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Alberto Piccinini*

Nel documento La discriminazione per maternità e dintorni (pagine 186-192)

Per parlare delle discriminazioni politiche e sindacali dobbiamo partire dal 1966 l’an- no in cui, per la prima volta una legge - la n. 604 che disciplina i licenziamenti - pre- vede una forma di tutela antidiscriminatoria, riferita a quelle posizioni che all’epoca si riteneva necessitassero di maggiori protezioni. Secondo l’art. 4 della legge 604/66 il licenziamento determinato da credo politico o fede religiosa (tutte le religioni, dal momento che non c’è alcuno esplicito riferimento alla sola religione cattolica, per quanto i patti lateranensi non fossero ancora stati modificati) dall’appartenenza a un sindacato o dalla partecipazione ad attività sindacali è nullo indipendentemente dalla motivazione. Annotiamoci la rilevanza attribuita alla questione del credo poli- tico o dell’adesione al sindacato o alle sue forme di lotta.

Analogamente, pochi anni dopo, nello Statuto dei Lavoratori del 1970 troviamo l’art. 15 che allarga l’ambito della tutela, estendendola al momento dell’assunzione e rafforzandola in costanza di rapporto (in caso di assegnazione di qualifiche o man- sioni, di trasferimento, di esercizio del potere disciplinare) e in occasione della sua cessazione, sempre con riferimento all’affiliazione, all’attività sindacale ovvero alla partecipazione ad uno sciopero. Nel ‘70 ci fermiamo qua, perché evidentemente la sensibilità sociale era quella che era, ancora fortemente condizionata dai licenzia- menti e dalle discriminazioni subite presso la Fiat negli anni 50 motivate da quelle sole ragioni. Poi nel ‘77 arriva un primo “innesto” all’art. 15 dello Statuto con l’esten- sione della tutela anche rispetto a patti od atti finalizzati a discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua o di sesso. Dobbiamo attendere 25 anni per avere infine l’ultima integrazione su quel testo di legge: il d.lgs 216/2003 sulla parità di tratta- mento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, recependo la Direttiva comunitaria 78/2000, aggiunge anche le ipotesi di handicap, età, orientamento ses- suale, convinzioni personali.

Il quadro quindi è abbastanza chiaro: l’ultima integrazione di cui ho parlato – che recepisce la Direttiva del 2000 – nell’estendere la protezione ad ulteriori fattispecie e nel richiamarle tutte, non lo fa, espressamente, per la discriminazione sindacale. È vero che, se ci limitiamo ad esaminare la tutela del licenziamento discriminatorio, dobbiamo riconoscere che essa non è venuta meno né con la legge Fornero (che pur

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ha ridimensionato le possibilità di reintegrazioni dell’art. 18) né con il cd. Jobs Act, il decreto legislativo n. 23 del 2015, che ha eliminato la possibilità di reintegrazione in quasi tutte le ipotesi di licenziamento privo di giusta causa o giustificato moti- vo, ha pur tuttavia continuato a tutelare il lavoratore dalle discriminazioni elencate nell’art. 15.

Quindi la tutela antidiscriminatoria esiste ed è forte nel nostro ordinamento, anche se non ha impedito comportamenti datoriali per i quali si è reso necessario l’inter- vento della magistratura.

Ma quali strumenti processuali abbiamo a disposizione? L’analisi di due casi concreti

fornisce un esempiopraticodi come l’intervento di tutela giudiziaria possa essere

diversamente modulato1. Uno strumento “classico” è il ricorso all’art. 28 dello Statu-

to dei Lavoratori, sostanzialmente invariato da oltre cinquant’anni, che prevede uno speciale procedimento sommario che può essere promosso dal sindacato di cate- goria territoriale presso il Tribunale del luogo dove si è realizzata l’antisindacalità. Il Giudice in tempi rapidissimi deve prendere dei provvedimenti che facciano cessare il comportamento antisindacale e rimuoverne gli effetti. A questo si è aggiunto un ulteriore strumento di tutela: mi riferisco, in particolare, all’art. 28 (stesso numero, ma diversa legge) del decreto legislativo n. 150/2011 che richiama il procedimento sommario di cognizione disciplinato dall’art. 702 bis c.p.c. per le controversie in ma- teria di discriminazione. Si riprendono formule e rito analoghi all’art. 28 Stat. Lav. rivelatisi particolarmente efficaci e celeri.

Veniamo al primo caso. Nell’estate del 2010 tre delegati della Fiom dello stabili-

mento Sata2 di Melfi sono stati licenziati perché accusati di aver impedito, durante

1 Non sarà oggetto di questo intervento un terzo caso giudiziario, riguardante sempre la FIAT, unica- mente perché non concerne specificatamente la discriminazione. Ma poiché esso è strettamente con- nesso con il secondo caso trattato (stabilimento di Pomigliano d’Arco) si ritiene opportuno riportarlo in nota.

Il fatto si svolge nello stabilimento di Pomigliano d’Arco quando la FIAT pone in essere un’operazione quasi diabolica tanto sofisticata dal punto di vista giuridico: dopo essere uscita da Confindustria e Fe- dermeccanica, disdiceva tutti gli accordi aziendali e nazionali sottoscritti, incluso anche l’accordo inter- confederale che prevedeva le RSU (Rappresentanze Sindacali Unitarie) ripristinando la vecchia forma di rappresentanza prevista dallo Statuto dei Lavoratori, le RSA (Rappresentanze Sindacali Aziendali). Qual è la differenza? Mentre le RSU sono elette, le RSA sono nominate ai sensi dell’art. 19 Stat. Lav. da sindacati che abbiano firmato i contratti collettivi applicati in azienda, e dato che la FIOM non era tra i firmatari degli stessi il gioco è fatto. Sono stati promossi 30 ricorsi per comportamento antisindacale in tutta Italia dal collegio difensivo della FIOM. Molti giudici hanno dato un’interpretazione costituzio-

nalmente orientata dell’art. 19 considerando che la FIOM era ed è a livello nazionale il sindacato com-

parativamente di gran lunga più rappresentativo ed evidenziando come fosse ingiusto che non avesse le sue rappresentanze. Altri giudici hanno interpretato l’art. 19 in modo letterale respingendo i ricorsi. Infine, quattro giudici hanno sollevato la questione di costituzionalità della norma, sulla quale si è poi pronunciata la Corte Costituzionale con la sentenza n. 231/2013 “additiva”, che ha modificato l’art. 19 dello Statuto dei Lavoratori sancendo che per nominare una RSA non è necessaria la sottoscrizione del contratto applicato ma è sufficiente aver partecipato alle trattative.

2 La Fiat, poi FCA, oggi STELLANTIS, in ogni stabilimento assume una diversa ragione sociale, ma è (era) sempre la FIAT.

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uno sciopero notturno, il passaggio di un carrello che doveva portare del materiale ai lavoratori che non scioperavano. Il caso è finito su tutti i giornali ed ha avuto un lungo e tormentato iter processuale. Con decreto ai sensi dell’art. 28 dello Statuto dell’agosto 2010 il Tribunale di Melfi ha disposto un ordine di reintegrazione: i tre licenziamenti sono stati ritenuti non solo antisindacali, ma anche discriminatori, in quanto - a seguito di istruttoria - è emerso che il carrello si era fermato davanti ad un assembramento di circa 50 lavoratori di tutte le sigle sindacali, ma casualmente gli unici tre licenziati sono stati quelli della FIOM... Il Tribunale di Melfi in veste di giudice dell’opposizione (perché questa procedura prevede che il decreto venga im- pugnato davanti a un diverso giudice dello stesso Tribunale) ha dato invece ragione all’azienda riformando il decreto con sentenza, che però veniva a sua volta ribaltata dalla Corte d’Appello di Potenza e poi confermata definitivamente dalla Corte di Cassazione dopo 3 anni.

Il secondo caso che vorrei presentarvi è relativo ad una discriminazione di tipo collettivo posta in essere nei confronti di centinaia di lavoratori iscritti alla FIOM: vi consiglio sin d’ora, per un approfondimento, di leggere l’ordinanza di primo grado del Tribunale di Roma e la sentenza della Corte d’Appello, ove sono stati meglio sviluppati gli argomenti ai quali ora farò un breve cenno. I fatti: nel 2010 la FIAT di- sdettava tutti gli accordi aziendali e nazionali sottoscritti, e sottoscriveva un accordo separato (senza la FIOM) che in vista di un forte investimento nello stabilimento di Pomigliano d’Arco per la produzione di nuovi autoveicoli tipo Panda, prevedeva la costituzione di una NewCo (denominata Fabbrica Italia Pomigliano – FIP S.p.A.) che avrebbe gestito lo stabilimento con l’assunzione progressiva del personale addetto già dipendente di FGA (Fiat Group Automobilies S.p.A.) avente ad organico circa 5000 dipendenti quasi tutti in cassa integrazione e praticamente destinata a morire. Le modalità di questo passaggio erano state disciplinate da un accordo che preve- deva che i singoli dipendenti rassegnassero le dimissioni dalla FGA per essere poi progressivamente riassunti a partire dal marzo 2011. Da marzo 2011 partono quindi le nuove assunzioni. Un anno dopo, nel marzo 2012 gli assunti a FIP ammontava- no a 1893, di cui nessuno iscritto alla FIOM. A questo punto il collegio di avvocati della FIOM ha promosso un ricorso al Tribunale di Roma in rappresentanza di 19 lavoratori nonché dal segretario Nazionale della FIOM, Maurizio Landini che agiva anche come rappresentante delle persone che non potevano essere individuate. Veniva utilizzato il rito antidiscriminatorio previsto dall’art. 28 d.lgs. 150/2011 (e quindi non l’art 28 dello Statuto dei Lavoratori) invocando il summenzionato d.lgs. 216/2003 – di attuazione della Direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro - anche allo scopo di utilizzare una serie di agevolazioni processuali che attribuiscono rilevanza al dato statistico. In giudizio fu prodotta una relazione del Prof. Olson (docente di statistica presso l’U- niversità di Birmingham) che dimostrava che in una selezione casuale le probabilità che nessun iscritto FIOM venisse assunto era una su dieci milioni. Ma un punto su cui vorrei soffermarmi riguarda un aspetto particolare relativo alla discriminazione sindacale che, come abbiamo visto, non è espressamente ricompresa tra le tante

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fattispecie elencate nel d.lgs. 216/2003. È quanto infatti ha eccepito la difesa della FIAT, sostenendo che la libertà sindacale non rientrasse tra le previsioni tutelate dall’art. 2 del d.lgs. 216/2003 secondo il quale “Ai fini del presente decreto e salvo quanto disposto dall’articolo 3, commi da 3 a 6, per principio di parità di trattamen- to si intende l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta a causa della religione, delle convinzioni personali, degli handicap, dell’età o dell’orientamento sessuale”.

Dov’è finita la libertà sindacale e la discriminazione per ragioni politiche o sindacali? Che abbia ragione la FIAT?

Nella memoria di controparte, scritta da bravi avvocati, si fa ricorso ad argomen- ti molto suggestivi. Uno di questi è quello per cui nel testo inglese della Direttiva (come nella sua traduzione) “religion or belief” vengono accorpati da una “o” men- tre tutte le altre ipotesi di discriminazione tutelate ( es. disabilità, età ecc..) vengono divise da una virgola. Dal momento che religion or belief sono accorpati, secondo la difesa della società belief dovrebbe intendersi come un “credo” particolarmente forte (es. quello dei seguaci di Scientology) e quindi non assimilabile a ragioni sin-

dacali3. Il tema è stato particolarmente sviscerato e approfondito dalla Corte D’Ap-

pello - che ha in parte riformato la sentenza di primo grado – con argomentazioni molto forti per replicare a tutte le varie eccezioni che vi invito ad andare a leggere ed approfondire.

Mi sia concessa un’ultima considerazione sul concetto di Religion or belief. Barack Obama, in un discorso tenuto nel 2008 per le primarie dell’Iowa, così si esprime: «Hope is the bedrock of this nation. Hope is the belief that destiny will not be written for us, but by us», ossia la speranza è il fondamento della nostra nazione. La speran- za è la convinzione che il nostro destino non è scritto per noi, ma da noi. Al di là della bellezza e della retorica di questa frase, vi faccio notare come in essa l’espressione belief non può che essere tradotta con “convinzione”: una convinzione certo pro- fonda, ma non certo riducibile al solo credo religioso. Mi sono quindi, a mia volta, convinto definitivamente della capziosità delle argomentazioni avversarie4.

3 Su questo specifico punto recentemente la Corte di Cassazione, con sentenza del 2 gennaio 2020 n. 1/2020, richiamando l’art. 13 del trattato di Amsterdam che modifica il Trattato sull’Unione Europea, i trattati che istituiscono le Comunità Europee e alcuni atti connessi, si è così pronunciata “La contiguità

dei due termini, religione e convinzioni personali, separati dalle altre definizioni da una virgola, pone in rilievo l’affinità dei due concetti, senza tuttavia confonderli.”

4 Sempre Cass .n. 1 del 2020, dopo aver fatto riferimento all’art 21 La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (c.d. Carta di Nizza) e richiamando lo spirito della Direttiva 2000/78, di cui il decreto legislativo costituisce attuazione, (in particolare l’art. 4 d.lgs.216/03, ha così definitivamente

(seppur in un diverso procedimento) statuito: Accedendosi ad una interpretazione delle norme coeren-

te con la ratio della norma comunitaria letta alla luce dei principi fondamentali del Trattato, nel caso specifico può senz’altro ritenersi che la Direttiva 2000/78/CE, tutelando le convinzioni personali av-

verso le discriminazioni, abbia dato ingresso nell’ordinamento comunitario al formale riconoscimento (seppure nel solo ambito della regolazione dei rapporti di lavoro) della libertà ideologica il cui ampio contenuto materiale può essere stabilito anche facendo riferimento all’art. 6 del TUE e, quindi, alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Infatti, se il legislatore comunitario avesse voluto compren-

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Merita infine di essere menzionata un’eccezione subordinata di controparte che, dopo aver negato per 40 pagine di aver in qualche modo voluto discriminare que- sti lavoratori (ha ad esempio affermato di aver assegnato l’incarico di decidere chi assumere a società esterne; ha dichiarato di non essere neppure a conoscenza di chi fosse o meno iscritto alla FIOM, eccetera) alla fine ha invocato l’esimente di cui all’art. 3 co. 3 del d.lgs. 216/20035 per giustificare la mancata assunzione dei lavo-

ratori iscritti alla FIOM. Negli scritti difensivi, la mancata assunzione dell’operaio iscritto alla FIOM viene equiparata a quella dello stuart che non vuole indossare la divisa della compagnia aerea o a quella del musulmano che non vuole lavorare di sabato: “Volendo ricorrere ad un esempio la mancata assunzione di una o più do- mestiche extracomunitarie o di religione islamica non è discriminatoria se consegue alla dichiarazione di indisponibilità a lavorare il sabato” e “la mancata assunzione di uno o più assistenti di volo iscritti a partiti politici o sindacati che rifiutano la divisa..” In buona sostanza la FIAT “getta la maschera”, ammettendo – candidamente, sep- pur… subordinatamente – di ritenere l’adesione alla FIOM un’inaccettabile mancata adesione alle regole aziendali: “Il pregiudiziale fermissimo rifiuto ribadito anche nel ricorso introduttivo di accettare i regolamenti e i contratti collettivi appare incompa- tibile con lo svolgimento dell’attività lavorativa che deve collocarsi in un contesto ag- gregato coordinato e retto da regole peraltro negoziati necessariamente uguali per tutti”. In tal modo la FIAT mostra di esigere non solo che le proprie regole vengano rispettate ma anche che esse siano condivise ed approvate. Siamo alla pretesa del controllo delle opinioni da parte del datore di lavoro, unita alla rivendicazione del diritto di estromettere i dissidenti… Ma questa eccezione subordinata ha anche una sua particolarità sotto il profilo tecnico-giuridico, e dal momento che vedo in sala giovani avvocati mi permetto di tenere una lezioncina su come graduare le difese. Se mi accusano di aver rotto un vaso io posso dire: a) che il vaso non è stato rotto; b)

dere nelle convinzioni personali solo quelle assimilabili al carattere religioso, non avrebbe avuto alcun bisogno di differenziare le ipotesi di discriminazione per motivi religiosi da quelle per convinzioni per motivi diversi. Il contenuto dell’espressione “convinzioni personali” richiamato dall’art. 4 d.lgs. 216/03 non può perciò che essere interpretato nel contesto del sistema normativo speciale in cui è inserito, restando del tutto irrilevante che in altri testi normativi l’espressione “convinzioni personali” possa essere utilizzata come alternativa al concetto di opinioni politiche o sindacali. Sicuramente l’affilia-

zione sindacale rappresenta la professione pragmatica di una ideologia di natura diversa da quella religiosa, connotata da specifici motivi di appartenenza ad un organismo socialmente e politicamente qualificato a rappresentare opinioni, idee, credenze suscettibili di tutela in quanto oggetto di possibili atti discriminatori vietati.

5 Art. 3 co. 3 d.lgs. 216/2003 Nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, nell’ambito

del rapporto di lavoro o dell’esercizio dell’attività di impresa, non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell’articolo 2 quelle differenze di trattamento dovute a caratteristiche connesse alla religio- ne, alle convinzioni personali, all’handicap, all’età o all’orientamento sessuale di una persona, qualora, per la natura dell’attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristi- che che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell’attività me- desima. Parimenti, non costituisce atto di discriminazione la valutazione delle caratteristiche suddette ove esse assumano rilevanza ai fini dell’idoneità allo svolgimento delle funzioni che le forze armate e i servizi di polizia, penitenziari o di soccorso possono essere chiamati ad esercitare.

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che è stato qualcun altro; c) che non l’ho fatto apposta. Ebbene: se dico che è stato qualcun altro riconosco che il vaso è rotto contraddicendo la prima affermazione; mentre se dico che non l’ho fatto apposta riconosco addirittura di averlo rotto io. Nel nostro caso la difesa della FIAT, nel richiedere l’applicazione dell’esimente, ha infine confessato di aver volutamente rotto il vaso...

Concludendo: l’affiliazione sindacale, che un tempo rappresentava lo zoccolo duro delle tutele contro le discriminazioni datoriali, ora è tutelata in quanto riconducibile alle convinzioni personali (nozione che racchiude una serie di categorie di ciò che può essere definito il “dover essere” dell’individuo che vanno dall’etica alla filosofia, dalla politica - in senso lato - alla sfera dei rapporti sociali, cfr. Corte D’Appello di Roma del 19.10.2012). Ma ciò è pacifico solo a seguito dei pregevoli sforzi interpre- tativi della giurisprudenza (da ultimo Cass. n. 1/2020).

Il dato non è, a parere di chi scrive, di poco rilievo: il fatto che ora la discriminazione antisindacale e politica debba essere ricavata per interpretazione ci dà la misura dell’epoca in cui viviamo. Da un lato, il corposo pacchetto di regole antidiscrimina- torie rappresenta certamente la realizzazione di un obiettivo di civiltà. Dall’altro lato però, l’aver “dimenticato” - non elencandola espressamente - la tutela dalla discri- minazione sindacale, può essere segno dell’obsolescenza in cui vengono confinati i corpi intermedi (la cui massima espressione storica sono stati propri i sindacati) della società. Infatti, se è vero che il tasso di affiliazione alle organizzazioni sindacali è in calo, ciò non significa affatto che sia venuta meno la necessità del loro ruolo o men che meno che non vi siano più discriminazioni dettate da motivi sindacali. Come dimostrano i casi citati.

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Discriminazioni basate sulla nazionalità e sulla

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