraffare tutti gli altri, così da distruggere l’equilibrio creato. In base a questo ragionamento dopo la morte dell’imperatore Massimiliano I nessuno dei due pretendenti al trono imperiale, il francese Francesco I e lo spagnolo Carlo I, avrebbe dovuto essere eletto, poiché già potenti di loro.

Si arriva quindi al fulcro del dialogo: per il dialogante Traiano, l’elezione del nuovo imperatore non sarebbe dovuta avvenire a favore di un re tanto potente da poter mettere in discussione i contrappesi politici che l’elettività per sua natura creava; infatti l’elezione del re di Spagna Carlo I (Carlo V),171 per la forza territoriale che la fortuna gli aveva

concesso, produsse uno sbilanciamento dei poteri europei, che di fatto causò gli sconvolgimenti religiosi e politici del Cinquecento.

Per Traiano, l’intento di Carlo V una volta eletto imperatore, fu quello di ripristinare le antiche prerogative dell’impero a danno degli elettori, per riportarlo all’ereditarietà; prerogativa poi lasciata al re Filippo II di Spagna.172 Fu questa la causa che indusse il

duca di Sassonia e altri ad unirsi in lega, per contrastare la forza dell’imperatore e per cementare la loro unione, pensando di porsi sotto la religione eretica di Martin Lutero uniformemente.173

Nell’analisi del lauretano, l’eresia diventa il collante dei principi germanici contro l’imperatore e contro il papa che, non comprendendo il carattere politico di tale rivendicazione religiosa, fu impotente contro il suo diffondersi. Questa riflessione, come appare evidente, pone la questione religiosa in secondo piano rispetto a quella politica e fa convergere tutte le cause delle guerre di religione e dello scisma riformista verso un’unica causa che è quella dell’elezione e successivamente dell’eccessiva potenza acquisita dall’imperatore Carlo V. Ciò induce Traiano ad una parentesi riflessiva sulla religione in rapporto allo Stato e al popolo: distingue la religione di Stato che è il collante per tenerlo unito - oppure la forza che maggiormente può disgregarlo -, alla religione- eresia dei "bottegai": "vi sono poi gli eretici di religione, i quali sono i bottegai, i quali con una certa pazza e bestial curiosità vanno cercando un Dio e una religione, che paghi loro i debiti: e questi sono miseramente aggirati da’ loro principi, che si servono della religione per instrumento da mantenersi in Stato".174 La riflessione di Traiano giunge in

questo modo ad una macro visione dell’Europa del Cinquecento, nella quale è possibile ravvisare due fazioni, pro e contro gli Asburgo, che dal punto di vista religioso si distinsero in cattolici e non.175 Si impone quindi la domanda emblematica di Iacopo: "Se

171 "[...]accecati o dai grandissimi premi di Carlo, o da altri particolari interessi, che non si sanno, elessero imperadore Carlo, nipote

del morto imperadore Massimiliano". Ivi, p. 855.

172 "[...] vi dico che Carlo non così tosto fu creato imperadore, che, sopportando malamente che all’imperadore fossero così legate le

mani, prima pensò a ridur l’imperio a quella sua pristina grandezza e poi di far quella monarchia ereditaria e lasciarla con gli altri Stati al re Filippo, suo figliuolo". Ivi, p. 856.

173 "Voi toccate già con mano, per le cose dette, che la moderna eresia di Germania altro non è, che una lega de’ principi contro la

potenza di casa d’Austria, così fortificati con la diversità della religione: e che questo sia vero vedete, ché tutti gli nemici di questa famiglia vi sono entrati". Ivi, p. 861.

174 Ivi, p. 858.

175 "I: Quali sono questi nemici? T: Primieramente, quei che hanno usurpato Stati dell’imperio, che sono alcuni elettori: alcune città,

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questo è, che voi dite, bisogna che mi concediate per forza che, mancando la famiglia o abbassandosi, altresì l’eresia mancarebbe?"; la risposta di Traiano è un saggio dell’idea politica machiavelliana di Boccalini: "Così credo, e allora particolarmente quando il Turco caricasse gagliardamente addosso la Germania, perché farebbono come altra volta fecero i Greci, che, temendo del Turco, correvano a unir con noi la religione, per aver aiuti dal Papa".

Questa risposta ci deve indurre a tre riflessioni: la prima è che l’analisi politica di Traiano appare ora nella sua chiarezza sviluppata seguendo il punto di vista politico e non religioso di Roma e del papa; la seconda riflessione è che, secondo Boccalini, poiché la causa di tutti gli sconvolgimenti politici e religiosi della seconda metà del Cinquecento era dovuta all’ascesa della casa asburgica al dominio europeo, tali sconvolgimenti sarebbero potuti rientrare se quel potere fosse stato annullato o ridimensionato; l’ultima riflessione è che la guerra in atto tra gli Asburgo e i Turchi è il campo politico dove la Chiesa potrebbe giocare la sua strategia vincente, ponendosi come ultimo baluardo dell’occidente dopo una possibile sconfitta dell’impero.

Il dialogo riprende seguendo la storia che va dalla lega protestante contro l’imperatore alla pacificazione dell’Interim. Traiano spiega che per tutelare i suoi possedimenti dal contagio dell’eresia, Carlo V rafforzò l’Inquisizione, cercando di imporla a tutti i territori sotto il suo comando, ma allo stesso tempo si servì nascostamente dell’eresia per indebolire il consiglio elettivo, il quale così non avrebbe potuto eleggere un nuovo imperatore per porglielo contro, riuscendo anche nel duplice scopo di eliminare il potere e l’influenza della Chiesa tra i principi elettivi germanici e ad isolare la Francia e l’Inghilterra alleate con il papa. In questo contesto avviene il fatidico Sacco di Roma che Traiano interpreta come l’azione conclusiva della politica di Carlo V per assoggettare definitivamente Roma e il papa. Così il papa perse definitivamente il controllo di gran parte dei principi germanici176 protestanti "incrudeliti contro la Sede Apostolica, quanto

che il Papa avea contribuiti grandissimi aiuti in quella guerra, dove andarono due suoi nepoti in persona"177 e successivamente dell’Inghilterra. Rimanendo solo la Francia a

protezione del papa, l’imperatore si volse contro di essa oramai isolata, sconfiggendola militarmente.

La domanda finale di Iacopo restituisce al dialogo la sua dimensione militante verso gli interessi e la politica romana che, pur avendo appoggiato Carlo V nella guerra di religione in Germania, non ne ebbe alcun beneficio, anzi ne subì le vicende: "Perché dunque Paolo III fece così gran spesa senza utile della religione?".178 La risposta di

Traiano è che Paolo III mirava al ducato di Milano per il nipote e da un lato aiutava l’imperatore mentre dall’altro ne auspicava la sconfitta: da tale valutazione sbagliata ed

bisavolo materno dei re di Spagna; il re d’Inghilterra, dopo che si fece inimico di Carlo V, cacciando dal suo letto la sua moglie, zia del medesimo Carlo; e un ramo del sangue regio di Francia, che è questo che oggi guerreggia per il regno di Francia, che fu cacciato dal regno di Navarra; e alcuni principi fiamenghi, per esser stati mal premiati dal re di Spagna dopo la giornata di S. Quintino". Ivi, p. 861.

176 "[...] il tutto fu dunque acciò il Papa venisse a perdere quel grandissimo appoggio, e l’obedienza della maggior parte della

Germania". Ivi, p. 862.

177 Ivi, p. 863. 178 Ibid..

41 interessata Traiano fa scaturire l’occupazione e quindi la definitiva perdita della libertà di Milano a vantaggio dell’impero. Questa conclusione è anche una critica calibrata al papato, il quale non comprese né le rivendicazioni politiche dei protestanti, né l’effettivo potere che Carlo V stava acquisendo in Europa e inoltre per un interesse nepotistico e non generale produsse l’occupazione di Milano.

Il dialogo appare apertamente anti-asburgico e per questo l’autore non disdegna di accentuare alcuni episodi a discapito di altri, compiendo qualche forzatura storica, come per esempio il far risalire l’inizio dell’impero elettivo ad una istanza e prerogativa papale. Sminuendo il carattere religioso del protestantesimo e associandolo esclusivamente alla politica autonomista dei principi germanici, che Carlo legittimerà con il suo Interim, l’autore da un lato discolpa la Chiesa e Roma dall’accusa di aver prodotto lo scisma con la sua condotta immorale, dall’altro però sembra suggerire allo Stato ecclesiastico una politica più attenta agli interessi del suo Stato secolare, grazie alla quale potrebbe riassorbire lo scisma protestante con un’opposizione all’impero, per indebolirlo e ridimensionarlo. Il dialogo si fa quindi portavoce di una politica dell’equilibrio che sola sarebbe in grado di tutelare la variegata situazione politica europea ed italiana. Alla fine Boccalini non disdegna una frecciata contro la politica nepotistica e interessata del papato, che ovviamente investe anche il contesto e la contemporaneità del dialogo, immaginato davanti le porte del cardinal nipote Pietro Aldobrandini: si ravvisa già in questo dialogo la strategia letteraria di Boccalini riassumibile nel detto "parlar a nuora perché suocera intenda".

1.3.2 A Monsignor Giacomo Sannesio (1597?)179

Il dialogo che prima abbiamo compendiato e analizzato brevemente appare la premessa storica e politica di questa lettera scritta probabilmente alcuni anni dopo (1597?), ancora all’amico monsignor Sannesio, segretario allora del cardinal nipote Pietro Aldobrandino, poi cardinale nel 1604. La motivazione della lettera scaturisce dal disappunto del lauretano per la possibile spedizione papale in Ungheria in aiuto dell’impero asburgico contro i Turchi, che egli vede di nessun utile per lo Stato ecclesiastico.

Lo stile, espressivo e salace da indignatio, con l’impiego di espressioni latine in chiave ironica, affiancate da espressioni proverbiali popolari e comiche,180 è una

anticipazione dello stile che Boccalini formalizzerà in maniera più compiuta e oggettiva nei Ragguagli.

La lettera, ripulita dallo stile estetizzante veramente notevole del lauretano, ci fornisce dei dati per comprendere alcune tematiche centrali nell’interpretazione storica e politica dell’autore. Il primo argomento utilizzato per distogliere il papa dall’aiutare gli

179 TRAIANO BOCCALINI, cit., Carteggio, pp. 807-812.

180 "[...] Aethiopem lavamus, cioè pestiamo l’acqua nel mortaio [...] ignem gladio fodimus, che un pedante traslerebbe in italiano, che

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Asburgo contro i Turchi è che i principi tedeschi che si oppongono allo strapotere imperiale non hanno concesso alcun aiuto per la guerra e anzi auspicano segretamente che il Turco vinca.181 Il secondo argomento è che lo Stato ecclesiastico non può avere

nessun beneficio da questo aiuto, anzi, come dimostra la storia, può solo indebolire economicamente il suo Stato e quindi condurre a nuove acquisizioni in Italia da parte dell’impero, inteso come casa Asburgica e quindi legato agli Asburgo di Spagna. Il terzo argomento è che gli spagnoli, che dovrebbero aiutare l’Austria, non si sono mossi, poiché sono più interessati ai casi francesi, cioè mirano più ad indebolire il loro rivale europeo seppur cristiano, che non a difendere la religione come invece propagandano.182 Infine lo

scrittore suggerisce di riformare lo Stato, istituendo scuole militari che insegnino ai giovani italiani a maneggiar le armi, invece di scuole gesuitiche che insegnino filosofia, così da poter difendersi sia contro gli infedeli che contro quelli che egli reputa gli ipocriti cattolici interessati ai territori italiani.

Ho affermato che questa lettera è strettamente connessa con il dialogo, perché le argomentazioni sul comportamento da seguire in questa guerra, suggerite dal lauretano, sono la conseguenza dell’analisi degli eventi che avevano portato Carlo V ad impadronirsi di Milano e dell’Europa. Il tema principale è quello politico e riguarda la guerra contro i turchi propagandata come una guerra di religione; questa guerra, per il lauretano, è l’ennesima prova delle strategia interessata dell’impero e quindi anche degli spagnoli, i quali con il pretesto della religione vorrebbero che lo Stato cristiano e tutti i fedeli li appoggiassero economicamente e militarmente per poi continuare in quella strategia imperialista che vedeva le sue origini proprio negli eventi interpretati nel Dialogo. Ancora una volta, come già nelle guerre contro i protestanti, l’aiuto ecclesiastico non potrebbe produrre altro che un indebolimento degli stati italiani, che in definitiva potrebbe portare ad una più netta influenza asburgica nella penisola, portando così a termine, con l’unione dello Stato di Milano a quello di Napoli, la conquista dell’Italia. Il fulcro è ancora una volta l’ipocrisia religiosa asburgica, a cui si affianca la forte critica dell’ordine gesuitico visto come un’arma politica mascherata da confessionale: l’imperialismo asburgico e quello gesuitico arrivano a confondersi e ad alimentarsi a vicenda; stupisce anche in questo scritto la positiva analisi dell’intelligenza dei principi protestanti che a differenza degli italiani hanno aperto gli occhi e hanno messo gli occhiali politici.183 Il paradossale

ribaltamento tra eresia religiosa e consapevolezza politica emerge in tutta la sua forza diventando quindi il tema sul quale si gioca l’interpretazione politica dell’autore.

181 "[...] non sarebbono bastati a cacciarmi dal cervello questa massima che vi si è fitta, autenticata da una statual politica, che la

Germania vuol più tosto perdere Vienna, che acquistar Buda, mercé che maggior danno teme dalle vittorie di casa d’Austria, che dalli acquisti de’ Turchi". Ivi, p. 807.

182 "E nel vero, che mi pare strana e miserabile la nostra condizione, poiché ne consumiamo in difendere gli Stati di quella famiglia

(gli Asburgo) che , non curando l’incendio della casa propria, invece di averne obbligo, che ci scortichiamo in portarvi dell’acqua per ismorzarlo, con occupare li Stati di Francia fabrica le catene per noi". Ivi, p. 809.

183 "[...] che la Germania, che a nostre spese ha imparato a conoscere che i Spagnuoli sono balestre forlane, che tirano ad amici e

nemici [...] con l’occhialon politico della lunga vista, che si è posto al naso [...] invece di scacciar il Turco da’ suoi confini, alza le mani al cielo e si rallegra, che l’istessi nemici loro spiantino dalle lor case la famiglia d’Austria, alla quale per non obedire, si sono ribellati sotto l’insegne <veramente infami> di Lutero, di Calvino [...]". Ivi, pp. 808-809.

43 1.3.3 Discorso breve e utile scritto da un gentiluomo italiano e cattolico all’Italia, a

beneficio, salute e conservazione di tutti gli Stati di quella. (1591)184

Questo discorso-orazione, probabilmente il primo testo pervenutoci di Boccalini, per lunghissimo tempo ritenuto anonimo, è oggi con ragionevole certezza attribuibile al Nostro. Lo pongo in seguito agli altri due scritti per evidenziarne lo stretto rapporto ideologico-politico. L’oratore si dichiara cattolico - per far emergere il punto di vista romano contro la pseudocattolica casa Asburgica, e gentiluomo - per esprimere il carattere privato ma allo stesso tempo pubblico dell’orazione.185

Il primo argomento sviluppato nell’orazione è quello della lunga pace italiana "ozioso veleno che la consuma", la quale benché in apparenza sembri propizia al benessere dei suo stati e alla religione cattolica, viene mantenuta grazie alla servitù parziale dei suoi stati agli spagnoli. La sua condizione non è differente da quella di altri stati europei, i quali hanno tentato anche con il dissidio religioso di liberarsi da tale giogo, come gli stati germanici, le Fiandre, ed in quel periodo la Francia oppressa dalla guerra civile.