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L’eguaglianza e il dato religioso nella Carta costituzionale

Nel documento La discriminazione per maternità e dintorni (pagine 154-167)

Francesca Rescigno*

2. L’eguaglianza e il dato religioso nella Carta costituzionale

Come già evidenziato, con l’articolo 3 i nostri Costituenti non si sono limitati ad

6 Cfr. Sentenza Corte Costituzionale n. 53 del 1958 in Giurisprudenza Costituzionale 1958, 601 con osservazione di Esposito.

7 Per una ricostruzione completa del criterio della ragionevolezza cfr. A. Morrone, Il custode della

ragionevolezza, Milano, 2001.

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affermare in via generale l’eguaglianza davanti alla legge, ma hanno voluto sotto- lineare alcuni specifici parametri che non possono essere oggetto di trattamenti differenziati, e tra questi si evidenzia la religione, per cui siamo tutti uguali anche senza distinzione di religione. Il richiamo al dato religioso nell’ambito del principio di eguaglianza dimostra l’attenzione che il nostro ordinamento presta da sempre al fat- tore religioso sia perché l’esperienza religiosa viene considerata come un bene-va-

lore che contribuisce alla crescita della persona umana9; ma anche perché, al di là

dell’interiorità personale, la religione presenta una proiezione esteriore esprimen- dosi in una serie di atti che da sempre hanno inevitabili ricadute sulla sfera giuridi- ca sociale. È doveroso notare come il rapporto tra ordinamento giuridico e fattore religioso preceda e influenzi l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana. Già lo Statuto Albertino infatti non aveva certo ignorato la questione mostrando una teorica propensione alla confessionalità nel momento in cui affermava all’articolo 1, che: “la religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione di Stato” mentre rispetto alle altre religioni si prevede che “gli altri culti ora esistenti sono tollerati conformemente alle leggi”10. Tuttavia, malgrado le apparenze, si trattava di un regi-

me confessionale sui generis, un confessionismo di facciata perché la previsione sta- tutaria, peraltro contenuta in una Costituzione flessibile, non garantiva realmente alla religione cattolica una posizione privilegiata né tantomeno riuscì ad evitare gli scontri Stato-Chiesa legati a questioni politiche e patrimoniali, per cui, nonostante l’affermazione dell’articolo 1, lo Stato liberale sardo-piemontese, poi Regno d’Italia, si caratterizzò per una decisa laicizzazione del proprio ordinamento giuridico11 rea-

lizzando il paradosso di uno stato laico con una religione di stato.

La situazione mutò radicalmente con la conclusione dei Patti Lateranensi dell’11 febbraio 1929 firmati dal Capo del Governo italiano Benito Mussolini e dal Segreta-

rio di Stato Vaticano Cardinale Pietro Gasparri12. I Patti Lateranensi rappresentano

9 In tal senso cfr. Sentenza Corte costituzionale n. 440 del 1995 in Giurisprudenza Costituzionale, 1995, 3475 con osservazioni di R. D’Alessio, 3482 e note di F. Ramacci, La bestemmia contro la Divinità: una

contravvenzione delittuosa?, 3484 e M. D’Amico, Una nuova figura di reato: la bestemmia contro la “Divinità”, 3487.

10 Tale statuizione si pone sostanzialmente in linea con le previgenti disposizioni del Codice civile del 1837 in cui si disponeva che “la religione Cattolica Apostolica Romana era la sola religione dello Stato” (articolo 1) e che “gli altri culti attualmente esistenti nello Stato sarebbero stati semplicemente tollerati

secondo gli usi e i regolamenti speciali che li riguardano” (art. 3). Tuttavia, già ad una prima lettura,

si nota come lo Statuto Albertino sembri essere più tollerante nei confronti degli altri culti rispetto a quanto invece previsto dal Codice civile del 1837.

11 Per una ricostruzione esaustiva cfr. F. Finocchiaro, Libertà di coscienza e di religione, in Enciclope-

dia giuridica Treccani, vol. XIX, 1990.

12 Tali accordi, resi esecutivi con la Legge del 27 maggio 1929, n. 810 con cui venne creato lo Stato Città del Vaticano e posto fine alla questione romana, constavano di tre distinti documenti: il Trattato che riconosceva l’indipendenza e la sovranità della Santa Sede; la Convenzione Finanziaria, legata al Tratta- ti, che prevedeva un risarcimento di 750 milioni di lire a beneficio della Chiesa oltre all’esenzione per il nuovo Stato della Città del Vaticano dalle tasse e dai dazi sulle merci importate ed anche l’attribuzione di titoli di Stato consolidati al 5 per cento al portatore, per un valore nominale di un miliardo di lire, a compenso dei danni finanziari subiti dallo Stato pontificio in seguito alla fine del potere temporale; e il

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la volontà di conciliazione tra Stato e Chiesa attraverso la ‘riconfessionalizzazione’ dello Stato e la piena sovranità temporale della Santa Sede sullo Stato della Città del Vaticano. Gli accordi lateranensi davano sostanza all’interpretazione confessio- nale dell’articolo 1 dello Statuto, secondo una visione tradizionalista, conservatrice e nazionale del regime, fortemente in contrasto con l’ideologia dello Stato liberale sviluppatasi fino a quel momento13.

La svolta concordataria non appare indirizzata tanto a promuovere la libertà reli- giosa personale quanto una libertà ecclesiastica che delaicizza e desecolarizza la società italiana, che ai sensi dell’articolo 29 del Concordato si trova impegnata a rivedere “la sua legislazione in quanto interessa la materia ecclesiastica, al fine di riformarla e integrarla, per metterla in armonia colle direttive, alle quali si ispira il Trattato stipulato colla Santa Sede ed il presente Concordato”. In linea con questa nuova visione confessionale si pone il Codice Penale Rocco che criminalizza la be- stemmia (art. 724) e il vilipendio contro la sola religione di Stato (art. 402), minando decisamente la condizione delle altre confessioni religiose poiché, rispetto al ruolo di assoluto privilegio accordato alla Confessione cattolica, gli altri culti si trovarono ben presto in posizione di netta subordinazione; secondo la legge n. 1159 del 24 giugno 1929, infatti, risultavano ammissibili, nello Stato, i culti diversi dalla religione cattolica apostolica e romana purché “non professino principi e non seguano riti contrari all’ordine pubblico o al buon costume”. In ogni caso, al di là delle norme specificatamente dedicate alla regolamentazione dei culti, era l’intera produzione giuridica dello Stato a restringere gli spazi di libertà religiosa e allo stesso modo anche la giurisprudenza era incline ad estendere il più possibile i privilegi attribuiti alla religione cattolica.

Le motivazioni che avevano indotto lo Stato fascista e la Chiesa cattolica a siglare i Patti lateranensi erano simili ma opposte, in quanto ognuno dei due soggetti voleva fare dell’altro il proprio braccio secolare o spirituale; tale distanza motivazionale, unita ai tragici eventi bellici, allontanarono progressivamente i due sottoscrittori dei Patti.

Il quadro che si presenta all’indomani della fine del secondo conflitto mondiale ap- pare dunque decisamente complesso, la difficile eredità lasciata dal fascismo ma anche i complessi rapporti che avevano caratterizzato precedentemente le relazioni Stato-Chiesa cattolica influenzarono l’atteggiamento dei Costituenti. L’Assemblea

13 Ancor prima della stipulazione dei Patti Lateranensi, il governo fascista si era mosso con partico- lare determinazione nella direzione di un immediato riavvicinamento con la gerarchia cattolica: nel 1922 si riattivò la prassi dell’esposizione del crocifisso nei locali pubblici; nel 1923 la riforma Gentile reintrodusse l’insegnamento della religione, sostanzialmente obbligatoria, nelle scuole elementari e, nel 1926, si istituì il ruolo dei cappellani militari per il servizio religioso nelle forze armate. In sostanza si stavano preparando le condizioni per quella che può essere considerata, a tutti gli effetti, una vera svolta nel rapporto tra Stato e Confessione cattolica; nel breve spazio di un biennio, tra il 1929 e il 1931, il complessivo sistema di relazioni si trasformò, infatti, da separatista a concordatario, caratterizzato da una fortissima impronta confessionista.

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Costituente composta di forze e ideologie differenti, dalla Democrazia Cristiana (207 deputati su 556), ai partiti della sinistra (socialisti e comunisti), ai Repubblicani, ai Liberali, intendeva dare vita ad una Costituzione ispirata all’affermazione e alla difesa dei diritti individuali, delle libertà civili e politiche negate nell’ultimo venten- nio. Accanto alla comune ispirazione antifascista si trovava la volontà di superare lo Stato prefascista, limitato e colpevole di non aver saputo evitare l’affermazione del fascismo. La Costituente divenne dunque il luogo dell’incontro, dell’intesa e della consacrazione dei valori democratici che avevano animato la Resistenza. Rispetto al dato religioso i Costituenti desideravano mantenere lo Stato e la Chiesa cattolica quali ordinamenti separati e indipendenti, salvaguardando la ‘pace religiosa’ fatico- samente raggiunta e garantendo al contempo una generale libertà religiosa, accom- pagnata dall’affermazione dell’eguaglianza e dalla tutela delle confessioni religiose, legittimando infine anche la libertà di non professare alcuna religione. In realtà si evidenzia come la Costituzione non fornisca una nozione di confessione religiosa ma si occupi solo dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica e successivamente di quelli tra lo Stato e le altre confessioni religiose; mentre, nell’ottica di pacificazio- ne-separazione, i Costituenti sembrano aver perso di vista il principio di laicità che non appare tra i principi fondamentali del nuovo ordinamento costituzionale. Sono gli articoli 7 ed 8 ad occuparsi dei rapporti tra lo Stato, la Chiesa cattolica e le altre confessioni religiose, e fu soprattutto la genesi dell’articolo 7 a genera- re momenti di tensione tra i Costituenti. La definizione dello Stato e della Chiesa, contenuta nel primo comma dell’articolo 7, come due ordinamenti separati ed in- dipendenti non destò particolari problemi poichè la maggioranza riteneva che tale affermazione altro non rappresentasse se non la constatazione di un dato storico che non poteva arrecare alcun pregiudizio alla libertà dei non cattolici14 e tale

comma mostra quindi un valore meramente programmatico comportando il gene- rale riconoscimento da parte dello Stato dell’organizzazione della Chiesa cattolica e dei suoi caratteri di sovranità ed indipendenza. Assai più articolata fu invece la di- scussione relativa alla seconda parte dell’articolo 7 rispetto all’opportunità o meno di richiamare nel testo costituzionale i Patti Lateranensi del 1929. Infatti da un lato vi era chi sottolineava l’inutilità di tale richiamo, considerando che normalmente i trattati internazionali o gli accordi con altri Stati non formano oggetto di rinvio costituzionale, ma soprattutto voleva evitare ogni possibile ‘deriva confessionale’

della neo-nata Repubblica Italiana15, e dall’altro chi invece, muovendo proprio dal-

la separatezza ed indipendenza dello Stato e della Chiesa cattolica, sottolineava la necessaria bilateralità dei rapporti assicurata dal mantenimento dei Patti con coper-

14 Sull’articolo 7 Costituzione cfr. G. Catalano, Sovranità dello Stato e autonomia della Chiesa nella

Costituzione repubblicana, Milano, 1968; F. Finocchiaro, Art. 7 e 8, in G. Branca (a cura di) Commenta- rio della Costituzione, Art. 1-12, Principi fondamentali, Bologna-Roma 1975, 321 ss; S. Lariccia, Diritto ecclesiastico, Padova 1978; P. Lillo, Commento all’articolo 7, in R. Bifulco - A. Celotto - M. Olivetti (a

cura di) Commentario alla Costituzione, Vol. I, Milano, 2006, 171.

15 Decisamente contrario fu l’Onorevole Calamandrei. Cfr. Seduta del 20 marzo 1947, in Atti dell’As- semblea Costituente.

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tura costituzionale che realizzava “quella pacificazione religiosa auspicata da tutti gli italiani e quella soluzione di un conflitto storico che era già stata nel desiderio e nell’opera degli ultimi governi democratici”16. I Patti sono entrati in Costituzione ma

le norme pattizie non sono norme costituzionalizzate potendo modificarsi con legge ordinaria qualora vi sia l’accordo tra le parti; presentano comunque una resistenza passiva all’abrogazione per la quale è percorribile unilateralmente la sola via della revisione costituzionale; esse, inoltre, in quanto norme speciali, hanno la forza di derogare alle norme costituzionali pur incontrando il limite invalicabile dei principi supremi dell’ordinamento costituzionale dello Stato17.

L’unica revisione dei Patti Lateranensi avvenuta fino ad ora si è realizzata grazie all’accordo tra Stato e Chiesa concluso nel febbraio 198418; le modifiche intervenute

hanno posto fine al principio, in realtà già da tempo considerato superato, della re- ligione cattolica quale religione di Stato19. I nuovi accordi modificano il precedente

Concordato negli aspetti più evidenti di giurisdizionalismo statale o confessionale: dalle restrizioni sulle attività politiche del clero, al controllo sulle nomine dei vescovi e dei parroci, fino al loro obbligo di giuramento di fedeltà allo Stato. Significative anche le modifiche in tema di insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche rispetto al quale viene meno il riferimento all’insegnamento della religio- ne cattolica quale ‘fondamento e coronamento’ dell’intera istruzione pubblica pur permanendo comunque un privilegio rispetto alle altre religioni, in quanto anche se certamente può riconoscersi al singolo un diritto soggettivo di avvalersi o meno di tale insegnamento, non è al contempo riconosciuta alcuna possibilità a chi volesse conoscere ed approfondire nella scuola pubblica i fondamenti di altre confessioni religiose20.

16 Così si esprime l’Onorevole Dossetti in Assemblea Costituente, Atti della Commissione per la Costi-

tuzione, vol. II, Relazioni e proposte, Roma, 1947, 62.

17 La non costituzionalizzazione dei Patti del 1929 e la loro soggezione ai principi fondamentali è stata successivamente confermata dalla Corte costituzionale che ha chiarito come il secondo comma dell’articolo 7 “non sancisce solo un generico principio pattizio da valere nella disciplina dei rapporti

fra lo Stato e la Chiesa cattolica, ma contiene altresì un preciso riferimento al Concordato in vigore e, in relazione al contenuto di questo ... tuttavia, giacché esso riconosce allo Stato e alla Chiesa cattolica una posizione reciproca di indipendenza e di sovranità, non può avere forza di negare i principi supremi dell’ordinamento costituzionale dello Stato”. Sono le Sentenze n. 30, 31 e 32 del 1971 (rispettivamente

in Giurisprudenza Costituzionale, 1971, 150, 154, 156) a risolvere la questione della presunta costitu- zionalizzazione dei Patti lateranensi.

18 Cfr. Legge 25 marzo 1985, n. 121 contenente Ratifica ed esecuzione dell’accordo, con protocollo

addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell’11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede. Il nuovo Concordato è diviso in un Ac-

cordo di modificazioni, composto da quattordici articoli, e in un Protocollo Addizionale, composto da ulteriori sette norme, che costituiscono le disposizioni esplicative dell’Accordo, fornendone in pratica l’interpretazione autentica.

19 Il punto 1 del Protocollo addizionale all’Accordo precisa infatti: “Si considera non più in vigore il

principio, originariamente richiamato dai Patti lateranensi, della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano”.

20 Sulla revisione degli accordi del 1929 cfr. G. Vegas, Il dibattito sulla revisione del Concordato 1965-

1984, Senato della Repubblica, Quaderno di documentazione, n. 13, Roma, 1984; F. Margiotta Bro-

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Gli accordi del 1984 hanno dunque il merito di avere eliminato alcune norme di

stampo decisamente confessionista risalenti al Concordato del 192921, tuttavia con-

tinuano a permanere diversi aspetti controversi rispetto ad esempio al trattamento finanziario delle confessioni religiose diverse dalla cattolica, al già ricordato inse- gnamento scolastico della sola religione cattolica, allo status degli stessi insegnanti di religione, fino al tema (taciuto) dei simboli religiosi, questioni che incidono pro- fondamente sul concetto di eguaglianza rispetto al dato religioso. La definizione dei rapporti tra Stato e Chiesa cattolica attraverso l’esplicita menzione dei Patti Latera- nensi in Costituzione influenzò decisamente l’atteggiamento dei Costituenti nei con- fronti delle altre confessioni religiose; così, proprio per evitare che il riconoscimento offerto alla Chiesa cattolica si traducesse in una posizione di esclusività e privilegio si procedette in maniera analoga riconoscendo e garantendo in Costituzione anche le confessioni diverse dalla cattolica, considerate non più quali meri ‘culti ammessi’, ma ‘confessioni religiose’ tutte egualmente libere davanti alla legge. L’articolo 8 rap- presenta il punto di arrivo di un lungo processo di trasformazione dell’ordinamento italiano passato da una posizione di mera tolleranza (poi trasformatesi in avversio- ne) verso le confessioni diverse dalla cattolica all’affermazione della tutela effettiva dei loro diritti, costituendo una sorta di ‘antidoto’ rispetto ad una possibile deriva confessionale cattolica22.

Gli articoli 7 e 8 della Carta fondamentale dimostrano quindi, seppure con declina- zioni differenziate, la volontà dei Costituenti di eleggere il metodo dell’incontro del- le volontà quale strumento principe per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e le

diverse Chiese23, indipendentemente dalla loro quantificazione numerica e dal loro

reale appeal nella società. Il progetto costituzionale era dunque quello di affermare, attraverso l’accordo, il pluralismo confessionale, al fine di superare definitivamente lo Stato liberale e ancor più quello fascista.

L’attenzione dedicata dalla nostra Carta costituzionale al legame tra lo Stato e la re- ligione non si limita alla disciplina dei rapporti tra Stato e confessioni religiose orga- nizzata secondo il già citato metodo dell’incontro e della garanzia del pluralismo ma

2004, 1, 5; C. Cardia, Concordato, intese, laicità dello Stato. Bilancio di una riforma, in Quaderni di

diritto e politica ecclesiastica, 2004, 1, 23.

21 Alcune modifiche hanno riguardato anche la disciplina matrimoniale con la previsione di celebrare il matrimonio secondo le disposizioni contenute nella riforma del diritto di famiglia del 1975 e le rela- tive restrizioni al riconoscimento della giurisdizione ecclesiastica, mentre la Chiesa accetta il divorzio, scompare il riconoscimento statale del matrimonio quale ‘sacramento’.

22 In generale sull’articolo 8 della Costituzione cfr. F. Finocchiaro, Art. 8, in G. Branca (a cura di), Com-

mentario della Costituzione, Bologna-Roma, 1975, 409; N. Colaianni, Confessioni religiose ed intese. Contributo all’interpretazione dell’articolo 8 della Costituzione, Bari, 1990; B. Randazzo, Commento all’articolo 8, in R. Bifulco – A. Celotto – M. Olivetti (a cura di), Commentario alla Costituzione, Vol.

I, Torino, 2006,193.

23 In questo senso S. Landolfi, L’intesa tra Stato e culto acattolico. Contributo alla teoria delle fonti del

diritto ecclesiastico italiano, Napoli, 1962, 41, quando afferma: “mentre le antiche esperienze concor- datarie davano luogo ad un regime, per così dire, di bilateralità di fatto, quello stabilito dalle intese è un regime bilaterale di diritto, che conferisce ai culti, una vera e propria pretesa interna alla soluzione bilaterale”.

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si sostanzia anche attraverso l’affermazione della libertà religiosa intesa quale vero e proprio concetto giuridico espresso con chiarezza dagli articoli 19 e 20 (24). Libertà

di esprimere il proprio credo ma anche libertà di non avere un credo religioso anche se dall’esame dei lavori preparatori dell’articolo 19 non si evince un’equiparazione tra libertà religiosa e libertà di ateismo, ed effettivamente venne respinto il tentati- vo di costituzionalizzare il pensiero non religioso25. Così, fino agli anni ‘60, si è rite-

nuto che se all’ateismo si doveva riconoscere tutela costituzionale, questa avrebbe potuto discendere non dall’articolo 19, bensì dall’articolo 21 nella prospettiva della libera espressione del pensiero e solo successivamente, anche grazie all’evoluzione della giurisprudenza costituzionale, si è ampliata l’interpretazione dell’articolo 19 facendovi rientrare la possibilità di non esprimere alcuna fede religiosa dando al non credente maggiori garanzie rispetto a quelle offerte dall’articolo 2126.

L’articolo 19 tutela il diritto di credere e quello di non credere, quello alla miscreden- za e anche quello di non compiere alcuna scelta27, così come la facoltà di diffondere

e propagandare le proprie credenze di tipo negativo ed ateistico28. La previsione

24 In generale sugli articoli 19 e 20 della Costituzione cfr. F. Finocchiaro, Art. 19, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna-Roma, 1977, 238; S. Ferrari, L’articolo 19 della Costitu-

zione, in Politica e diritto, 1996, 97; M. Ricca, Art. 19, in R. Bifulco - A. Celotto - M. Olivetti (a cura

di), Commentario alla Costituzione, Vol. I, Torino, 2006, 420; A. Guazzarotti, Art. 19, in V. Crisafulli - L. Paladin - S. Bartole - R. Bin, Commentario breve alla Costituzione, II ed., Padova, 2008, 148. G. Catalano, Osservazioni sull’articolo 20 della Costituzione, in Diritto Ecclesiastico, 1964, I, 353; F. Finoc- chiaro, Art. 20, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna-Roma, 1977, 302; A. Bettetini, Art. 20, in R. Bifulco - A. Celotto - M. Olivetti (a cura di), Commentario alla Costituzione, Vol. I, Torino, 2006, 441.

25 L’emendamento presentato dall’Onorevole Labriola prevedeva “sono pienamente libere le opinioni

e le organizzazioni dirette a dichiarare il pensiero laico o estraneo a credenze religiose”. Cfr. seduta del

12 aprile 1947, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, 1970, vol. I, 833.

26 Rispetto alla giurisprudenza costituzionale cfr. dapprima la Sentenza n. 58 del 1960 (in Giurispru-

denza Costituzionale, 1960, 752) in cui la Consulta sosteneva che ‘l’ateismo comincia dove finisce la vita religiosa’ e quindi non risulta tutelato dall’articolo 19 della Costituzione, e successivamente il cam-

bio di giurisprudenza espresso nella Sentenza n. 117 del 1979 (in Giurisprudenza Costituzionale, 1979, 816) dove la Corte spiega invece: “l’opinione prevalente fa ormai rientrare la tutela della c.d. libertà di

coscienza dei non credenti in quella della più ampia libertà in materia religiosa assicurata dall’art. 19, il quale garantirebbe altresì (analogamente a quanto avviene per altre libertà: ad es. gli articoli 18 e 21 Cost.) la corrispondente libertà “negativa”. Ma anche chi ricomprende la libertà di opinione religiosa del non credente in quella di manifestazione del pensiero garantita dall’art. 21 Cost. (norma parimenti richiamata come parametro di giudizio nell’ordinanza del pretore di Torino) perviene poi alle stesse conclusioni pratiche, e cioè che il nostro ordinamento costituzionale esclude ogni differenziazione di tutela della libera esplicazione sia della fede religiosa sia dell’ateismo, non assumendo rilievo le carat-

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