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Il materiale e il metodo: sostanza e forma del contenuto

1.3 I quattro elementi della composizione: doppia articolazione e stratificazione 1 I quattro elementi della composizione secondo Cage nel

1.3.3 I quattro elementi della composizione in quanto doppia articolazione

1.3.3.1 Il materiale e il metodo: sostanza e forma del contenuto

L’essenza del rumore cagiano, in quanto sostanza del contenuto, sarebbe quindi di essere

“scelto su un flusso”. È vero che nel periodo in questione, cioè nelle composizioni e negli scritti di Cage attorno al 1948-1949, l’atto di “scegliere” fa parte della sua riflessione sui materiali della musica: il lavoro di preparazione del pianoforte delle Sonate ed Interludi in particolare era per Cage equivalente ad una “scelta di conchiglie mentre si passeggia su una spiaggia”, per disporre di “una

collezione che manifesta un certo gusto”82. “Scegliere” ha qui il senso di assemblare un insieme di

qualità eterogenee, valutando ad esempio il tipo di materiali posti sulle corde e la loro posizione rispettiva, in modo da avere alcune zone della tastiera che offrivano il materiale per la formazione successiva di motivi, anch’essi caratterizzati da un grado variabile di eterogeneità. In un altro senso, si potrebbe pensare che l’insieme dei materiali percussivi o elettronici di questa epoca fossero particolarmente vicino ad un “flusso”, definito come l’insieme delle vibrazioni aperiodiche al quale i suoni bruitistici del primo Cage restano particolarmente vicini, i quali non possono essere colti nel loro insieme alla stessa maniera di un insieme di materiali razionali. Ancora, un atto di “scegliere”, o come dicono Deleuze e Guattari “prelevare” i suoni su un flusso in modo da costituire una sostanza di contenuto, è forse implicito nel gesto stesso con cui si producono i suoni di percussione: Cage stesso nota infatti che una volta colpita un blocco di legno o un altro strumento a percussione, non si può più intervenire sulla durata del suono né sulla sua evoluzione nel tempo, il timbro e la durata essendo al contrario impliciti nel materiale stesso. Più che una cura o una modellazione continuativa del suono, si è quindi più vicino ad un “prelievo” neutro di una sonorità, il quale conserva il suo legame con l’insieme delle vibrazioni aperiodiche, di cui ciascuno non è che una piccola porzione. I rumori o i suoni di percussione non hanno quindi lo stesso rapporto con un flusso sonoro molecolare che hanno i suoni puri, quelli cioè detti ‘musicali’, perché portano con sé una parte del fondo bruitoso dal quale derivano, come la coda di un cometa. Nello stesso tempo, comunque, i suoni di percussione implicano anche il passaggio compiuto da una materia rumorosa non formata, ad una sostanza del contenuto. In questo senso, anche i glissandi della musica del primo Cage (quelli prodotti dai grammofoni a velocità variabile, dai gong acquatici, o ancora da una barra di ferro fatto rotolare sulle corde del pianoforte) sono soltanto indici di un flusso, e non il flusso stesso. Cage riteneva infatti in questo momento che la tecnologia avrebbe prima offerto i mezzi per comporre la “all-sound music of the future”, di fronte alla quale la musica di percussione era una tappa provvisoria o una compromessa necessaria. In questo momento, il flusso stesso è quindi, come si è visto con Hjelmslev e in seguito con Deleuze e

Guattari, un presupposto necessario; Cage non poteva che scegliere i suoi materiali su un flusso, e fare di esso qualcosa che è presente nella sua concezione del rumore ma non è dato direttamente (cosa che cambierà con la concezione cagiana del silenzio).

Il secondo aspetto della prima articolazione, che riguarda non la sostanza ma la forma del contenuto, pone per Deleuze e Guattari la questione di come i materiali siano scelti “in un certo ordine”. È il problema cagiano del metodo, o “la maniera di procedere da una nota all’altra”. Si è visto sopra che i paradigmi cagiani principali per che cosa fosse un metodo erano legati alla figura di Schoenberg, vale a dire la dodecafonia, la quale offriva un mezzo di controllare la continuità su scala locale di un brano di musica, o il contrappunto, nel suo insieme di regole di procedura locale quale la preparazione e la risoluzione della dissonanza, i salti melodici che sono permessi, e così via. Il problema di un legame ‘naturale’ fra la posizione di un suono in un insieme di materiali, e il percorso che è possibile prendere a partire da quel suono, è comunque molto più generale di ciò. Il primo teorico della musica ad avere messo in evidenza la tendenza delle altezze di concatenarsi in una certa maniera è stato probabilmente Aristosseno da Taranto, per il quale le note avevano non soltanto una “posizione” (thesis) in un sistema, ma anche una “potenza” (dynamis) di muoversi in

una certa direzione83. Da questo punto di vista, è nella natura dei suoni di seguirsi in un certo

ordine, con una coerenza fra i materiali sonori stessi e i loro legami, ovvero fra la sostanza e la forma del contenuto. La complessità crescente delle dimensioni melodiche e armoniche della musica, e quindi l’allargamento dei salti melodici e dei legami funzionali fra accordi che sono permessi ad un dato momento, non mettono in questione il legame ‘naturale’ fra i materiali e l’ordine nel quale si trovano. Con la dodecafonia, la situazione non cambia in quanto i legami possibili sono ancora impliciti nella posizione di una nota all’interno di una serie (anche se le posizioni che un’altezza può rappresentare potenzialmente si ramificano con le trasposizioni, inversioni e retrogradazione della serie). Sembrerebbe quindi che Cage comincia con l’accettare la

83 Nel secondo libro degli Elementi di armonia, Aristosseno considera più aspetti di quello che è conosciuto oggi come l’altezza del suono. Una nota è per lui innanzitutto una “intensità” (tasis) che può crescere o rilassarsi (epitasis, anesis) lungo il “movimento della voce che canta”; in seguito, essa occupa una “posizione” (thesis) in un sistema, o una scala; infine, essa è una “potenza” (dynamis). Quest’ultimo aspetto del suono in quanto altezza è stato tradotto da Andrew Barker in più modi, fra i quali “funzione”, “ruolo in un sistema” e “regola di progressione”; con Barker, nel caso del lychanos (la seconda nota dall’alto nel tetracordo inferiore del sistema perfetto), “essere un lychanos significa avere una sorta di ‘potenza’ [dynamis], che determina le caratteristiche del percorso che la voce può seguire, e lo schema delle relazioni che i suoi movimenti successivi possono seguire. Esso non è soltanto un punto fisso, ma qualcosa con le sue proprietà dinamiche proprie, le quali (ad esempio) danno l’impeto alla voce di spostarsi nella sua traiettoria melodica attraverso una distanza verso l’alto che non sia minore di ciò che separa il lychanos dalla nota più alta del suo tetracordo, mesē” (Barker 2007, p. 188).

necessità di un legame tra i materiali e il metodo, nella sua ricerca di metodi che sarebbero adatti alla musica di percussione (come il motivo, o “l'improvvisazione controllata”; si veda paragrafo 1.3.1.2). Sentiva quindi la necessità di disporre di un modo per ordinare i suoni nel tempo locale della composizione; con il tempo la sua ricerca sul metodo porterà ad altre conseguenze (si veda paragrafo 1.4.1 per la maniera cagiana di utilizzare i suoni del gamut nello String Quartet in Four

Parts, e i paragrafi 1.4.2.1 e 1.4.2.2 per l’introduzione del caso in quanto metodo).

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