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Valeria Moscardino*

Nel documento La discriminazione per maternità e dintorni (pagine 108-116)

Come afferma un illustre Dirigente appartenente all’Ispettorato Nazionale del Lavo- ro, Pietro Rausei, “a protezione della dignità individuale della persona che lavora e contestualmente del diritto del lavoratore e della lavoratrice a non subire alcun in- colpevole e ingiustificato pregiudizio nello svolgimento della prestazione lavorativa, l’ordinamento giuridico pone il divieto inderogabile di discriminazione nell’accesso al lavoro e nello svolgimento del rapporto”.

Tutta la normativa attuale, continua lo studioso, “è orientata ad impedire che un qualsiasi elemento differenziale legato all’identità personale, fisica o psicologica della persona che lavora o cerca lavoro possa presentarsi quale reale fattore di ri- schio per il realizzarsi di pregiudizi più o meno rilevante per il soggetto interessato alla diversità individuata”.

Prima di entrare nello specifico del ruolo di un ispettore del lavoro e del sistema sanzionatorio applicabile, a titolo provocatorio vorrei analizzare due articoli che di seguito riporto per focalizzare i fatti.

Nel Giornale di Brescia, Giacomo Scanzi, direttore nel 2012 affrontava il problema delle disuguaglianze, sostenendo che la crisi fosse pagata soprattutto da giovani e donne: “… Sono stati i giovani e le donne a pagare in misura più elevata la crisi. Il rapporto dedica ampio spazio al fenomeno occupazionale delle donne, che si dice nel 2010 sono riuscite a mantenere stabile l’occupazione (con un tasso che rimane comunque basso 46,1%) …“.

Nel secondo studio “Women, business and the law» la Banca Mondiale nel 2018 commentando il rapporto tra donne, lavoro e discriminazione e il conseguente im- patto negativo della disuguaglianza di genere sulla crescita globale riferiva che: “… Numeri, alla mano, ad esempio, in Italia lavora solo il 46% delle donne …. se venisse centrato l’obiettivo pensato dalla strategia di Lisbona per rendere più competitivo il mercato europeo, cioè maggior partecipazione femminile fino al 60 per cento, sei donne su dieci al lavoro, l’Italia beneficerebbe di un +7% del Pil…“

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Sempre per dare qualche spunto di riflessione iniziale vorrei commentare la pre- sentazione in Conferenza stampa di un programma televisivo la cui prima puntata è stata trasmessa nel 2018, intitolato “Non ditelo al mio capo”.

La produttrice Matilde Bernabei affermò trattarsi della «storia di una sorta di su- per eroe, una madre lavoratrice costretta a nascondere i figli per trovare lavoro …» «Questa fiction nasce dai due modelli di donna che oggi abbiamo davanti - la mamma e la donna che lavora - e la schizofrenia di chi cerca la sintesi tra due cose che non possono essere sintetizzate.»

Sarebbe importante che, a parere di chi scrive, nessuna donna si considerasse un super eroe ma ancor più che non si parlasse di schizofrenia riferendosi a chi è una mamma lavoratrice!

Se dovessi pensare di seguire un preliminare sommario per trattare il tema della parità e delle pari opportunità nello svolgimento della prestazione lavorativa, an- drei in sequenza ad analizzare il quadro normativo comunitario e nazionale, le varie definizioni e tipologie di discriminazione, le tutele e i soggetti preposti e da ultimo il sistema sanzionatorio amministrativo/penale.

Nel quadro normativo, non potremmo non tener conto di due ben definite fasi pro- pedeutiche, indicateci da alcuni articoli della Costituzione Italiana e della Carta Eu- ropea dei diritti fondamentali; nonchè di una terza fase esplicativa, il cui contenuto

prende forma nelle circolari del Ministero del Lavoro (Circ. 31/2001; Circ. 26/2006 e

Nota Circ. 2840/2009) e nel decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, meglio cono-

sciuto appunto come «Codice delle Pari Opportunità tra uomo e donna».

Lo schema portante delle norme indicate è costituito da quelli che potremmo definire gli ingranaggi del sistema, che nel d.lgs. n. 5/2010 trovano elencazione det- tagliata: le tutele e le garanzie, i soggetti coinvolti, e soprattutto i divieti.

Le tutele sono quattro e sono l’occupazionale, che si preoccupa di difendere da ogni prevaricazione l’impiego lavorativo dei soggetti; la fisica per preservarne l’integrità; la familiare per garantire la funzione essenziale del soggetto e l’economica per ga- rantire un adeguato sostegno e sussistenza.

Le garanzie invece si sostanziano nella possibilità e nel diritto all’accesso al lavoro, nella parità di trattamento economico a parità di mansioni e nella mobilità verticale nella carriera.

Da ultimo i divieti riguardano le discriminazione più comunemente conosciute e riferibili a ragioni connesse al sesso, allo stato di gravidanza, alla maternità o pater- nità (anche adottive).

Agli artt. 25-26 del Codice delle Pari Opportunità le discriminazioni vengono ge- nericamente definite come “trattamenti meno favorevoli in ragione di gravidanza,

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maternità o paternità ovvero in ragione della titolarità ed esercizio dei relativi diritti, molestie, molestie sessuali, ritorsioni”.

A loro volta tali trattamenti si suddividono relativamente all’accesso al lavoro, inteso in qualsiasi forma (subordinata, autonoma, pub/priv …), anche concretizzabile come mancata fornitura di attrezzature, avvio o ampliamento di ogni forma di attività; alle modalità di assunzione, intese come avvio, condizioni, fornitura di materiale; al trattamento retributivo; alla classificazione professionale con riferimento alle qua- lifiche, mansioni, progressioni, prestazioni previdenziali, forme pensionistiche com- plementari.

I soggetti preposti alle quattro tutele descritte sono essenzialmente tre e individua- bili nel Comitato nazionale per l’attuazione dei principi di parità-CNP (art. 8 d.lgs 198/2006) che ha la funzione di promuovere iniziative per eliminare tutti gli ostacoli all’uguaglianza; nelle Consigliere di Parità (Circ. Min. n. 20 del 2010) che hanno il compito di promuovere e controllare l’attuazione dei principi sul luogo di lavoro e da non ultimo nell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, nelle sue diramazioni territoriali a livello ora dell’Interregionalità o a livello Provinciale (Circ. Min. n. 31/2001 e proto- collo d’intesa 2007) che ai suoi pubblici funzionari (sono agenti di polizia giudiziaria) ha demandato il ruolo del controllo.

Per quanto riguarda le fasi e le modalità di intervento del personale ispettivo dob- biamo far riferimento alla Circ. Min. n. 31/2001 che detta proprio le Linee guida dell’attività ispettiva in materia di parità, pari opportunità e garanzia contro le di- scriminazioni.

L’azione degli ispettori trova origine o in una richiesta di intervento del soggetto interessato alla lesione, cui fa seguito una visita programmata in una determinata realtà lavorativa, oppure in un’ attività di analisi dei contratti e accordi collettivi o della composizione organica del personale dipendente di una determinata ditta (es: assenza o presenza in % del personale femminile); o da ultimo in un’attività di analisi dei dati statistici distinti per sesso in relazione all’accesso, alle posizioni professionali e retributive, alle progressioni di carriera, alle cessazioni dei rapporti, alle condizioni generale dell’ambiente di lavoro, delle posizioni retributive e degli inquadramenti e mansioni.

Queste attività di analisi diventano un vero e più dettagliato controllo, arrivando a richiedere un successivo accesso ispettivo, nei casi di accertamento di cessazio- ne del rapporto o di altre problematiche fattispecie in coincidenza di matrimonio o gravidanza: nei casi di esame del consenso espresso in caso di dimissioni durante la loro convalida da parte della ITL; nel caso di verifiche rispetto eventuali modifiche ingiustificate dell’orario di lavoro; nel caso di esame dell’attuazione di “progetti di azioni positive” a sostegno della conciliazione famiglia/lavoro.

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qualche tempo fa. La lavoratrice, che a noi ispettori si è rivolta, lamentava al rien- tro dalla maternità il cambio dei turni in modo continuo e senza programmazione; lamentava che questi turni per lo più fossero coincidenti con il marito, anch’esso lavoratore nella stessa realtà e soprattutto la frequenza con cui questi turni fossero previsti nell’orario serale.

Recatisi presso la ditta, gli ispettori intervistando in processo di sommarie informa- zioni il direttore della struttura riportavano le fedeli parole da lui pronunciate «lei ha tradito la mia fiducia… prima ha fatto un figlio, poi ne ha fatto un altro… mi ha tradito».

Credo che poco altro si debba aggiungere!

Se analizzassimo qualche sanzione, ad esempio riferita alle discriminazioni relative all’accesso, alla formazione professionale, alla parità retributiva, alle qualifiche, alle mansioni e alla carriera, all’età del pensionamento, ci accorgeremmo che la sanzio-

ne è amministrativa e va da euro 5.000 a 10.000; si dice anche che la sanzione non

sia diffidabile, ma all’importo vadano applicate altre pene accessorie come la revoca dei benefici, l’ esclusione fino a due anni dagli appalti e la restituzione delle somme riscosse.

A questo punto occorre una precisione relativamente alla diffida obbligatoria, istitu- ita con l’art. 13 del d.lgs. 124/2004.

Si tratta di un particolare strumento che mira ad ottenere l’immediata regolarizza- zione della fattispecie se ancora materialmente possibile (ripresa del rapporto di lavoro o rientro nelle mansioni) e che per tanto estingue l’illecito con modalità age- volata di pagamento della sanzione.

Relativamente alla sua applicabilità e al suo uso in contesti in cui siano state riscon- trate discriminazioni. In soccorso agli ispettore che la applicano sono arrivati chiari- menti da parte del Ministero con le circolari 24/2004 e 9/2006 che hanno stabilito, vista l’importanza della materia che non sia applicabile.

In generale occorre tener presente che le violazioni del divieto di discriminazione si configurano quali reati di tipo contravvenzionale, che cioè puniscono il comporta- mento del datore di lavoro con la pena pecuniaria dell’ammenda.

Prendiamo ad esempio l’art. 41 comma 2 d.lgs n. 198 del 2006, che punisce con la pena dell’ammenda la violazione dell’articolo 27 dello stesso decreto e cioè la prima tra le ipotesi considerate discriminatorie, il divieto per il datore di lavoro di praticare qualsiasi discriminazione fondata sul sesso nella fase dell’accesso al lavoro.

La contravvenzione de qua non si presenta esclusivamente come reato di azione, che necessità cioè di una condotta attiva, ma è sufficiente a realizzare l’illecito pe- nale anche una mera partecipazione omissiva da parte del soggetto agente qualora

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non attui direttamente e personalmente la discriminazione, ma per suo conto agi- scano altri lavoratori all’interno o all’esterno dell’azienda, come ad esempio Agenzie per il lavoro nella fase della selezione e dell’accesso.

La violazione di tale norma rappresenta una contravvenzione di pericolo, in quanto la sua realizzazione non necessita di una prova di danno per essere accertata sus- sistente; perché il reato si realizzi, il lavoratore non è necessario che dia prova o dimostrazione di qualsivoglia danno subito, bastando l’accertamento della condotta discriminatrice.

A seguito della depenalizzazione dei reati puniti con la sola sanzione amministrativa (d.lgs. 81/2016) le violazioni si applicano alle fattispecie commesse a partire dal 6 febbraio 2016, alle condotte poste in essere dopo tale data, ma anche alle condotte precedenti purché un’eventuale procedimento penale non sia già stato definito con sentenza o decreto irrevocabili.

Le ipotesi, tra tutte quante le previste, che si differenziano nettamente per gravità, essendo tra le economicamente più rilevanti, e che rappresentano il punto di tutela più forte riconosciuto dal Codice delle Pari Opportunità, riguardano i due casi di inottemperanza agli ordini giudiziali di rimozione delle discriminazioni collettive e individuali.

Ci si riferisce all’inottemperanza al decreto o alla sentenza pronunciata nel giudizio di opposizione a seguito sia di azione individuale che di azione collettiva, per la cui fattispecie è previsto l’arresto fino a 6 mesi o ammenda fino a 50.000 euro accom- pagnato dal versamento di 51 euro per ogni giorno del ritardo al Fondo nazionale per l’attività dei Consiglieri di Parità.

Si tratta di contravvenzione punita alternativamente, per la quale è applicabile qua- le modalità di estinzione del reato la prescrizione obbligatoria prevista dall’art. 15 del d.lgs. n. 124/2004 secondo cui il personale ispettivo è chiamato a prescrivere la cessazione del comportamento illegale e il rispristino immediato della legalità mediante ottemperanza o a intervenire con una prescrizione c.d. ora per allora se il reato sia già stato compiuto e la reintegrazione nell’ordine giuridico possa essere solo fittizia.

Un discorso ancor più complesso è dato dall’art. 51 del Codice di Pari Opportunità,

intitolato “Tutela e sostegno della maternità e paternità” che rimanda a tutta la di- sciplina del d.lgs. 26 marzo 2001 n. 151.

In questo Testo Unico relativamente alla genitorialità vengono prese in considera- zioni tutte le casistiche di seguito elencate: dimissioni - licenziamento, conservazio- ne del posto di lavoro, divieto di adibire le donne al lavoro, lavoro notturno, allat- tamento, congedo parentale e congedo di paternità, congedo di maternità nei casi di adozione e affidamento e altri diritti garantiti come ad esempio la c.d. malattia bimbo.

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Tra tutti questi contenuti, alcuni vengono analizzati come ipotesi discriminatorie specifiche e sono i casi di dimissioni, licenziamento e conservazione del posto, i casi di non riconoscimento delle c.d. “ore di allattamento” e i casi di congedo di mater- nità nelle situazioni di adozione e affidamento.

Ma perché possiamo farle rientrare in ipotesi discriminatorie? Perché il legislatore in via amministrativa punisce le condotte lesive dei diritti dei soggetti, genitori lavo- ratori, che si siano trovati ad aver fruito dei congedi parentali, ad esempio per l’a- stensione facoltativa; che non abbiano visto riconosciuto il diritto di conservazione nel posto occupato all’inizio del periodo di congedo o in altro equivalente; che non abbiano potuto godere dei riposi, permessi e congedi previsti.

Se andassimo ad analizzare il modulo delle dimissioni, che deve essere compilato e sottoscritto davanti ad un pubblico ufficiale proprio presso la sede di un Ispetto- rato territorialmente competente (la residenza della lavoratrice o del lavoratore o la sede legale della ditta), ci accorgeremmo della sua possibile divisione in 3 parti.

La prima parte consta in una premessa nella quale si indicano alla lavoratrice madre

le tutele a lei riconosciute (occupazionale, fisica, familiare ed economica); la secon- da parte è costituita da un questionario che permette di analizzare la situazione personale della lavoratrice; una terza parte dà indicazioni statistiche e si suddivide ulteriormente in una sezione a carattere motivazionale personale e in una sezione a carattere statistico riferito proprio all’azienda in cui si lavora.

Se in sintesi dovessimo descrivere come avvengono le dimissioni c.d. protette do- vremmo parlare di un colloquio personale dinnanzi ad un pubblico ufficiale, che ha contenuti fissati e che per questo termina in una conclusione stabilita.

Se altrettanto in sintesi dovessimo chiederci il perché dell’intervento degli ispet- tori del lavoro, dovremmo dire che è per contrastare il fenomeno dei licenziamen- ti mascherati da dimissioni forzate cd. “in bianco”; che è per garantire uniformità nell’analisi delle singole situazioni e soprattutto che è per dare maggior efficacia al provvedimento di accertamento dell’autenticità della volontà dell’interessata che necessariamente deve essere effettiva, reale, spontanea, consapevole; in un’unica parola il legislatore la riassume come volontà personale.

Per quanto riguarda invece l’ipotesi prevista come discriminatoria del licenziamento e il diritto alla conservazione del posto, la disciplina viene stabilita dall’art. 54 del T.U.

Il testo dice che è punito il datore di lavoro per aver licenziato la lavoratrice duran- te il periodo di gestazione o fino al compimento di un anno del bambino; per aver licenziato il lavoratore che fruisce del congedo di paternità fino al compimento di un anno del bambino; per aver licenziato il genitore affidatario o adottivo fino al compimento di un anno dell’ingresso del bambino nel nucleo familiare.”

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A tale dettato normativo vengono però riconosciuti dei limiti dettagliatamente espli- citati: ad esempio quando il datore abbia la prova di una colpa grave della lavora- trice, che costituisca giusta causa di licenziamento; oppure quando viene a cessare l’attività dell’azienda alla quale la lavoratrice è addetta; nel caso risulti definitiva- mente ultimata la prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o quando il rapporto si sia risolto per scadenza naturale del termine; da ultimo qualora si sia avuto un esito negativo del periodo di prova pattuito.

Teniamo presente che le due ipotesi previste relativamente alle dimissioni, al licen- ziamento e alla conservazione del posto sono state estese al padre lavoratore, ove questi venga a fruire del congedo di paternità o in caso di morte della madre, grave infermità della madre, abbandono della madre o affidamento esclusivo del bam- bino e trovano applicazione anche ai genitori adottivi o affidatari fino a un anno dall’ingresso del minore nel nucleo familiare.

Altra ipotesi riconosciuta come discriminatoria è prevista dall’art. 46 d.lgs. 151/2001 che punisce l’inosservanza da parte del datore di lavoro degli artt. 39, 40, 41, 45 che non ha consentito di godere dei riposi alla madre/al padre; che non ha consentito di uscire fisicamente dall’azienda; che non ha considerato i riposi ore effettive ( sia per durata che retribuzione); che non ha raddoppiato le ore nei casi di parti plurimi) o che non ha consentito di godere dei riposi ai genitori affidatari/adottivi.

La condotta che si intende sanzionare si sostanzia nel rifiuto, nell’opposizione o nell’ostacolo all’esercizio del diritto della lavoratrice o del lavoratore.

Tra le tante funzioni e compiti del personale ispettivo, fin qui analizzati indirettamen- te nell’erogazione di alcune sanzioni previste, ve n’è una che funge da prevenzione e repressione dei fenomeni discriminatori attraverso l’accertamento dell’effettiva composizione per genere del personale dipendente di un’impresa e l’analisi dell’an- damento dei movimenti del suo personale, intesi come assunzioni, progressioni, licenziamenti.

Per questa finalità è previsto l’obbligo per i datori pubblici e privati che occupano più di cento dipendenti di redazione del Rapporto sulla situazione del personale, che dovrebbe essere trasmesso ogni 2 anni alle rappresentanze sindacali aziendali e alle Consigliere Regionali.

Questo Rapporto contiene le informazioni con riferimento al personale maschile e femminile, distinguendo le professionalità, lo stato e l’adattamento delle assunzioni, della formazione e promozione professionale, dei livelli, dei passaggi di categoria e di qualifica, di fenomeni di mobilità, di cassa integrazione e ricorso a licenziamenti, prepensionamenti e pensionamenti; deve essere tassativamente redatto secondo le indicazioni date dal Ministero del lavoro .

Su segnalazione delle RSA o della Consiglierà di Parità Regionale, se entro il 30 aprile il rapporto non sia stato trasmesso, la Direzione Interregionale del lavoro compe-

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tente per territorio procede ad invitare le aziende, con lo strumento proprio della diffida, a provvedere entro 60 gg, al termine dei quali verrà erogata una sanzione amministrativa; in caso di persistente inadempimento, può essere disposta la so- spensione da benefici contributivi eventualmente goduti dall’azienda.

A conclusione del mio intervento voglio riportarvi per un’ultima riflessione insieme il testo di una mail Inviata da Libero Mail per iOS il 3/7/2017, scrittami da un datore di lavoro, poco informato ma in buona fede, sanzionato per discriminazione.

“Gentile dott.ssa,

Volevo ringraziarla per l’opportunità di apprendimento di oggi.

Vorrei davvero impostare la cooperativa secondo logiche di lealtà e di colla- borazione costante con le istituzioni.

Il mio frenetico spirito da innovatrice mi spinge a forzare e osare spesso all’in- terno del complesso quadro normativo riguardante le politiche del lavoro. So che compirò molti errori perché in un certo senso è insito nel mio lavoro forzare le politiche sociali a un cambiamento ma sapere che vi è comprensio- ne vale molto.

Da presidente quindi grazie.

Da mamma spero che le mie ansie mi facciano comunque insegnare alle mie

figlie che preoccuparsi e assumersi responsabilità sono valori importanti. Un cordiale saluto.

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La discriminazione per maternità e dintorni

Nel documento La discriminazione per maternità e dintorni (pagine 108-116)