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Ostinati irrazionali e parentesi di tempo

Thirty Pieces for String Quartet (1982), contenuto delle parentesi di tempo

3.3.5 Ostinati irrazionali e parentesi di tempo

I ritmi ripetitivi dei passaggi “microtonali” che fanno parte dei Thirty Pieces for String

Quartet (1982; si veda paragrafo 3.3.2) rappresentano un evento inconsueto nella musica di Cage,

che da decenni non conteneva alcun ritmo misurato; si deve comunque aggiungere che per via dell’indeterminazione nella velocità di esecuzione di ciascuna parte strumentale, tali minime striature del tempo musicale possono presentarsi a velocità differenti contemporaneamente nelle quattro parti (in dodici dei trenta “pezzi”, due, tre o quattro strumenti presentano passaggi “microtonali”). Una scrittura ritmica di questo tipo è apparsa per la prima volta nella musica di Cage nei Thirty Pieces for Five Orchestras (1981), e si presenterà in varie maniere in lavori successivi quali l’accompagnamento per percussione o per orchestra dei Ryoanji (1983-1985), But What About

the Noise... per ensemble di percussioni (1985), ed Etcetera 2/4 Orchestras (1986). Ad esempio, per i

brani Ryoanji Cage ha innanzitutto creato una serie di battute la cui lunghezza alterna casualmente fra dodici, tredici, quattordici o quindici semiminime, per poi situare cinque impulsi ritmici in ogni battuta, ancora una volta con un metodo casuale. I cinque attacchi formano così dei pattern ritmici sempre diversi, e perciò imprevedibili (in linea con il paradosso cagiano definito da Charles, ossia

la ricerca di metodi con cui “comporre l’imprevedibile”103).

Un simile ostinato ‘irrazionale’ si presenta anche in But what about the noise of crumpling

paper which he used to do in order to paint the series of "Papiers froissés" or tearing up paper to make “Papiers déchirés?” Arp was stimulated by water (sea, lake, and flowing waters like rivers), forests, per da

tre a dieci percussioni (1985; il titolo è un estratto di una lettera di Greta Ströh a Cage, in cui lo persuade di comporre un pezzo per una manifestazione dedicata al centenario della nascita di Jean Arp). Ogni musicista dell’ensemble suona una coppia di strumenti a percussione all’unisono (segnati “+” nelle parti; Cage richiede strumenti poco risonanti, di materiali differenti), e produce anche suoni di acqua o di carta (segnati con i semicerchi nelle parti, di cui una è riprodotta qui sotto; i punti rappresentano invece pause). L’organizzazione ritmica è simile a quella dell’accompagnamento dei Ryoanji, ma i cinque incisi sono ora inseriti in battute con da 24 a 30 tempi. Da tre a dieci delle parti solistiche composte da Cage possono essere suonate in una data esecuzione, ma ogni musicista deve mantenere un tempo proprio: da una parte, per via della maggiore lunghezza delle battute, la densità ritmica delle singole parti è quindi minore di quella dell’accompagnamento dei Ryoanji, mentre dall’altra vi è ora una polifonia di eventi ritmici.

Ryoanji, parte per percussione (1984)

Nel riprendere una ritmica simile in Etcetera 2/4 Orchestras (1986), Cage ha voluto

sperimentare con “tempi così lenti che non possono essere sentiti come tempi”104: in questo brano

non solo i cinque attacchi sono distribuiti in battute di cui la lunghezza va dai 27 ai 36 tempi, ma la velocità moderata dei Ryoanji (circa una pulsazione al secondo), e quella indeterminata e plurale di

But What About the Noise… cedono il posto ad una ritmica in cui ognuno dei quattro gruppi

orchestrali procede con una pulsazione ogni 12, 8, 6 o 11 secondi.

I ritmi in questione potrebbero essere pensati in rapporto con la “contemplazione” o la “contrazione” che per il Deleuze di Differenza e ripetizione rappresenta la prima sintesi del tempo, la quale è con Deleuze da definire passiva o infra-rappresentativa poiché “non è fatto dallo spirito, ma si fa nello spirito che contempla”105. La prima sintesi del tempo è per Deleuze quella

dell’abitudine, o ancora di una contrazione di istanti; in questo senso, Deleuze riprende l’analisi bergsoniana dei quattro colpi d’orologio: “ogni colpo, ogni vibrazione o eccitazione, è logicamente indipendente dall’altro, mens momentanea. Ma noi li contraiamo in un’impressione qualitativa

interna […], in quel presente vivente, in quella sintesi passiva che è la durata”106. Una simile

“contrazione di istanti” figura anche fra gli elementi che definiscono la sensazione su Che cos’è la

filosofia?, in cui per Deleuze e Guattari “la sensazione è l’eccitazione stessa, non in quanto si

prolunga e passa nella reazione, ma in quanto si conserva e conserva le sue vibrazioni”, di modo

che “la precedente non è ancora scomparsa quando la seguente appare”107. Nel caso dei ritmi

ripetitivi ma imprevedibili di Cage, si direbbe che siano sufficienti due soli attacchi consecutivi per generare un’attesa o una protensione verso attacco ulteriore, vale a dire che ad A e A’ seguirà A’’; bisogna comunque aggiungere a ciò che per via della maniera in cui Cage ha impostato gli schemi metrici, distribuendo cioè i cinque attacchi in battute talvolta molto lunghe, non si formano quasi mai tre attacchi consecutivi. Ogni ritorno del colpo di percussione confermerà dunque l’abitudine che ormai si è contratta, ma in maniera di perdere e riguadagnare continuamente la propria potenza di contrarre. L’abitudine è continuamente in via di farsi e disfarsi, di progredire o accumulare una consistenza, e di scioglierla nello stesso tempo. Per questo motivo, i ritmi cagiani sono in rapporto con la “consistenza” in quanto problema: secondo la definizione che Deleuze e Guattari offrono su Mille piani, “il piano di consistenza potrebbe anche essere chiamato di non-

104 Cage su Kostelanetz, a cura di, 1993a, pp. 179 e 181 105 DR, p. 96

106 DR, p. 97 107 QPh, p. 247

consistenza”108.

La temporalità delle parentesi e della struttura variabile potrebbe essere pensata in senso inverso rispetto a quella degli ostinati dell’ultimo Cage. Con le parentesi, la variazione non riguarda più la collocazione degli attacchi in uno spazio metrico precedentemente definito; ad entrare in variazione sono piuttosto i limiti del tempo che circonda i suoni. Il problema della localizzazione dei suoni è quindi capovolto; non sono più i suoni a spostarsi in una struttura relativamente fissa, è al contrario la struttura stessa ad essere mobile. Cage diceva a proposito delle parentesi che “si può essere non ad un punto nel tempo, ma in uno spazio di tempo”; nelle composizioni con una struttura variabile, questo spazio consiste in una molteplicità di tempi locali, in cui le zone di sovrapposizione interna ed esterne si ricoprono, in modo da sovrapporre l’attesa e la memoria, o di non uscire mai dalle pieghe del tempo. Se per Deleuze e Guattari “un rizoma non

comincia e non termina, è sempre nel mezzo, fra le cose, inter-essere, intermezzo”109, è se ritrovano

ciò nelle forme musicali di Schumann – in cui “l'intermezzo [è] consustanziale a tutta l’opera. […]

Al limite, non vi sono che gli intermezzi”110 – altrettanto si può dire delle parentesi di tempo

cagiane.

108 MP, p. 326 109 MP, p. 36 110 MP, p. 365

3.4 L’“armonia anarchica” cagiana (1976-1992): “n – 1”

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