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Il titolo dell'opera Ragguagli di Parnaso

2 Il genere misto De' ragguagli di Parnaso e della Secchia rapita

2.2 Il titolo dell'opera Ragguagli di Parnaso

Il titolo dell'opera, inizialmente Avvisi di Parnaso219 e in definitiva nella princeps,

De' Ragguagli di Parnaso220, ci fornisce la prima sintesi del procedimento utilizzato dallo

scrittore, che ha inteso realizzare l’accostamento di una dimensione temporale cronachistica, funzionale e attualizzante, (come può essere quella dei fogli volanti che periodicamente uscivano nelle città, o delle lettere che ragguagliavano su eventi più o meno notevoli), ad una atemporale e letteraria come è quella per antonomasia del Parnaso; lo stesso titolo ci dà una precisa indicazione della forma utilizzata nell'opera e cioè quella di cronache in maschera letteraria e argomenti letterari in maschera cronachistica. La scelta di Boccalini per un titolo da un certo punto di vista più rematico che tematico221 è

216 TRAIANO BOCCALINI, cit., p. 372. Come afferma giustamente M. Bilotta: "Testimonianza del ricorso alla dissimulazione nei

Ragguagli di Parnaso è la regolarità con cui i più feroci attacchi ad personam sono –paradossalmente, ma non troppo– anonimi e tale uso dell’anonimia può persino essere esplicitamente sottolineato dal gazzettiere, come avviene nel ragguaglio I, 100, in cui si presenta ad Apollo “un virtuoso, il nome del quale il menante, che non vuol tirarsi addosso qualche brutta ruina, giudiciosamente tace”. L’atto del tacere, “giudiziosamente”, per evitare ritorsioni è, dunque, tematizzato nell’opera, con un fine incastro metaletterario. Il ricorso alla dissimulazione da parte in primis dell’autore e quindi della voce narrante funziona come sostengo e giustificazione extratestuale a quella legittimazione della strategia del silenzio che affiora poi sistematicamente nel testo. La satira moralistica si trasforma continuamente in mascherata allegorica dai precisi intenti comici". M. Bilotta, Silenzio e inganno: L'amara scienza della dissimulazione tra Tasso e Accetto, New Brunswick-New Jersey January 2008, pp. 229-30.

217 TRAIANO BOCCALINI, cit., p. 965.

218 Per la definizione di paratesto e per la sua importanza per la caratterizzazione del testo si veda G. Genette, Soglie, cit..

219 Lettera del 28 settembre 1607 ad Enrico IV: "Il tempo poi che m'avanza dalle mie fatiche sopra Tacito ho speso per mia ricreazione

in questi Avvisi di Parnaso, nei quali, scherzando nelli interessi de' principi grandi e nelle passioni degli uomini privati, sensatamente ho detto il vero". TRAIANO BOCCALINI, cit., p. 822.

220 T. Boccalini, De’ Ragguagli di Parnaso. Centuria prima, Pietro Farri, Venezia 1612 e T. Boccalini, De’ Ragguagli di Parnaso.

Centuria seconda, Barezzo Barezzi, Venezia 1613.

221 Per le definizioni di titolo rematico e tematico si veda G. Genette, Soglie, cit., pp. 81-88. Secondo la definizione del teorico francese,

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dovuta alla consapevolezza dell'eterogeneità dell'opera e alla volontà di porre l'accento sulla forma mista utilizzata. Il titolo, quindi, suggerisce subito una possibile stilizzazione del genere ragguaglio ed una possibile deformazione realistica del Parnaso. In aggiunta, dal punto di vista linguistico-letterario, il titolo segnala un accostamento tra una parola di nessuna tradizione letteraria con un'altra fin troppo classica e classicistica, dando il metro stilistico dell'opera. L'ossimorico accostamento, ripreso dal poemetto degli Avvisi di

Parnaso di Caporali, racchiude in sé simbolicamente la dimensione mista del genere, il

suo carattere storico-politico e letterario, la sua maschera paradossale e carnevalesca; mentre la variazione del titolo da Avvisi a Ragguagli rappresenta l'appropriazione e la differenziazione del genere attuata da Boccalini. Ma vi è qualcosa in più, il titolo infatti è già una prima satira delle stampe dell'epoca dei menanti, nelle quali l'opinione pubblica periodicamente veniva ragguagliata sui fatti politici e di costume più rilevanti, spesso filtrati e suggeriti dall'apparato politico e propagandistico del potere. Il carattere di travestimento storico dei ragguagli era ben evidente ai letterati del tempo e non a caso Tassoni, come abbiamo visto, li definiva "cicalamenti", cioè "baie", cose inventate, a cui uno storico o una persona di lettere non doveva prestare attenzione per comprendere la realtà e descriverla. Mattia Franzesi in un suo bernesco Capitolo sopra le nuove ci fornisce un ritratto caustico e attendibile di questa moda pervasiva già verso la metà del Cinquecento:

Poich'adesso, Busino, ognun m'affronta Perch'io gli faccia parte della Nuove, Nuove, che non le sa, chi le racconta. Prima che questa cosa esca d'altrove, Io vò dir delle Nuove in questa carta, Acciocché sempre in man me la ritrove. Voglion costoro, avanti ch' e' si parta, Non ch' e' giunga un corriere, aver, l'avviso, Quando la fama ancor non se n'è sparta. E non han prima guardatoti in viso, Che dopo quel baciare alla Spagnuola, Dopo una sberrettata, un chino, un riso: Dopo la prima, o seconda parola, T'affrontan con un certo, che si dice? Dicesi, ch'ognun mente per la gola [...]

Discorron Turchi, Italie, e Spagne, e France, Armate, libertà, guerre unioni,

E pesan tutto con le lor bilance.

che comportano, chiaramente separati, un elemento rematico (il più spesso generico) e un elemento tematico [...]. Tutti i titoli di questo tipo cominciano con una designazione di genere, e dunque del testo, e continuano con una designazione del tema". Ivi, p. 88. Ma, a mio avviso, il teorico avrebbe dovuto fare un'ulteriore distinzione tra titoli "seri" e titoli "comici" dove i secondi ovviamente utilizzano un falso tema, come in questo caso potrebbe essere quello del Parnaso, per evidenziare esclusivamente il carattere paradossale dell'opera e quindi il suo rema.

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Qualcun'altro la grazia si mantiene Del suo Padron; perché con queste cose O false, o ver, lo piaggia, e lo 'ntrattiene. Certe Brigate son sì curiose,

Che stan sempre in orecchi, e ne dimandano, E cercan di scoprir le Nuove ascose. [...]

Le Nuove cosa son da Imbasciadore, Da uomin grandi di stato, e di governo, E non da quei, che van per la minore. [...]

Lasciamo astrologare a chi indovina Per vie di conghietture, e di discorsi, E col cervel fantastica, e mulina.222

La ridicolizzazione di questi primi fogli giornalistici era una pratica popolare largamente diffusa, come è possibile attestare da un autore sensibilissimo alle carnevalizzazioni popolari e di piazza qual è Giulio Cesare Croce. Nella sua opera ce ne fornisce alcuni esempi, nei quali il gioco parodico è tutto incentrato sulla ovvietà e sull'inutilità di questi Avvisi venuti da tutte le parti del mondo; ne riporto solo uno tra i più curiosi per dare il metro della parodia:

In Tortona, alli 16 di giugno, fu trovato un huomo morto in una fossa, e si tiene che fusse vivo prima che morisse, e di tale opinione sono tutti quelli che hanno un poco di giudicio.223

Essa inoltre ha una legittimazione anche classicistica nel genere delle Facezie di Poggio Bracciolini che così ridicolizza alcune lettere-ragguaglio inverosimili:

XXXI Un prodigio

Quest'anno la natura ha prodotto parecchi mostri in luoghi vari. Nella zona di Senigallia (che è nel Piceno) una vacca ha partorito un drago di eccezionale mole, con la testa più grossa di quella di un vitello, il collo lungo un braccio, il corpo come quello di un cane e anche più lungo. [...]. Questo almeno a quanto riporta una lettera di Ferrara.224

La nobilitazione di questa carnevalizzazione in letteratura, come ho già accennato, è opera di Cesare Caporali, il quale in un poemetto bernesco in terzine gli dà uno statuto artistico maggiormente definito e stilizzato, immettendovi inoltre quel carattere satirico e polemico che poi verrà approfondito e reso organico e onnicomprensivo da Boccalini. Il carattere qualificante della riproposizione del titolo di Caporali nell'opera del lauretano è

222 M. Franzesi, Capitolo sopra le nuove, in Il secondo libro dell'opere burlesche, di M. Francesco Berni. Del Molza, di M. Bino, di

M. Lodovico Martelli. Di Mattia Francesi, dell'Aretino, Et di diversi autori, In Fiorenza 1555, cc. 58-59.

223 G. C. Croce, L'Eccellenza e Trionfo del Proco, e altre opere in prosa, a cura di Monique Rouch, Pendragon, Bologna 2006, p. 132. 224 P. Bracciolini, Facezie, I classici Bur, Milano, 1983, pp.151-153.

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dimostrato anche dalla prima variazione in "Avvisi dei menanti di Parnaso",225 che

riprende i primi due versi degli Avvisi di Parnaso del perugino e suggerisce una visione della prima stesura non organizzata sotto il punto di vista di un unico menante:

Per questi ultimi avvisi de' Menanti, Che scrivon di Parnaso a questi, e quelli, Ch'ogni mese li pagano in contanti. Chiaro Signor, nato a favor de' belli Ingegni, ci son nuove assai maggiori, Che se 'l Doria battesse i Dardanelli. Io n'ho trascritto una sol copia, e fuori Ch'a me stesso, a nessun l'ho mostra e letta, Per dubbio degli ingordi Stampatori.226

In questi versi si mette in evidenza, in apertura, anche la prima polemica sul carattere prezzolato e interessato de' Menanti, ai quali il poeta oppone una sorta di libera narrazione metapoetica sul ruolo del letterato e sullo stato delle lettere nel suo secolo, concludendo l'immagine dell'introduzione ai suoi avvisi, con gli "ingordi Stampatori", che pubblicavano ogni sorta di ragguagli e lettere di ragguagli, senza statuto di veridicità. La tirata satirica del perugino si dispiega nel capitolo-avviso,227 variazione del capitolo

epistolare bernesco, rappresentando un allegorico Stato di Parnaso, dal quale arrivano notizie allarmanti sulla condizione dei poeti, i quali sono costretti ad armarsi per fare guerra agli ignoranti e ai prìncipi ingrati, denunziando una situazione di immoralità delle corti e il poco conto che si tiene della virtù e delle lettere, in mancanza di una disinteressata liberalità.

Questi Avvisi rappresentano sia lo spunto sul quale Boccalini ha costruito la sua idea di genere macroscopico di ragguaglio parnassiano; che uno dei fili, non di poco conto, con il quale ha tessuto la sua opera.228 L'idea di utilizzare la maschera allegorica degli

avvisi provenienti da Parnaso è per entrambi una scelta ideologica sul fronte delle lettere, della cultura e della verità. La consapevolezza del ruolo politico e sociale delle lettere e la problematizzazione dello statuto del letterato non deve essere ritenuta una condizione banale del letterato di fine Cinquecento e di inizio Seicento, e lo stile allegorico con il quale questa consapevolezza si maschera deve essere studiato come una particolarità di

225 Lettera del 20 giugno 1609, Al cardinal Scipione Caffarelli-Borghese. TRAIANO BOCCALINI, cit., p. 824.

226 C. Caporali, Rime di Cesare Caporali perugino diligentemente corrette, colle osservazioni di Carlo Caporali, nella stamperia di

Mario Riginaldi, Perugia 1770, p. 380.

227 "Analogo percorso, dalla prestezza al disegno, alla progettualità che muta una scrittura di servizio in letteratura, conosce l'avviso,

anche qui con l'invenzione di un genere nuovo: gli "avvisi di Parnaso". E ulteriori rivelatori cortocircuiti si creano con la lettera. Il primo autore di Avvisi di Parnaso, il perugino Cesare Caporali, mescida infatti due modelli: il modello formale è quello dell'avviso a stampa, da lui messo in rima, ma la inventio deriva da una lettera dell'Aretino che descrive un viaggio di Parnaso da lui compiuto in sogno". G. Genovese, Tra «prestezza» e «disegno», I generi dell'avviso e della lettera, pp. 31-45, in Festina Lente, Il tempo della scrittura nella letteratura del Cinquecento, a c. di C. Cassiani e M. C. Figorilli, Ed. di Storia e di Letteratura, Roma 2014, in particolare p. 38. Bisogna però ricordare che il genere del capitolo epistolare bernesco funge da mediatore stilistico tra la lettera del sogno di Parnaso di Aretino e quello che diventerà il capitolo-avviso di Caporali.

228 Come nota Varese, anche se il discorso del critico si restringe alla spiegazione dell'opera di Boccalini; nelle pagine di Caporali:

"[...] predomina il tono scherzoso e la satira si restringe soprattutto alla letteratura, a una letteratura puramente letteraria. Per intendere invece il valore di questi Ragguagli, bisogna tener presente che in questo genere letterario, per la sua stessa natura confluiscono vari elementi, allo stesso modo che nel linguaggio del Boccalini confluiscono vari linguaggi". C. Varese, Traiano Boccalini, Liviana Editrice, Padova 1958, p. 30.

61 questi scrittori e non, come accade soprattutto per Caporali, come una farraginosità stilistica o una manieristica ripresentazione della tradizione burlesca della prima metà del Cinquecento. Una rappresentazione satirica alla maniera di Caporali diventa un passaggio obbligato per un letterato moderno come Boccalini, per la consapevolezza del definitivo iato che si è venuto a creare tra l'ambiente cortigiano e la libertà del letterato, il quale deve iniziare a trovare altre strade per dedicarsi alle lettere in maniera non funzionale al potere o ai poteri dominanti. La rappresentazione del "secolo" negli Avvisi di Parnaso, oltre ad indicarci un immaginario allegorico persistente in Boccalini, ci fornisce una sintesi della capacità poetica e della fantasia morale al servizio dello statuto parresiastico della letteratura di Caporali:

Scrivon, ch' i Commissarj della guerra, Mentre facean cavar sotto le mura, Per far nuovi bastioni a quella Terra, Ha trovata una statua, una figura D'oro, e di bronzo, e parte di cristallo, D'antica, e nobilissima fattura;

Che sopra un Mappamondo sta a cavallo, E sott' i piedi ha la Fortuna, e il Caso Per proprio fondamento, e piedistallo; Mezzo il capo ha la chioma, e mezzo è raso Dalla curva collottola per retto

Diametro, scendendo sin' al naso; Su 'l qual per dar gli Scrittor soggetto, Si dice, ch'ella porta un par d'occhiali Di stravagante, e non più udit'effetto. Perocchè scrivon questi naturali,

Che son d' un'osso d'India, il qual s'appanna Al Sol delle virtù sante, e morali;

Talchè lontan non veggono una spanna, Nè di nettarli alcun presume, od osa; Così 'l vizio a le tenebre la danna! Stà con la bocca aperta, e desiosa La statua, e mostra una mirabil sete D'ogni ricca materia, e preziosa; Se ben versar per entro l'inquiete Fauci dell'ampia, e trasparente Gola Le si veggion' ognor varie monete. Non ode fuor che d' un'orecchia sola, Ch'essend' a quella d'asino conforme, Mai non sente armonia, ne la consola. Tumido poscia, orribil' e deforme Ha l'Idropico ventre cristallino, Tutto ripien di ricche, e varie forme.

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Quì le rendite, i censi, e quel meschino Del perpetua Tributo alberga, e siede, Col giogo d'or sul collo à capo chino. Qui l'empia Usura, ch' in poch'anni eccede Di gran lunga la sorte principale,

Quasi in Corpo Dìafano si vede. Siede la Statua in atto trionfale,

E mostra 'l membro d'or gonfiato, ed erto, Coi testicoli a guisa di Cinghiale. Indi col braccio d'Edera coperto, E armato di manopola ribatte

Da se l'afflitto, e magro, e nudo Merto. Mentre da man sinistra porge il latte A un Satir, che l'aurata Idropisia Asciugando le va con le mignatte. Qui 'l Menante è confuso, e quel che pria Dovea narrar, per ultimo ha lasciato, Che i piè di questa Statua eran d'Arpia. Si dice che l'Oracolo dimandato Rispose, che quest'era il Secol nostro, Sott'orribil metafora mostrato.229

Questa "figura" può essere ritenuta una mise en abyme dell'opera satirica del perugino dove vengono riportati allegoricamente i caratteri viziosi del secolo: l'avere gli occhiali appannati che non permettono di vedere-vedersi, l'idropisia e la grassezza come ambizione smisurata e immorale, il fustigare il merito e quindi innalzare la servitù e l'ipocrisia; vizi che alimentano e nutrono la poesia satirica: "[...] il latte / A un Satir, che l'aurata Idropisia / Asciugando le va con le mignatte", immagine che emblematicamente sigilla il carattere indispensabile, purgante, medicante, della Satira.

Ho parlato di una possibile parodia della scrittura giornalistica, ma in realtà l'operazione compiuta da Boccalini, come prima da Caporali, risulta essere anche una nobilitazione dello stato di menante230 e del genere giornalistico degli avvisi e dei

ragguagli, in quanto ciò che si prefigge lo scrittore è proprio quel "dir daddovero" che dovrebbe essere proprio di colui che riporta i fatti storici al principe o ai virtuosi per "medicarli" ed istruirli.

229 C. Caporali, Rime di Cesare Caporali perugino diligentemente corrette, colle osservazioni di Carlo Caporali, cit., pp. 391-394. 230 "Il mestiere di gazzettiere ha goduto a lungo di pessima fama. A Roma chi redigeva e vendeva fogli manoscritti di notizie era

correntemente chiamato menante, che secondo un ingegnoso etimologista della metà del Seicento poteva derivare dal participio latino <minans>, che minaccia. La fantasiosa ipotesi lascia trasparire un'immagine ribadita e consolidata nel tempo. Il gazzettiere era personaggio poco affidabile, pronto a cacciarsi nei guai , un po' spia, un po' infido e pettegolo narratore di vicende per palati grossi. Dallo stile maldestro e fantasioso, era palesemente incurante oltre che delle norme della grammatica e della retorica, anche di quelle della morale. Era il prototipo dello scrittore prezzolato, indifferente alle ragioni della verità, sempre pronto ad offrirsi al migliore offerente e ad alterare per questo la versione dei fatti. La corrente accezione spregiativa del termine gazzettiere a cui è già capitato di accennare sta tutta qui: il gazzettiere delle origini fu sempre sensibilissimo alle ragioni del committente diretto, piuttosto che a quelle di una inimmaginabile etica professionale fondata sulle esigenze di lettori non identificabili, per altro ancora lontanissimi dal reclamare particolari diritti". M. Infelise, Prima dei giornali: alle origini della pubblica informazione (sec. 16.-17.), Laterza, Roma 2002, p. 19.

63 La storia degli avvisi può risalire fino all'epoca romana, nella quale giornalmente si registravano i fatti notevoli successi sia nella città eterna che nei vari territori soggetti al potere di Roma. Abbiamo testimonianze di vari scrittori storici e politici, che si servivano di questi proto-documenti dell'epoca per redigere le storie, oppure per informarsi su cose minute, erudite, curiose, magari sfuggite alle penne di maggior grido. Attestazioni ci sono in Tacito, in Sallustio e in altri.231

Ma è l'epoca moderna quattro-cinquecentesca che vide il nascere e lo svilupparsi di quel tipo di scrittura che va sotto il nome di Avvisi, di Ragguagli, di Gazzette. Inizialmente manoscritti in fogli volanti o all'interno di lettere private,232 diventarono in seguito un

vero e proprio genere informativo e pubblicistico sugli eventi notevoli e istituzionali del mondo e sulle dinamiche commerciali ed economiche. Il processo di democratizzazione culturale, avviato dalla nascita della stampa e da un infittirsi della rete postale in tutti i maggiori centri culturali europei e non solo, iniziò a produrre una maggiore diffusione e riproduzione degli scritti letterari e delle notizie del mondo; dinamiche queste che andavano di pari passo con questo nuovo modo di informare ed informarsi. L'informazione inoltre, incominciò a specializzarsi in strumento di creazione dell'opinione pubblica: le notizie, prima relegate negli ambienti del potere, videro nel corso del Cinquecento una loro diffusione popolare nelle piazze, nei mercati e nelle botteghe dei semicolti, che con avidità recepivano e discutevano i fatti narrati negli avvisi, e magari come abbiamo visto in Giulio Cesare Croce li satirizzavano. Da lettura privata di corte diventarono veicolo delle discussioni e degli umori dei popoli, anche grazie a letture pubbliche e all'esiguo costo dei fogli e all'interesse per un tipo di narrazione continuata e periodica su alcuni fatti eclatanti.233 Naturalmente ciò produsse un'attenzione

da parte delle autorità politiche dell'epoca, che cercava di controllarne la stampa e arginarne la diffusione con proibizioni e pene esemplari, ma ciò nonostante la pratica degli Avvisi non conobbe un arresto e anzi divenne diffusissima e praticata in tutte le grandi città, prime fra tutte Roma e Venezia, che in Italia detenevano il primato per quantità e qualità delle notizie. A fare le spese di questa attenzione censoria del potere furono anche nomi eccellenti, primo fra tutti Niccolò Franco, autore tra l'altro conosciuto e apprezzato da Boccalini e probabilmente imitato in alcuni luoghi della sua opera.

231 Ibid..

232 Per la sovrapposizione dei generi lettera-avviso nel quattro-cinquecento si può essere d'accordo con Genovese: "In primo luogo è

dalla lettera che nasce l'avviso, uno dei più importanti generi della prestezza. Legato alla contingenza, a un evento specifico, a un lasso di tempo delimitato, l'avviso a stampa è infatti in origine nient'altro che una lettera stampata, secondo due tipologie: una lettera privata che viene resa pubblica - in tutto o in parte -perché contiene notizie ritenute di interesse comune, o un testo concepito per la riproduzione seriale ma che della lettera conserva le caratteristiche formali: destinatario reale, luogo di partenza, clausole di apertura e di chiusura". G. Genovese, Tra «prestezza» e «disegno», I generi dell'avviso e della lettera, cit., p. 32.