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Caso oggetto di disamina

Nel documento La discriminazione per maternità e dintorni (pagine 104-108)

Al fine di valutare la concreta applicazione della normativa vigente in tema di discriminazione sul lavoro è opportuno esaminare alcuni casi avvenuti nel panorama domestico. Il primo fa riferimento a due hostess di età molto giovane selezionate sulla base di stringenti criteri estetici per un evento fieristico di richiamo internazionale. Il contratto di lavoro veniva offerto da una società sub appaltatrice la quale assumeva il personale necessario agli eventi facendosi carico di ogni onere e trattamento economico, oltre rimborso spese, rimanendo in capo alla società sponsor ufficiale dell’evento il solo dominio apparente. Dopo un breve periodo di lavoro perveniva, alle ragazze, una lettera di licenziamento per motivi ricollegabili al mancato svolgimento corretto delle mansioni come da istruzioni ricevute dalla coordinatrice nei giorni precedenti (es. non aver messo in fila per due, anziché per tre, i contenitori; non aver mantenuto la postazione indicata; etc..). Dopo un breve colloquio con il responsabile dell’organizzazione le ragazze venivano invitate a ritenersi dispensate da qualunque altro impegno nei confronti della società, essendo venuto meno il rapporto sinallagmatico tra datore di lavoro e lavoratore.

L’atto veniva immediatamente impugnato per illegittimità nel merito mentre una delle hostess procedeva a muovere specifica contestazione per condotta discriminatoria qualificabile come molestia sessuale ex art. 26 secondo comma, d.lgs. n. 198/2006. Tale condotta veniva descritta con minuzia dalla ricorrente la quale asseriva di aver ricevuto, in almeno due occasioni prima del licenziamento, avance da un responsabile della stessa società datrice di lavoro, peraltro mai ricambiate.

Tali addebiti venivano prontamente respinti dal datore di lavoro, in particolare con riguardo alle specifiche doglianze della lavoratrice in materia di discriminazione, ritenendosi estraneo alle stesse e ritenendole generiche e prive di riscontro. Il caso è stato affrontato in sede di conciliazione ex artt. 2113 c.c., 410 e 411 c.p.c., definendo in via transattiva un ristoro economico in termini complessivi di notevole

età o di un orientamento sessuale in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre perso- ne”.

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entità. La strategia difensiva elaborata dalla ricorrente ha tenuto conto di alcune elementi essenziali nella definizione del caso: quadro probatorio scarso; difficoltà emotiva della ricorrente nel ripercorrere le tipologie di avance ricevute; particolare complessità nel stabilire un nesso causale tra il comportamento discriminatorio ed un congruo risarcimento economico. Più nel dettaglio si poneva all’attenzione del difensore la palese riluttanza della cliente nel voler notiziare gli operatori di quanto accaduto nello specifico, stante la particolare fragilità psicologica della ricorrente. Solo un attento e meticoloso lavoro di indagine coadiuvato da personale medico specializzato ha portato alla definizione dell’accaduto, pur rimanendo la difficoltà del reperimento di ulteriori indizi e/o prove (nel caso in esame vi era un solo sms inoltrato dal datore di lavoro alle ore 4.30 del mattino con scritto: “in che stanza alloggi!”. La ricorrente asseriva che tale comportamento si era già ripetuto nel tempo ma non aveva conservato tracce ulteriori al riguardo). Quanto alla parte resistente si poneva il problema di un possibile danno d’immagine di ampie proporzioni qualora il caso fosse stato pubblicizzato additando le società coinvolte quali responsabili, in via indiretta, di comportamenti discriminatori nei confronti di dipendenti.

Per tali motivi le parti hanno ritenuto di procedere speditamente alla definizione del caso in via meramente transattiva. Si deve ritenere, peraltro, che tale tipologia di procedura risulta essere di gran lunga la più caldeggiata in sede di discriminazione, stante la persistente difficoltà degli operatori nel poter perseguire la via del risarcimento del danno in via giudiziale come previsto dal combinato disposto degli artt. 26, 37 e 38 del d.lgs. 198/2006.

Un altro caso di particolare interessa è stato oggetto di una sentenza del Tribunale di Pistoia, sezione Lavoro13: due donne con contratto di lavoro a tempo determinato venivano ripetutamente fatte oggetto di molestie da parte del datore di lavoro. La prima riceveva una lettera di licenziamento a seguito delle rimostranze avanzate per le molestie subite mentre la seconda veniva costretta alle dimissioni volontarie. Ambo le lavoratrici procedevano all’impugnazione del licenziamento a mezzo di ricorso promosso anche grazie all’intervento della Consigliera per le Pari Opportunità, chiedendo il risarcimento del danno non patrimoniale e l’applicazione di un piano di rimozione delle discriminazioni14 eventualmente accertate in sede giudiziale.

Il Giudice, accertata la sussistenza degli elementi integranti un comportamento

13 Tribunale di Pistoia, Sezione Lavoro, Sentenza n.177 del 2012, depositata in data 8 settembre 2012. 14 Art. 4 d.lgs. 9 luglio 2003, n.216: “Con il provvedimento che accoglie il ricorso il giudice, oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno anche non patrimoniale, ordina la cessazione del comportamento, della condotta o dell’atto discriminatorio, ove ancora sussistente, nonché la rimo- zione degli effetti. Al fine di impedirne la ripetizione, il giudice può ordinare, entro il termine fissato nel provvedimento, un piano di rimozione delle discriminazioni accertate.”

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discriminatorio, annullava il licenziamento e riconosceva ale lavoratrici il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale per la “condizione di sofferenza immediatamente apprezzabile in dipendenza della natura dei beni lesi e dalle caratteristiche della violazione”. Oltre al ristoro del danno patito dalle ricorrenti il Giudice stabiliva un risarcimento nei confronti della Consigliera per le Pari Opportunità e la comunicazione della pronuncia alle altre lavoratrice non ricorrenti affinché fossero edotte della possibilità di esperire un eventuale ricorso.

Quanto ad altre tipologie di discriminazione giova meritano attenzione due pronunce del Tribunale di Bologna, sezione lavoro: la prima riguarda un operaio edile con anzianità di servizio di trent’anni licenziato per inidoneità fisica alla mansione in ragione di una intervenuta limitazione relativa al sollevamento di pesi inferiori a 12 kg certificata dal medico competente. Il datore di lavoro riteneva di non poter adibire il sottoposto ad altra mansione lavorativa presso la propria azienda dovendo procedere, pertanto, all’interruzione del rapporto di lavoro. Il Giudice ha ritenuto illegittimo l’atto decretandone la nullità e disponendo l’immediata reintegrazione sul posto di lavoro in quanto il licenziamento risultava essere discriminatorio per ragioni di handicap posto che, dalla documentazione medica prodotta, la malattia professionale sofferta dal ricorrente era già stata riconosciuta dall’Inail quale invalidante.

Nel secondo caso, invece, la lavoratrice oggetto di licenziamento aveva subito un demansionamento con contestuale riduzione dell’orario di lavoro , dopo aver fruito del periodo di congedo per maternità. A seguito del ricorso proposto ex art. 38 d.lgs. 196/2006 il Giudice statuiva l’esistenza di una condotta discriminatoria sulla base delle presunzioni allegate in fase di ricorso, non riuscendo la società convenuta a dimostrare l’infondatezza dei fatti e degli atti posti a fondamento della pretesa risarcitoria della ricorrente.

Conclusioni

Alla luce dei casi sopra esposti si deve evidenziare come nell’ambito delle discriminazioni sul lavoro l’esperienza sul campo degli operatori del diritto, a partire dalla casistica giurisprudenziale, rappresenti quanto mai un panorama eterogeneo non facilmente modificabile in un unico paradigma. Ogni evento/caso rappresenta un unicum rappresentando una notevole sfida in termini fattuali e processuali per i difensori. La sensibilità degli argomenti trattati associata alla necessaria tutela della dignità del lavoratore e della sua privacy rappresentano, spesso, uno scoglio insormontabile nella corretta rappresentazione dei fatti accaduti, inficiandone la relativa allegazione.

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su tre principali direttive: l’istituzione di protocolli volti alla prevenzione delle condotte discriminanti in ambito lavorativo; maggiore sensibilizzazione dei soggetti maggiormente coinvolti ed esposti, con particolare attenzione alla formazione specialistica; l’intensificazione dell’attività in sede giudiziale al fine di sedimentare le necessarie interpretazioni giuridiche del quadro di riferimento normativo.

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Le discriminazioni sul lavoro: la vigilanza e il sistema

sanzionatorio

Nel documento La discriminazione per maternità e dintorni (pagine 104-108)