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Il sogno del trionfo: la funzione Lipsio nei Ragguagl

2 Il genere misto De' ragguagli di Parnaso e della Secchia rapita

3.2 Il sogno del trionfo: la funzione Lipsio nei Ragguagl

Ritornando a Lipsio è possibile notare come all'interno dei Ragguagli venga tacciato dell'accusa di non originalità, di pedanteria e di seguire modelli precostituiti. Lipsio viene nominato per la prima volta nel Ragguagli XII, Centuria Prima: Nella dieta generale de'

letterati intimata da Apollo in Elicona, sua Maestà contro l'aspettazione di ognuno decreta l'eternità al nome di Vincenzo Pinti, nella corte di Roma detto «il cavalier del liuto»;394 ragguaglio che precede quello dedicato a Peranda e alla critica al genere

epistolario, precedentemente analizzato. 389 TRAIANO BOCCALINI, cit., pp. 156-162. 390 Ivi, p. 156.

391 Cfr. Ivi, nota 6, p. 156: "in realtà, nota Firpo, si tratta di: «un qui pro quo medievale, che aveva fatto incorporare nel nome l'iniziale

del prenome, mutando Aulo Gellio in Agellio»." I due commentatori però non danno il giusto rilievo ai "riformatori della moderna pedanteria" a cui in realtà è riferita la burla.

392 Tres Satyrae Menippeae, L. Annaei Senecae Apokolokyntosis, I. Lipsii Somnium, Petri Cunaei Sardi Venales, Recensitae et notis

perpetuis illustratae, Apud Georg. Christoph, Wintzerum., Lipsiae 1720, p. 81, nota 10.

393 G. Lipsius, Satyra Menippaea, cit., p. 12. 394 Ivi, p. 117-118.

119 La dieta dei letterati è indetta per "dar l'eternità al nome di un virtuoso".395 Varie sono

le proposte tra cui quella di nominare Giusto Lipsio: "uomo fiammingo, gli scritti lucubratissimi del quale tanta fragranza rendevano in Parnaso, che in tutti i virtuosi avevano destato più tosto rabbia di divorarli che appetito di gustarli".396 Alla proposta di

Lipsio segue quella di Serafino Olivieri Razzali, cardinale e decano della Sacra Rota,397

per i suoi meriti di erudito e di eterno studioso: "faceva il miracolo maggiore l'essersi saputo che un prelato pieno di tante scienze, colmo di tante virtudi, era morto scolare".398

Alla fine della dieta, però, viene eletto all'immortalità con lo stupore di tutti i virtuosi il cavalier del liuto per insegnare "ai principi e a' privati l'arte necessaria di accordar i liuti":399 fuor di metafora insegnare ai politici di favorire la naturale inclinazione degli

uomini e di non sforzarli a fare cose di cui non sono all'altezza. Alla luce della nostra tesi appare probabile anche qui una frecciata al fiammingo, al quale viene affiancato un erudito, Olivieri, che non aveva composto nulla di originale e a cui viene anteposto un musicista italiano in grado di insegnare un precetto politico e morale pratico, semplice, e possiamo dire machiavellico. L'elogio, in questo caso paradossale, di Lipsio e dei suoi scritti emerge nella lingua e nello stile, oltre che letteralmente, dall'utilizzo del superlativo assoluto "lucubratissimi"400 utilizzato in maniera contrastiva, come già visto

precedentemente, in rapporto alla poca fatica degli scrittori di lettere e nella metafora del "divorarli" utilizzata anche da Boccalini per i suoi Ragguagli nell'A chi legge, "Come i Gnatoni...". Questo ragguaglio, quindi, ci indica da un lato come gli scritti di Lipsio fossero letti con attenzione dagli studiosi dell'epoca e particolarmente da Boccalini stesso, dall'altro l'ironia con la quale il lauretano li interpretava.

Al letterato fiammingo sono dedicati due ragguagli il XXIII401 e l'LXXXVI,402 della Centuria prima, i quali narrano la sua ascesa al Parnaso e la sua consacrazione.403 Il Ragguaglio XXIII narra il "trionfo"404 di Lipsio e la conseguente disputa con Tacito su di

un luogo dello storico latino male interpretato. Questa ascesa viene interrotta più volte: la prima per i preparativi scenici, eccessivamente pomposi405 che fanno emergere

l'ambizione anche un po' ridicola di Lipsio e del suo popolo; la seconda per un litigio tra

395 Ivi, p. 117. 396 Ibid..

397 Cfr. E. Russo, Boccalini e la critica in Parnaso, in Traiano Boccalini tra satira e politica, cit., p. 113. 398 TRAIANO BOCCALINI, cit., p. 118.

399 Ibid..

400 Questo è un termine chiave per Boccalini, poiché rivela una visione poetica fatta di attenzione, di studio, di lavoro continuo e

costante. Non a caso nell' A chi legge viene utilizzata una metafora corrispondente per descrive la composizione dei Ragguagli e cioè l'aver "consumato l'olio e l'opera". Si noti, però, come vedremo, come ciò sembra non bastare a Lipsio per raggiungere l'immortalità, poiché sembra mancargli l'originalità e il coraggio.

401 Giusto Lipsio con solenne cavalcata essendo ammesso in Parnaso, il seguente giorno dopo il suo ingresso, contro l'aspettazione

di ognuno, accusa tacito per empio, e dalla sua accusa riporta poco onore. Ivi, pp. 133-139.

402 Giusto Lipsio, per emendare il fallo di aver accusato Tacito, così intensamente l'osserva, che appresso Apollo vien imputato di

idolatrarlo. Onde dopo un finto supplicio da Sua Maestà alla fine è lodato e ammirato. Ivi, pp. 324-331.

403 Cfr. P. Guaragnella, Politica e arte istorica nei Ragguagli di Parnaso, pp. 51-77, in particolare pp. 55-58, in Traiano Boccalini tra

satira e politica, cit.. Il critico interpreta entrambi i Ragguagli, suggerendo un possibile incontro scontro, ideologico e storiografico, da parte del lauretano con il famoso tacitista Lipsio.

404 Per l'accostamento del genere dei Ragguagli a quello dei Trionfi si veda Firpo. L. Firpo, Allegoria e satira in Parnaso, «Belfagor»,

I, 1946, pp. 673-699.

405 "[...] la pubblica entrata nondimeno di personaggio tanto qualificato fu differita fino a martedì della settimana passata: mercé che

la nobilissima nazion fiamminga, con le dimostrazioni di straordinari onori fatti verso quel suo cittadino, volle segnalar se stessa in quella occasione; percioché ne' più onorati luoghi di Parnaso eresse molti archi trionfali con magnifica splendidezza fabbricati alla reale." TRAIANO BOCCALINI, cit., p. 133.

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Seneca morale e Tacito politico, su chi dei due si sarebbe dovuto disporre alla destra di Lipsio durante la cavalcata trionfale; la terza dal malore di Pausania e dalla sua conseguente orazione, nella quale lo storico greco piange lo stato della sua nazione divenuta barbara al contrario della "Fiandra"406 civile e produttrice di cultura. La

cavalcata-trionfo rappresenta in figura l'opera del fiammingo, della quale Boccalini vuole criticare da un lato la poca originalità rappresentata dalla presenza delle due guide, quasi due tutori, dall'altro l'impostazione ideologica che anacronisticamente si serviva ancora di giudizi morali,407 stoici, senechiani per interpretare i "presenti infelicissimi tempi"408 a

cui invece abbisognava un sguardo politico scevro da "pedanterie"409 e da cose

"ammuffite".410 In tutte queste interruzioni è possibile porre in risalto il duplice

atteggiamento di esaltazione e di critica al letterato fiammingo, critica che si dispiega analiticamente nell'ultima parte del Ragguaglio in cui viene confutata un'interpretazione zelante di Lipsio su di un passo di Tacito. Ma il passo che ci interessa rilevare per il nostro discorso è quello relativo all'accusa esplicita di poca originalità e di pavidità fatta a Lipsio; partiamo dalla poca originalità:

Giunto che fu il Lipsio nel fòro delfico, non li fu conceduto di poter a ciel sereno rimirare il divino splendore di Sua maestà, né meno a piè delle scale del real palazzo fu incontrato e ricevuto dalle serenissime muse, solo essendo stimati degni di questi segnalati favori gli scrittori d'invenzione, dilettissimi di Apollo e delle serenissime muse, e gli scritti dottissimi del Lipsio solo si vedevano laboriosi e mirabili per una varia e molteplice lezione, cosa così comune a tutti gli scrittori oltramontani, che sono stimati avere il cervello nella schiena, come agl'italiani, che l'hanno nel capo, il sempre inventar cose nuove, lavorar con la materia cavata dalla miniera del proprio ingegno con sudori e stenti grandi, non con la roba degli altri scrittori tolta in prestito, essendo riputata cosa da sartorello mendìco, da critico fallito rappezzar le toghe stracciate de' letterati, da sarto pratico e famoso nell'arte tagliare e cucir vestimenti nuovi con fogge e ricami non più veduti.411

La sferzata che viene data a Lipsio, "critico fallito" che rappezza "le toghe stracciate de' letterati", permette all'autore sia di esaltare gli ingegni italiani che hanno il cervello "nel capo" e non nella "schiena" (non rivolta esclusivamente alla tradizione), sia di definire metaforicamente la mistura letteraria con la quale deve essere composta un'opera originale: "tagliare e cucire vestimenti nuovi con fogge e ricami non più veduti". Questa modalità compositiva non è altro che la strategia stilistica utilizzata per la composizione dei Ragguagli che non a caso vengono nominati nel proseguo del ragguaglio: "Io che scrivo i presenti Ragguagli, mi trovai presente [...]";412 quasi a sigillare il valore della sua

opera in contrapposizione a quella del fiammingo.

L'altra accusa che viene fatta è quella di non aver scritto le storie di Fiandra "per certi rispetti":

406 Ivi, p. 136.

407 Cfr. M. C. Figorilli, «Cose politiche e morali». La presenza di Machiavelli nei Commentarii sopra Cornelio Tacito di Traiano

Boccalini, in Traiano Boccalini tra satira e politica, cit., pp. 217-235. A mio avviso appare pregnante la differenziazione che sembra guidare la studiosa tra moralismo teorico-precettivo classicista e aristotelico, e moralismo performativo, proprio dei moralisti italiani. Su questo argomento A. Quondam, Forma del vivere. L’etica del gentiluomo e i moralisti italiani, Il Mulino, Bologna 2010 e G. Ferroni, Machiavelli, o dell'incertezza. La politica come arte del rimedio, Doninzelli, Roma 2003.

408 TRAIANO BOCCALINI, cit., p. 134. 409 Ibid..

410 Ibid.

411 Ivi, p. 134-135. 412 Ivi, p. 136.

121 Sono alcuni che han detto che il Lipsio così poco e da Sua maestà e dalle serenissime muse sia stato favorito, per disgusto, che hanno avuto di lui, al quale avendo essi dato nobilissimo talento per potere alla tacitista scriver le guerre civili di Fiandra, tanto desiderate dall'università de' virtuosi, per certi rispetti, nondimeno da Sua maestà riputati molto vili, fino aveva fatta resistenza all'inspirazione mandatali da lui e dalle serenissime dive. Ma quest'ultimo è sospetto fondato nel verisimile; la prima è opinione sostentata dalla verità.413

Se la prima accusa è vera, cioè che Lipsio non ha raggiunto l'apice della gloria per non essere stato originale, il sospetto di pavidità, per cui non avrebbe composto la storia di Fiandra alla tacitista, appare verosimile. Ciò non può che creare disgusto in Boccalini, associabile ad Apollo, il quale reputa dovere dello storico e del letterato quello di dire in ogni modo la verità.414 Verità che il lauretano nasconde nei suoi Ragguagli usando la

maschera allegorica e verità che egli sviluppa nei suoi Commentarii a Tacito, sollecitando criticamente e attualizzando il testo latino. La competizione sul tacitismo, come abbiamo detto, emerge in tutta la sua portata nel finale del Ragguaglio dove viene confutata dallo stesso Tacito un'interpretazione deteriore di Lipsio, il quale deve confessare che gli scritti dell'interlocutore Tacito "più che si leggono, meno si intendono, e che i tuoi Annali e le tue Istorie non sono lezione da semplice grammatico come son io".415

Il secondo Ragguaglio di cui è protagonista Lipsio, l'LXXXVI della Centuria prima, si ricollega al primo dal punto di vista narrativo: l'autore fiammingo si pente di aver ingiuriato Tacito e perciò cade nell'errore opposto di idolatrarlo. Il fulcro tematico appare essere la "costanza", con la quale Lipsio rivendica il suo amore per Tacito anche a costo della morte; "costanza" che diviene un precetto politico che si incarna nella fedeltà al proprio signore. Ricordiamo che in questo caso la frecciata colpisce anche un'opera di Lipsio, il De Constantia pubblicato la prima volta nel 1584.416 Ma quello che ci interessa

sottolineare è il giudizio che anche in questo ragguaglio viene dato a Lipsio, il quale anche se aveva "lasciati al mondo scritti ordinari, le sole sue fatiche sopra Tacito erano quelle che gli avevano fatto meritare la stanza di Parnaso e l'onorata fama immortale appresso le genti".417 La subordinazione di Lipsio a Tacito prova il giudizio ambivalente di

Boccalini, il quale da un lato è profondamente interessato all'opera del fiammingo per i suoi meriti di studioso, di erudito, di filologo; dall'altro vuole metterne in evidenza la

413 Ivi, p. 135.

414 "[...] se fu mai tempo alcuno nel quale l'istoria avesse bisogno d'esser scritta da quei elevati ingegni de' quali favella qui Tacito, è

questo del secolo presente, nel quale l'azione de' principi grandi non camminano in giuppone, come già costumavano, ma con la pelliccia fodrata di broccati d'interessi diabolici [...] di modo che non mai fu tempo più implicato di questo, nel quale dovessero gli istorici scrivere abditos principis sensus, et quid occultius parant. Ma per fatal disgrazia del genere umano allora manca il benefizio della verità istorica, quando n'è più cresciuto il bisogno; calamità per certo degna d'essere dagli uomini virtuosi compianta, perché la lezione dell'istoria, ch'è la più saporita vivanda che possa esporsi alla mensa d'uomini accappati, è divenuta tanto insipida che non può masticarsi, essendo dell'azion de' principi solamente lecito lo scrivere la scorza piena di finzioni, e non la medolla piena di verità, la quale pasce l'animo altrui e l'arricchisce d'abbondantissimi precetti necessarii alla vita umana. [...] Ond'è che solamente i secretarii e consiglieri de' principi, e nelle republiche i costumati senatori d'esse, possino arrivare alla palma di scrivere istorie veramente compite, le quali qualità essendosi ritrovate nel Machiavelli e nel Guicciardini, non è meraviglia se l'istorie loro siano tanto comentate. E granchio ben grosso pigliano quelli che si persuadono tutta la bellezza d'un'istoria consistere nello stile, perché elle si leggono da' giudiziosi per sapere i fatti, non per imparar la rettorica e le belle parole, per far acquisto della prudenza, non della grammatica". T. Boccalini, Considerazioni sopra la «Vita di Agricola», a cura di G. Baldassarri, Antenore, Roma-Padova 2007, pp. 20-23, citato in G. Baldassarri, I tempi della scrittura nei Comentarii a Tacito, in Traiano Boccalini tra satira e politica, cit., pp. 181-200, in particolare pp. 195-196.

415 TRAIANO BOCCALINI, cit., p. 139.

416 J. Lipsio, De constantia libri duo qui alloquium praecipue continet in publicis malis, Lugduni Batavorum 1584. Il fiammingo

scrive il De constantia ad imitazione del De Clementia di Seneca.

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diversità di tacitista, di critico e di scrittore sminuendone il valore e confinandolo negli spazi angusti dell'imitazione, della venerazione, della prudenza stoica. Se il Tacito di Lipsio diviene il Tacito anche di Apollo, "il mio e il tuo Tacito",418 perché corretto dal

moralismo senechiano e depurato dal suo carattere aggressivo, Boccalini al contrario si pone in maniera agonistica e critica nei confronti dell'autore romano e se ne serve per smascherare i meccanismi del potere. La prova della valutazione negativa della "costanza" di Lipsio è nell'introduzione del Ragguaglio, dove si accusa il critico di essere passato da un errore, quello di considerare Tacito empio, al suo opposto, ovvero di ritenerlo un'autorità indiscussa.

L'esame di questi due ragguagli ci è servita per evidenziare il complesso rapporto che intercorre tra Boccalini e Lipsio; complessità che, a mio avviso, deve indurci a riflettere sulla possibilità che il lauretano nell'invenzione del genere ragguaglio parnassiano sia stato influenzato anche dall'imitazione che Lipsio nel suo Somnium aveva fatto della ridicola deificazione di Claudio di Seneca.419 Questo gioco accademico ebbe un'eco

notevole nella repubblica letteraria dell'epoca e portò alla rinascita del genere menippeo e alla sua prima codificazione nel 1605, ad opera del Casaubon.420 Boccalini, anche in

questo caso, si sarebbe posto come rivale di Lipsio e partendo da uno spunto imitativo accademico, come poteva essere quello del Somnium lipsiano, avrebbe sviluppato un nuovo genere "italiano" con lo stile e le tematiche proprie della satira menippea; in altri termini avrebbe dimostrato alla repubblica delle lettere come fosse possibile passare dall'imitazione di un grammatico "oltramontano", sterile e pedante, all'invenzione impegnata di un letterato italiano, caratterizzata da uno stile originale nel quale la letteratura diventava politica e la politica letteratura.

La satira di Lipsio rappresenta un sogno in cui il critico assiste ad un Consiglio di letterati senatori nel tempio di Apollo a Roma, dove si discute sulla bontà o meno della filologia e delle edizioni contemporanee.421 Il critico si immagina in tarda notte, solo, nel

foro romano sotto il Monte Palatino dove si trova il Tempio di Apollo; verso l'alba, vede giungere varie ombre dalla biblioteca Tiberina e dalla biblioteca Ulpia con in mano dei

418 Ivi, p. 330.

419 Già Varese aveva suggerito un possibile accostamento tra le due opere, pur tra piccole inesattezze: "Con il sottotitolo di Satyra

Menippea, Giusto Lipsio dedicava nel 1585 a Giulio Cesare Scaligero un suo Somnium, Lusus in nostri aevi criticos. in questo sogno egli immagina non soltanto di vedere degli uomini pallidi, macilenti, che entrano nel Senato dell'antica Roma, uscendo dalla biblioteca, ancora affaticati dei maltrattamenti dei critici, ma, addirittura, di rivolgersi ad Apollo. Contro i danni, contro i capricci della critica, si chiede e si invoca da Apollo un valido aiuto, una garanzia contro le ingiuste offese: si intrecciano discussioni, intervengono Sallustio e Ovidio, appare l'umanista Cristoforo Longolio, vittima giovanile della maldicenza e dell'acredine dei critici e di un amore troppo acceso per la bella forma latina. Anche qui si distende nella satira un motivo caro a Boccalini, la protesta contro la pedanteria, contro il rigore presuntuoso dei critici; anche qui si riuniscono come a parlamento antichi e moderni personaggi; anche qui Apollo viene invocato come custode, guida e insieme simbolo, della letteratura". C. Varese, Traiano Boccalini, Liviana, Padova 1958, p. 31-32. Ricordiamo invece che la princeps dell'opera è del 1581. È dedicata a Giuseppe Scaligero e anche se la satira è autoironica e vuole mettere in ridicolo i cattivi filologi e alcune edizioni scorrette, vuole allo stesso tempo legittimare la moderna filologia critica di cui Lipsio si dichiara seguace.

420 Cfr. I. A. R. De Smet, Menippean satire and the republic of letters, 1581-1655, Droz, Genève 1996. Come sottolinea la studiosa,

una delle prime compiute definizioni di satira menippea nell'età moderna viene formulata da Casaubon nel 1605, proprio sulla scia del Somnium lipsiano e di un'archeologica ricerca sul genere. I. Casaubon, Isaaci Casauboni De satyrica Graecorum poesi, & Romanorum satira libri duo. In quibus etiam poetae recensentur, qui in vtraque poesi floruerunt, apud Ambrosium & Hieronymum Drouart, via Iacobaea, sub scuto Solaris aurei, Parisiis 1605. Nota Limetani, per quanto riguarda la satira in versi, come sulla scia di Giulio Cesare Scaligero, di Lipsio e di Casaubon, anche il Boccalini proclami principe della satira latina Giovenale. U. Limetani, La satira nel Seicento, Riccardo Ricciardi editore, Milano-Napoli 1961, pp. 12-14.

421 "Cum ecce exortum est genus hominum audax, inquies, ambitiosum, qui Correctores se dicunt". J. Lipsius, Satyra Menippaea, cit.,

123 libri, dirette verso il tempio. Tra queste riconosce il suo amico letterato Janus Dousa che gli spiega come quelle persone che a lui sembrano semplice volgo siano in realtà dei senatori-letterati, e prendendolo per mano lo conduce come in processione verso l'entrata del tempio. Sul portico dell'entrata è affisso un avviso in cui Cicerone per la mattinata indice un'assemblea senatoria. Il narratore nota che nel tempio entrano pochi vecchi, pochi uomini, molti giovani e qualche adolescente. Mentre tutti entrano, Dousa spiega a Lipsio che il console del senatoconsulto è Cicerone insieme a Plauto, quest'ultimo a causa di un malanno però non poteva presiedere all'assemblea: fuor di metafora il malanno di Plauto indica le forti scorrezioni ricevute da parte dei filologi e degli stampatori moderni. Hanno così inizio le orazioni: l'orazione di Cicerone è contro quelli che lui chiama i "Correctores" moderni che hanno messo in serio pericolo le lettere classiche e per i quali chiede l'applicazione della legge Cornelia, istituita contro gli assassini e sicari. Lipsio e l'amico si sentono chiamati in causa dalle accuse e hanno paura per la loro incolumità. Seguono le orazioni di Sallustio e di Ovidio in linea con quella di Cicerone. Quando tutto sembra perduto e il senato sembra eleggere la posizione di Cicerone prende la parola Varrone, che con un'abilissima orazione riesce a convincere dell'importanza della filologia moderna e del bene che fino a quel momento aveva apportato alle lettere classiche. L'assemblea quindi cambia improvvisamente opinione e accetta di riformare e non di sopprimere la filologia. Si stabiliscono allora alcune regole per questi Correctores e le conseguenti pene.422

Questa satira fu composta da Lipsio durante il suo soggiorno lavorativo all'università di Leiden e l'obiettivo, come ha spiegato molto bene Ingrid A. R. De Smet, è quello di censurare un tipo di filologia cinquecentesca a suo avviso scorretta e all'opposto di