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Case di miele, formiche infestanti e lenti cavalcate: Dante e Ronsard

2 Il genere misto De' ragguagli di Parnaso e della Secchia rapita

3.4 Case di miele, formiche infestanti e lenti cavalcate: Dante e Ronsard

Concludendo la dorsale lipsiana analizziamo il Ragguaglio XCVIII465 della Centuria

prima che ha come protagonisti Dante e Ronsard466 e che può sintetizzare i discorsi fin

qui fatti. Prima di tutto evidenziamo come l'accostamento produca una duplice riflessione, in quanto i due possono essere associati e considerati padri del "volgare" poetico delle due rispettive nazioni: Dante il primo grande poeta italiano e Ronsard, allievo di Muret, primo riformatore e codificatore del volgare poetico francese. Allo stesso tempo, però, è possibile evidenziare quanto l'accostamento sia contrastivo, Dante campione di innovazione, Ronsard al contrario fondatore su base classicista e petrarchista.467

Decostruendo il ragguaglio possiamo dividerlo in tre sequenze: 1) Dante viene assalito da alcuni letterati per sapere il vero titolo della Commedia, quindi il suo vero genere e viene salvato dall'arrivo di Ronsard; 2) Apollo conosciuto il crimine decide di punirlo e chiama Ronsard come testimone, ma questi si rifiuta di fare i nomi; 3) Ronsard viene torturato, sembra compiacersene, fino a che viene posto su un cavallo lento senza "sproni e bacchetta"468 e confessa che a torturare Dante sono stati dei pedanti: Mazzoni e

altri due. I nuclei tematici del ragguaglio risultano essere due: 1) il Sommo Poeta torturato e quasi ucciso da alcuni critici; 2) Ronsard prima salvatore di Dante, poi reticente e infine enigmaticamente loquace.

Per quanto riguarda il primo nucleo tematico, Dante-critici469, la figura di Dante

diventa funzionale ad esporre un'idea poetica dell'autore che vuole legittimare la sua opera

464 "Caro Cornelio, tu ti lamenti / Ch'io scriva versi poco decenti / che a scuola leggere non si conviene: / ma i libri miei, sàppilo bene,

/ piacciono solo come lo sposo / piace alla moglie: se ci ha quel coso. / Vuoi ch'io con stile da funerale / componga un inno matrimoniale? / Chi è quel tanghero che per le feste / di Flora mette tanto di veste / lunga e accollata a una donnaccia? / Questa è la legge, piaccia o non piaccia, / che fa pei liberi carmi giocosi: / vanno, se sono pruriginosi. / Metti da parte, dunque, cotesto / cipiglio austero: ti viene chiesto / soltanto d'essere un po' indulgente / per questi innocui scherzi da niente, / e d'astenerti dall'operarmi / la castrazione di questi carmi. / E' uno spettacolo dei più ridicoli, / credi, un Prïàpo senza testicoli". Marziale, Tutti gli epigrammi, a cura di Alberto Gabrielli, Classici Utet, Torino 1957, pp. 68-69. Libro primo, Epigramma 35.

465 Dante Alighieri, da alcuni virtuosi travestiti di notte essendo assaltato nella sua villa e maltrattato, dal gran Ronzardo francese

vien soccorso e liberato. TRAIANO BOCCALINI, cit., pp. 363-365.

466 Quantomeno ingenua l'esaltazione di M. Fumaroli per la rappresentazione del connazionale Ronsard fatta nel Ragguaglio: "Pur

tuttavia non vi è alcuna vanità nazionale nella rappresentazione allegorica di Boccalini. Così è il «gran Ronzardo» che alla Corte dell'Apollo boccaliniano salva generosamente il suo collega Dante da un brutto frangente". M. Fumaroli, Le Api e i ragni. La disputa degli Antichi e dei Moderni, Adelphi, Milano 2005, p. 40.

467 "Tra gli idoli che il Ronsard si sceglie, e al gregge suo impone, non v'era Dante. Moltissimo concedeva all'estetica degli Italiani

del tempo, che trascuravan Dante, ispido nella lingua, oscuro ne' concetti, per votarsi al Dio Petrarca, uscito trionfante, sul carro di luce, dalla barbarie medievale". A. Farinelli, Dante e la Francia: dall'Età media al secolo di Voltaire, Slatkine Reprints, Genève 1971, Vol. I. p. 424.

468 TRAIANO BOCCALINI, cit., p. 365.

469 Per la ricezione critica e poetica di Dante tra Cinque e Seicento si vedano: M. Arnaudo, Dante barocco, L'influenza della Divina

Commedia su letteratura e cultura del Seicento italiano, Longo editore Ravenna, Ravenna 2013. In particolare, pp. 15-57. G. Tavani, Dante nel seicento: saggi su A. Guarini, N. Villani, L. Magalotti , L. S. Olschki, Firenze 1976. U. Limentani, La satira nel Seicento, R. Ricciardi, Milano-Napoli 1961, pp. 15, 286, 380.

135 agli occhi dei regolisti cinque-secenteschi e rivendicarne la libertà inventiva. Così come il Sommo Poeta è andato al di là dei canoni di poetica classica e dei suoi generi, altrettanto tenta di fare Boccalini: mette in ridicolo, con un semplice quadretto, una querelle che durava dall'uscita stessa della Divina Commedia e un tipo di critica moderna castrante e moralizzante, che interviene sui testi senza curarsi delle volontà e della libertà del poeta.470

Per spiegare invece cosa c'è dietro la funzione Ronsard possiamo ricollegarci a quella che abbiamo prima individuato come la funzione Lipsio, cioè il confronto scontro che Boccalini attua con i letterati "oltramontani" e di riflesso con alcuni loro seguaci italiani. A Ronsard, vuole sì riconoscergli dei meriti, ma vuole anche ridicolizzarlo per la reticenza con la quale nega di aver visto i torturatori di Dante.

Rintracciamo anche per questo Ragguaglio delle tracce intratestuali e intertestuali per comprovare la nostra interpretazione e per riconfermare la vicinanza di questi ragguagli alle fonti primarie fino a qui individuate.

Dal punto di vista strutturale questo ragguaglio è comune ad altri nei quali Boccalini vuole legittimare la sua idea estetica (per esempio quelli dedicati a Tasso, il quale come Dante deve difendersi dai pedanti e dai censori). Ricordiamo come i grammatici sicari e torturatori li ritroviamo, come già detto, nel Somnium di Lipsio, per i quali Cicerone propone la legge Cornelia; ma in linea con la contrapposizione poetica tra Lipsio e Boccalini, notiamo come i critici in questo caso non abbiano alcuna funzione positiva, bensì parassitaria. Per quanto riguarda la fabula del ragguaglio (il maggiore poeta italiano viene catturato e quasi ucciso da alcuni grammatici), essa deriva dalla Storia Vera di Luciano. Riporto il passo in questione:

Non erano scorsi due o tre giorni, e io avvicinatomi al poeta Omero chiacchierai di molte cose, e gli domandai di dove era, dicendogli che di questo fino al giorno d'oggi si fa un gran quistionare tra noi. Ed egli mi rispose che sapeva come alcuni lo fanno di Chio, altri di Smirne, e molti di Colofone; ma egli era di Babilonia, e dai suoi cittadini non chiamato Omero, ma Tigrane; e che poi venuto in Grecia con altri ostaggi, qui chiamati omeri, aveva mutato il nome. Gli domandai anche di certi versi ritrovati, se erano stati scritti da lui; ed egli mi disse che tutti eran suoi; onde io mandai un canchero a Zenodoto e ad Aristarco grammatici che cercano il pelo nell'uovo. E questo verso? Sì. E quest'altro? Anche. E perché cominciasti da quel Cantami l'ira? Perché così mi venne in capo: credi tu che ci pensavo? Ed è vero, come dicono molti, che scrivesti l'Odissea prima dell'Iliade? Costoro non sanno quel che si dicono. Che egli poi non era cieco, come dicono, me ne avvidi subito, perché lo guardai in fronte: onde non fu bisogno domandarlo. E di queste chiacchierate ne facevamo spesso: quando lo vedevo sfaccendato, mi avvicinavo a lui e gli domandavo qualche cosa; ed egli volentieri mi rispondeva a tutto, specialmente dopo che si sbrigò d'una causa, che egli vinse. Gli fu posta una querela d'ingiuria da Tersite, per quei motti scottanti che gli gittò nella sua poesia, ma Omero si prese Ulisse per avvocato, e riuscì vincitore.471

Anche in questo caso Omero, nell'isola dei Beati, confuta la pedanteria di alcuni grammatici-commentatori, Aristarco per antonomasia, su quella che possiamo definire da secoli la querelle omerica: le origini; se sia il reale autore di tutti i versi delle opere; la motivazione dell'incipit e la cronologia della composizione dei poemi. La derisione lucianea contro la pedanteria e l'avvalersi del Poeta, per antonomasia Omero, serve a

470 Cfr. P. Procaccioli, Boccalino lettore e giudice del Cinquecento letterario, cit., pp. 108-110. 471 Luciano, Storia vera, cit..

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legittimare l'alto tasso di originalità delle sue opere e al contrario deridere l'inutilità della critica a lui contemporanea. Possiamo notare come Boccalini si serva dello schema di Luciano per esprimere la stessa visione estetica, sostituendo alla trovata finale della querela e difesa di Ulisse, la liberazione e successiva testimonianza di Ronsard, che gli permette di innestare anche una critica diretta verso alcuni autori oltramontani e classicisti.

Per quanto riguarda la funzione del personaggio Ronsard, la prima traccia intratestuale che analizziamo è la sua reticenza nell'accusare i torturatori e quindi la sua funzione allegorica: la reticenza rappresenta la pavidità e la dissimulazione con cui il poeta affronta i delitti e le brutalità del proprio tempo che ritroviamo anche nel ragguaglio su Lipsio, cioè l'accusa che gli viene fatta di non aver composto la storia di Fiandra per "certi rispetti". Il masochismo con cui sopporta le torture è figura sia della sua poetica patetica, elegiaca ed intimista, che dell'accettazione delle regole, pari a torture, imposte dai teorici e critici cinquecenteschi; allo stesso modo della "costanza" e dello stoicismo senechiano di Lipsio nell'accettare l'autorità e i publicis mali472. Il non riuscire a cavalcare

senza "sproni e bacchetta" un cavallo lento è figura della mancanza di riflessione, "lucubratezza" nel comporre e del bisogno di una guida esterna, probabilmente religiosa "bacchetta"473; tale figura dal punto di vista letterario è opposta a quella di Lipsio i cui

scritti sono "lucubratissimi", ma, dal punto di vista morale ha molto in comune con la sua cavalcata eccessivamente pomposa (con i due tutori che lo scortano) e con la fretta con cui la sua ambizione lo porta a censurare il suo principe Tacito appena due giorni dopo essere salito in Parnaso.

Dobbiamo soffermarci più approfonditamente sul concetto di "lentezza" che nel ragguaglio che stiamo analizzando viene simbolizzato come tortura inflitta a Ronsard ("cavalcar un cavallo che andasse di passo lento"), e che risulta essere un nucleo tematico chiave dell'opera di Boccalini.

Nel Ragguaglio LI474 della Centuria prima sui luoghi comuni confutati si discute il

proverbio "festina lente" e per dimostrare che alle volte è più opportuna una risoluzione veloce, si afferma "e alla francese prima operare e poi discorrere e operare". Tale elogio alla risolutezza francese diventa deteriore per un poeta come Ronsard che deve raggiungere la saggezza e la maturità poetica gradualmente.

Nel Ragguaglio XCVII475 della Centuria prima che precede quello su Dante e

Ronsard l'argomento è proprio la lentezza e la lucubratezza. Esso è costruito come un biasimo paradossale suggerito dall'iniziale dubbio dei virtuosi alla caccia indetta da Apollo contro le tartarughe e le formiche. Destrutturandolo possiamo notare come persegua un duplice obiettivo, uno estetico e l'altro morale. Quello morale è esplicito,

472 J. Lipsio, De constantia libri duo qui alloquium praecipue continet in publicis malis, cit..

473 Per l'interpretazione ci può aiutare Tassoni che alla voce "bacchetta" del vocabolario della Crusca postilla: "E bacchettone oggidì

per ippocritone." A. Tassoni, Postille al primo Vocabolario della Crusca, ed. critica a cura di Andrea Masini, Presso L’accademia, Firenze 1996, p. 28.

474 Essendo tra i virtuosi nato dubbio sopra la verità di alcune sentenze e detti di uomini saggi, nella dieta generale celebrata in

Elicona fu disputato e risoluto sopra il vero significato di essi. TRAIANO BOCCALINI, cit., pp. 226-230.

475 Apollo fa una caccia generale contro le formiche e le tartarughe, come animale amendue di mal esempio al genere umano.

137 vale a dire il biasimo dei due animali è figura del biasimo all'avarizia e all'interesse personale, così come l'elogio finale delle api è esaltazione della liberalità e del pubblico interesse. Quello estetico invece è implicito e suggerito solo dalla iniziale protesta dei virtuosi:

Allora molti virtuosi, avidi di saper la cagione dell'odio che Sua Maestà aveva conceputo contro quegli animali, gli dissero che pareva loro che la tartaruca non solo fosse simbolo della matura tardanza, ma vero tipo di que' poveri virtuosi che con esso loro portano la casa del lor patrimonio e tutte le sostanze delle buone lettere. E che le formiche, che agli uomini insegnavano il sudor nella state della gioventù per accumular il vitto nel verno della vecchiaia, come mirabile esempio della providenza da Sua Maestà nella moltiplicazione della specie loro più tosto meritavano di esser aiutate che perseguitate.476

I virtuosi, quindi, riconoscono nella lucubratezza e nell'accumulo dello studio un esempio per i letterati da emulare.

A questi rispose Apollo che così era, ma che gli uomini tutti, più inclinati al vizio che alla virtù, da quegli animali avendo pigliati esempi scandalosissimi, non l'imitavano nelle cose buone.477

Apollo ammette l'esempio virtuoso per i letterati, ma censura la cattiva interpretazione che ne danno "gli uomini tutti". Vediamo infatti come la spiegazione del cattivo uso che "gli uomini tutti" hanno fatto dell'esempio della tartaruga e della formica, sia in fondo anche un insegnamento per i letterati e per le loro opere.

Perciòché certi avaroni appassionati e bruttamente schiavi degli interessi propri, dalla sola tartaruca avevano imparato lo scelerato costume di star sempre con la testa, con le gambe, con le mani e con tutte le membra dei pensieri loro ascosi entro la scorza dei loro interessi, e portare indosso la casa delle proprie commodità con tanta sordidezza e ostinazione di non uscirne mai, che loro idolo avevano fatto il solo interesse della propria utilità.478

Se sostituiamo agli "avaroni" i letterati, per esempio quelli che venivano definiti "stitici" e pedanti, e recuperiamo la metafora da loro introdotta sulla casa della tartaruga figura del "patrimonio" e delle "sostanze delle buone lettere" notiamo come il vizio di chiudersi nel proprio interesse (speculativo) possa essere a loro comune. Lo stesso vale per la metafora delle formiche:

Che poi dalle formiche infiniti avevano pigliato l'infelice esempio di stentare e crepar di notte e giorno il cuore, senza giammai pigliarsi un'ora di onorata ricreazione, per accumular per ogni strada, anco illecita, il grano di quelle ricchezze, che poi alla fine veniva guastato dalla pioggia dell'ira di Dio o rubato dai topi, dai ladri, dagli sbirri, dai giudici e dai fiscali che perpetuamente uccellano alle facultà di questi avaroni: i quali, a guisa di formiche non curando di essere, ancorché abbondevoli d'ogni bene, magre e distrutte, con vitto da cane patendo nella vita, con un vestito mendìco nella riputazione, tanto s'immergevano nella sordidezza e nella rapacità loro, che non curavano di essere perseguitati, strapazzati e da ogni sorte e qualità d'uomo calpestati, come accade alle formiche che tanto scioccamente camminano per le pubbliche strade.479

476 Ivi, p. 362.

477 Ibid..

478 Ivi, pp. 362-363. 479 Ivi, p. 363.

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Alla condotta delle formiche viene imputata non solo una ricerca compulsiva del proprio interesse, ma anche l'essere parassitari all'umanità e allo stesso tempo succubi e schiavi. Se anche in questo caso restringiamo l'esempio ai letterati possiamo notare che, la rappresentazione sembra proprio descrivere l'attività cortigiana e erudita, la quale cerca di beneficiarsi di tutto ciò che pare utile al proprio interesse ed è incapace di imporsi pubblicamente in maniera libera, politica, originale.

A questi due esempi negativi, come abbiamo detto, Apollo contrappone le api: E che la maestà di Dio nelle mirabilissime api avendo posta quella virtuosa providenza che è senza difetto, a quelle dovevano gli uomini rivoltar gli animi loro per imitarle: le quali con buona grazia di tutti, senza far danno ad alcuno, fabbricavano la casa piena di miele tolto da' fiori, ove con l'odio universal d'ognuno le formiche rubavano il grano dai granari altrui; e che le api fabbricavano il miele e la cera non solo per propria utilità, ma per beneficio universale del genere umano. Documento preziosissimo che quegli esercizi e quelle fatiche sono santissime e benedette da Dio, che alla propria utilità hanno congiunto il pubblico beneficio: ove la formica accumulava solo per se stessa odiose ricchezze rubate agli altri.480

Anche in questo caso proviamo a interpretare l'esempio in chiave letteraria. La casa ancora una volta è figura dell'opera o meglio degli studi dei letterati: essi devono costruire la propria sapienza in maniera originale e libera e ciò comporta quel pubblico beneficio che sembra essere per Boccalini il fine ultimo degli esercizi e fatiche della letteratura. All'opposto ancora una volta i letterati-formiche rubano e conservano invece di metabolizzare come le api le fatiche altrui per puro interesse individuale e sono infesti all'umanità.

Anche la controprova intertestuale di questo ragguaglio ci conduce ad un tipo di interpretazione metaestetica. L'utilità o meno delle formiche in rapporto alle api481 la

ritroviamo nel De remediis di Petrarca482 e, la famosissima metafora delle api per

rappresentare lo studio fruttuoso e l'originalità è presente nelle Epistole familiari dello stesso. Riportiamo i passi:

[...] Che fanno infine alle aie e ai granai «il punteruolo e la formica». come dice il poeta, «teme una vecchiaia bisognosa»? Quale è il fervore e l'agitazione di questo piccolissimo animale, sicché mentre provvede al suo inverno, turba la nostra estate? Avrei stentato a credere agli altri, ma poiché l'ho provato

sulla mia pelle so quanto sia non solo fastidioso ma anche noioso quell'animale polveroso con la sua schiera sollecita, sempre tanto affaccendato nelle spedizioni, che saccheggia non solo i campi, ma anche gli armadi,

i letti e le dispense. Ormai comincio a credere che, nel territorio di Pisa, il castello che appare ai naviganti poco lontano dal mare, sia stato abbandonato per un'invasione di formiche: raccontano che un fatto del genere sia accaduto anche nel territorio di Vicenza, ma io sono propenso a credere che sia accaduto in entrambi i posti e che possa accadere dovunque. Poco tempo addietro le formiche per poco non mi fecero

scappare non dico dalla casa in campagna ma da quella in città, al punto che si è dovuto rimediare col

fuoco e col la calce, e alla fine rimuovendo le cose; e potrei credere ad Apuleio che mangerebbero un uomo

pur non cosparso di miele, né potrei negare che ne resto sbalordito.

Qual è il motivo per cui qualcuno ha proposto la formica come esempio di sollecitudine, e gli altri hanno tessuto lunghi discorsi su di essa, che ne decantano la parsimonia e lo zelo? Avrebbero fatto bene, se ogni sollecitudine fosse lodevole: la formica potrebbe essere un esempio valido per i predoni, non per quegli uomini che intendono vivere del proprio, senza recar danno agli altri. Questo è animale sollecito, chi

480 Ibid..

481 "Dobbiamo infatti in certo qual modo imitare le api: esse volano cogliendo qualcosa da ogni fiore e poi mettono in ordine ciò che

hanno ammassato, lo distribuiscono nei favi e trasformano i vari succhi in un unico sapore con un sistema di miscelazione loro particolare." Macrobio, Saturnali, cit., Prefazione, 4, cfr. Seneca, Epist. 84, 2-10.

139 non lo sa, ma è disonesto e ingiusto, poiché vive di rapina; non è esempio di alcun zelo, se non a fin di male; non è di nessuna utilità e non reca vantaggi, ma molteplici noie. Lo dico ancora, mi meraviglio perché abbiano dato questo esempio, abbiamo lodato quest'animale, soprattutto quando abbiamo l'ape, animale

zelante e molto previdente, che non fa male a nessuno, è utile a molti, a se stesso e agli altri, e giova a noi con un'arte che gli ha donato la natura e con quella sua nobile fatica.483

Confesso di non poterti dare su quanto chiedi che un unico consiglio; se alla prova risulterà inefficace, dovrai prendertela con Seneca; se efficace dovrai ringraziare lui, non me; vorrei insomma che lo ritenessi in ogni caso il responsabile. Eccolo in breve: nell'invenzione bisogna imitare le api le quali non

restituiscono dei fiori quello che hanno preso, ma ne sanno comporre cera e miele con stupenda miscelazione. [...] Questo però dico: che la vera eleganza sta nel fare come le api: riproporre con le nostre

parole i concetti, anche se appartengono ad altri. Bisogna però che lo stile non sia di questo o di quello, ma nostro soltanto, anche se ricco di molte influenze; [...].484

Boccalini attua in questo modo una sincrasi delle fonti petrarchesche, che rappresenta anche un esercizio di stile, e allegorizza la sua visione estetica, la quale deve avvalersi di uno studio lento e prolungato nel tempo sulla tradizione, scevro da autorità e condizionamenti esterni, originale e soggettivo, e infine utile, civile, di pubblico interesse. Possiamo notare inoltre come l'otium letterario petrarchesco si trasformi nel negotium