• Non ci sono risultati.

Alcuni sensi del termine “piano” nella musica di Cage

Capitolo 2. Piano Indeterminazione e cartografia 2.1 Cage cartografo

2.2 Il “piano fisso sonoro” di Cage

2.2.1 Alcuni sensi del termine “piano” nella musica di Cage

Un primo approccio al passaggio di Mille piani dedicato a Cage che è riportato qui sopra potrebbe fare riferimento ad alcuni mezzi compositivi che rappresenterebbero altrettante maniere specificamente cagiane di realizzare un “piano fisso sonoro”. Innanzitutto, Deleuze e Guattari

precisano che “fisso non vuol dire qui immobile”42: nella prosecuzione del passaggio in cui appare

Cage, Deleuze e Guattari accennano infatti al “piano fisso visivo” del cinema moderno e in particolare quello di Godard, con una allusione cioè al piano-sequenza o alla maniera di tenere la macchina da presa in una posizione immobile, per meglio registrare il movimento molecolare interno al quadro, o come dicono Deleuze e Guattari raggiungere uno “stato in cui le forme si

dissolvono per non lasciare più vedere che le minuscole variazioni di velocità”43. Nel caso di Cage,

si potrebbe pensare che un modo paragonabile di “fissare” il piano sonoro, o di creare un luogo in sé immobile per la variazione continua degli eventi sonori, appaia in maniera emblematica con

4’33’’: in questo caso è la durata stessa della composizione, il solo parametro ‘composto’ da Cage,

ad agire come un quadro vuoto, o un’inquadratura fissa cinematografica capace di registrare il movimento molecolare dei suoni ambientali.

Un quadro temporale, dato da una durata talvolta determinata e talvolta indeterminata ma in ogni caso indivisa e dunque “fissa”, è presente in tutte le composizioni cagiane discusse nel presente capitolo, e non nel solo caso rappresentativo di 4’33’’. In questo senso, una delle figure cagiane che potrebbero meglio corrispondere al senso deleuzo-guattariano di “piano” potrebbe essere il modo in cui Cage si riferisce alle due facciate su cui è notata ogni sezione singola delle

41 MP, p. 327 42 MP, p. 326 43 MP, p. 327

composizioni Ryoanji. Questo spazio di notazione è secondo Cage “un ‘giardino’ di suoni”44; il

‘quadro’ capace di fissare il piano sonoro è da una parte rappresentato qui dal luogo fisico indicato nel titolo delle composizioni in questione, ovvero dall’area del giardino che è delimitata dal suo perimetro, e dall’altra dallo spazio della notazione, inteso come il campo immobile al cui interno si svolgono i parametri continui dell’altezza e della durata. Sempre nelle sue note introduttive, Cage scrive che “la partitura è una fotografia ‘immobile’ di circostanze mobili”, intendendo con ciò che la notazione proporzionale non è da rispettare fin nei minimi dettagli; si potrebbe comunque estendere la metafora cagiana e paragonare non la partitura in sé ma il blocco di spazio-tempo rappresentato dalla presentazione grafica della partitura all’inquadratura fissa di un piano- sequenza cinematografico, ancora una volta nel senso di un dispositivo immobile che è atto a catturare o registrare un movimento molecolare ed intensivo.

Allo stesso modo, saranno ‘planari’ nel senso di Deleuze e Guattari tutti i lavori cagiani che presentano ciò che nel paragrafo precedente si è proposto di chiamare una ‘struttura indivisa’. Ad una durata non suddivisa, senza cioè quella differenziazione fra i materiali utilizzati in una parte o nell’altra della composizione che introdurrebbe una articolazione strutturale, corrisponde in questi lavori una zona di registro talvolta ristretta e talvolta larga, ma sempre fissa anch’essa lungo l’intera durata della composizione. Il foglio di carta sarebbe così una figura visiva che rappresenta una superficie in grado di accogliere tutti gli eventi sonori; ne risulta una distesa unica ed in sé immobile di spazio-tempo all’interno del quale gli eventi sonori sono in variazione continua, se si possono intendere il dosaggio variabile del caso e dell’indeterminazione nei lavori di Cage come altrettante maniere di dare agli eventi sonori ciò che Deleuze e Guattari chiamano una “distribuzione nomade”.

La natura del piano sonoro cagiano può essere meglio precisata attraverso la maniera geometrica o topografica con cui Deleuze e Guattari oppongono due sensi della parola “piano”. In un primo senso, proprio al “piano di organizzazione”, il termine si riferisce ad un “disegno mentale” o ad un percorso con un certo numero di tappe, quali gli stadi di una evoluzione o gli sviluppi di una forma, ciascuno dei quali sarà proiettato sul piano a partire da un punto esteriore o trascendente che “non è dato in quanto tale, ma può soltanto essere inferito, in funzione delle forme che sviluppa e dei soggetti che forma”45. La seconda accezione del termine “piano”

appartiene invece al “piano di consistenza”, e si riferisce alla figura geometrica a due dimensioni,

44 Note introduttive alle parti strumentali. 45 MP, p. 326

senza punti esteriori al piano; al posto della coppia “struttura e genesi” che è implicita nel piano di organizzazione, il piano di consistenza o di immanenza ha quindi “solamente rapporti di

movimento e riposo, di velocità e lentezza fra elementi non formati”46. Come scrive Deleuze nella

seconda edizione di Spinoza. Filosofia pratica, un tale piano di consistenza “non è un piano nel senso di un disegno mentale, progetto, programma, è un piano nel senso geometrico, sezione,

intersezione”47. Se Deleuze e Guattari definiscono la prima concezione del piano come una visione

“teleologica”, è perché essa “stabilisce i rapporti proporzionali della struttura”48, e si distingue

dunque per la presenza di una dimensione aggiuntiva o esteriore, cosa che essi riassumono con la formula “n + 1”. Il piano di consistenza invece “può benissimo crescere nel numero delle sue dimensioni, non avrà mai una dimensione supplementare a ciò che avviene su di esso”, di modo

che si definisce per le sue “n – 1” dimensioni49.

Un genere di composizioni cagiane in cui si potrebbe parlare senz’altro di ‘n dimensioni’ sono i suoi “circhi”, composti o no. Ne troviamo esempi nella collezione eterogenea di materiali musicali tradizionali messi a disposizione dei quartetti, dei solisti strumentali e dei cantanti di

Apartment House 1776 (1976) per essere suonati insieme in modo da formare una trama sonora che

vede sovrapporsi da uno a dodici eventi sonori differenti nello stesso tempo; o ancora, i suoni registrati in vari luoghi del mondo per essere poi montati su nastro ed accompagnare la voce recitante di Cage e le musiche irlandesi suonate dal vivo di Roaratorio (1979). I circhi non composti sono invece gli eventi organizzati da Cage in cui un gran numero di musicisti occupa le varie stanze di un palazzo o i vari luoghi di un complesso architettonico, per suonare ognuno una propria musica, tradizionale o no, ma in ogni caso eterogenea rispetto alle altre musiche che si svolgono attorno. Nei due casi, si tratta per Charles di “un assemblaggio sonoro che è alla lettera

illimitato”50; se ogni evento sonoro può essere considerato come una “dimensione” indipendente,

46 MP, p. 326. Per quanto riguarda i rapporti fra i due piani, o fra le due concezioni del piano, il passaggio di Mille piani dedicato al piano di consistenza in cui appare Cage fa parte di un momento espositivo in cui, secondo Deleuze e Guattari, “dal punto di vista di un’astrazione ben fondata, possiamo fare come se i due piani, le due concezioni del piano, si opponessero chiaramente e assolutamente” (MP, p. 327). Poco oltre, a questa “opposizione astratta” segue una “ipotesi concreta” secondo la quale “ogni divenire musicale implica un minimo di forme sonore, e perfino di funzioni melodiche e armoniche, attraverso le quali si faranno passare le velocità e le lentezze, le quali riducono le forme precisamente al minimo” (MP, p. 331); ad esempio, secondo Deleuze e Guattari “Ravel e Debussy conservano della forma precisamente ciò che è necessario per sottoporla a rotture, affetti, modificazioni, sotto le velocità e le lentezze” (MP, p. 331). 47 SPP, p. 164

48 MP, p. 325 49 MP, p. 326

lungo i trenta minuti di Apartment House 1776 vi saranno, ad esempio, da uno a dodici dimensioni indipendenti, che non possono essere rapportati ad alcuna unità. Per quest’ultimo motivo, l’insieme delle dimensioni è ancora da ritenere piatto o ‘planare’ nel senso di Deleuze e Guattari.

Un secondo modo in cui intendere le “n dimensioni” del piano rispetto alla musica di Cage, che sarebbe più adatto a descrivere la maggior parte delle sue composizioni, potrebbe riguardare invece una definizione allargata dei ‘parametri’ del suono. È vero cioè che la musica di Cage

presenta ciò che Pisaro chiama “le tendenze opposte di 0’00’’ e di Roaratorio”51, vale a dire la

tensione verso una riduzione estrema o verso una saturazione iperbolica, verso un quadro vuoto oppure verso un insieme potenzialmente illimitato di dimensioni eterogenee. Comunque, è anche vero che ciò che definisce la maggior parte delle composizioni di Cage è la scelta di un certo numero di parametri, che sono altrettanti quadri o dimensioni della composizione, e che oltre ad una durata globale e uno spazio di registro, possono prevedere uno o più di modi d’esecuzione, l’uso di altezze temperate o no, una gamma di durate, una escursione dinamica, un’attività vocale o strumentale, o ancora fonti di rumore o suoni registrati. Ad esempio, i parametri di Four per quartetto d’archi (1988), o i modi di ‘inquadrare’ l’evento sonoro che caratterizza il brano, comprendono oltre alle tre sezioni del brano e le due sole ottave di registro, l’uso esclusivo di altezze temperate, di una dinamica che va dal ppp al p, di un utilizzo tradizionale dell’arco, e di una durata generalmente sostenuta degli interventi. I ‘parametri’ dei Thirty Pieces for String Quartet (1983) sono invece molto vari; dei tre tipi di scrittura che costituiscono questa composizione, che Cage chiama tonale, cromatico e microtonale, ognuno ha un proprio ventaglio di modi d’esecuzione, di dinamica, e profili ritmici o di andatura. Si potrebbe intendere in questo modo ciò che Cage diceva sull’essere divenuto esperto nella maniera di “porre le questioni all’oracolo”, cioè di formulare le domande da sottoporre al caso: le domande rappresentano altrettanti parametri o facce dell’evento sonoro che caratterizza un brano, e ognuna di loro è considerata come una “molteplicità piatta”, processuale, posto in variazione continua per via del caso o dell’indeterminazione.

Outline

Documenti correlati