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Cage musicista rizomatico: “Gloses sur le Ryoanji” di D Charles

Capitolo 3. Rizoma Struttura variabile e armonia anarchica

3.1.1 Cage musicista rizomatico: “Gloses sur le Ryoanji” di D Charles

Nel breve scritto intitolato “Gloses sur le Ryoanji”, Daniel Charles passa in rassegna tre esegesi differenti del celebre giardino di pietre che si trova nel tempio Ryoanji a Kyoto. Per dare un nome alle tre letture, sotto il profilo di una teoria delle molteplicità, Charles si rivolge a Deleuze e Guattari: “i tre orientamenti esaminati qui, albero, radice fascicolata e rizoma, rinviano al lessico

del lavoro recente (e capitale…) di Gilles Deleuze et Félix Guattari, Rizoma”2. Charles scriveva

infatti nel 1976, l’anno stesso in cui Rizoma uscì come libretto a sé stante (quattro anni prima di apparire in forma leggermente modificata come l’introduzione a Mille piani); dal momento che è stato Cage a dare voce al terzo degli orientamenti sul giardino secco, e quindi al terzo dei tre tipi di molteplicità esposti su Rizoma, Charles dirà che “utilizzo il lessico di Deleuze-Guattari per via della

sua eccezionale efficacia non soltanto a proposito del Ryoanji, ma di John Cage”3.

Per un’interpretazione arborescente del giardino secco giapponese, Charles si rivolge ad uno studio occidentale classico intitolato L’Arte dei giardini giapponesi. In questo testo, Loraine Kuck si sofferma sulla posizione delle quindici rocce nello spazio rettangolare del giardino: i cinque isolotti di pietre sono raggruppati due a sinistra e tre a destra, in un disequilibrio che è compensato

secondo Kuck da una “simmetria nell’asimmetria”4, dal fatto cioè che le pietre a sinistra sono di

dimensioni maggiori (a sinistra, vi è un massivo inquadrato da quattro pietre più piccole, e un

gruppo di due sole pietre che “fanno e non fanno contrappeso” rispetto al gruppo precedente5; a

destra invece tre arcipelaghi, di cui il più grande è al centro). La fissità di questa struttura è comunque compensata secondo Kuck da un movimento interno: l’inclinazione della superficie

1 MP, p. 13

2 Charles 20022, p. 301. Cf. Charles 2005

3 Charles 20022, p. 313

4 Kuck 1941, p. 152 5 Charles 20022, p. 303

delle pietre crea una freccia orientata da sinistra a destra, la cui direzione globale è contraddetta

soltanto dal quarto gruppo dalla sinistra, inclinato “controcorrente”6. In breve, per Kuck si tratta di

un “movimento fluido delle linee congiunto ad una forza statica di perfetto equilibrio e

proporzione”7, secondo una logica dell’arborescenza che con Charles fa sì che ogni elemento è

“riassorbito nell’Uno”8.

Per Charles, l’interpretazione arborescente del giardino di rocce è discreditato non tanto dal

fatto che il giardino “non è stato concepito per essere visto a prospettiva di volo d’uccello”9. La

seconda lettura del giardino, che Charles trova in uno scritto di Wili Petersen, comincia quindi con la costatazione che il giardino è stato creato per essere visto lateralmente, e non dall’alto in basso; in questa posizione, da qualunque punto si osservi il giardino, almeno una pietra non è accessibile allo sguardo. L’unità delle quindici pietre è scomparsa, o piuttosto, anziché trovarsi nell’oggetto è diventata una realtà soggettiva o spirituale: per Deleuze e Guattari, nel tipo di molteplicità in questione “l’unità non smette di essere contrariata o impedita nell’oggetto, e un nuovo tipo di unità trionfa nel soggetto”10. Si è passati così alla seconda figura deleuzo-guattariana della

molteplicità, non più l’arborescenza ma la radice fascicolata: dei due principali tipi di radice, si distinguono infatti la radice pivotante, che è dotata di un forte asse centrale attorno al quale le radice secondarie si ramificano lateralmente, e la radice fascicolata, di cui l’asse principale sparisce in prossimità del collo della radice per lasciare proliferare una massa di radici secondarie. Nelle parole di Deleuze e Guattari, “la radice principale ha abortito, o si distrugge verso l’estremità; si innesta su di essa una molteplicità immediata e qualunque di radici secondarie che prendono un grande sviluppo”; benché scomparsa, l’unità è concepita come “passata o a venire” e richiama

dunque “un’unità segreta ancora più comprensiva, o una totalità ancora più estensiva”11. Questa

nuova unità riappare infatti nello scritto di Petersen con l’opposizione fra le pietre e la sabbia: se un solo gruppo di rocce diventerebbe un “centro d’interesse”, e con due o tre “l’attenzione potrebbe

6 Kuck 1941, p. 155 7 Kuck 1941, p. 156

8 Charles 20022, p. 304. Una interpretazione del giardino Ryoanji esplicitamente improntata ad un sistema

arborescente è stato recentemente pubblicato da Van Tonder e Lyons, i quali hanno studiato al giardino in base ad alcuni principi percettivi della teoria della Gestalt, in particolare l’idea di un asse mediale. Un insieme di linee mediane, formate cioè da una serie di punti equidistanti fra due punti estremi, sono state proiettate dagli studiosi fra le rocce del giardino, in modo da formare una serie di ramificazioni che gli autori chiamano un “albero di assi mediali” (G. J. Van Tonder e M. J. Lyons (2005), “Visual Perception in Japanese Rock Garden Design”, Axiomathes 15, pp. 353–371, p. 365).

9 Charles 20022, pp. 304 e 305

10 MP, p. 12 11 MP, p. 12

ancora fissarsi sulla forma delle cose […], l’adozione di cinque gruppi di rocce appare come una soluzione insieme sottile e complesso, che sottolinea l’unità indivisibile della sabbia e della pietra”12. Vi è cioè per Petersen una dipendenza reciproca fra la molteplicità molecolare dei

diecimila granuli di sabbia, e la molteplicità molare dei cinque gruppi di pietre; se la prima simbolizza il vuoto e il secondo rappresenta la forma, per Petersen “noi percepiamo il vuoto

attraverso la forma e la forma attraverso il vuoto”13. Il dualismo in questione fa quindi osservare a

Charles che Petersen “si richiama alla molteplicità solo con il retropensiero di soprattutto non lasciare perdere l’unità”14.

Petersen si scandalizza inoltre per il fatto che si fosse lasciato crescere del muschio alla base delle rocce. Per Charles invece, oltre a conferire vita al giardino per via dell’introduzione di un elemento umido, che risente del passare delle stagioni e quindi “restituisce all’impermanenza la

mineralità del Ryoanji”15, il muschio non può essere allineato né con la superficie della sabbia né

con la forma delle rocce. I caratteri materiali del muschio non sono dell’ordine della profondità ma dello spessore e della consistenza; se il dualismo di Petersen lo porta ad eliminare il ‘mezzo’, o ciò che vi è ‘fra’ le rocce e la sabbia, per Charles “il mezzo è il muschio; la ‘via del mezzo’ è quella della

molteplicità se réalisant e non se pensant”16. L’appello al “mezzo” riprende l’affermazione deleuzo-

guattariana che una molteplicità rizomatica “non è fatta di unità, ma di dimensioni, o piuttosto di direzioni moventi. Non ha cominciamento o fine, ma sempre un mezzo, per il quale cresce e

trabocca”17. La molteplicità del giardino è quindi diventata né arborescente né radicolare ma

rizomatica: se il rizoma non è una radice ma un adattamento del fusto (il quale cresce sotto terra, orizzontalmente), ne può comunque prendere l’aspetto: “essere rizomorfo significa produrre fusti e filamenti che hanno l’aria di essere radici, o meglio ancora si connettono con esse penetrando nel tronco”18.

Per un orientamento “rizomatico” verso il Ryoanji, Charles si rivolge quindi a Cage, il quale scriveva nel 1961 che:

ogni tanto mi capita di leggere un articolo su quel giardino di rocce nel Giappone,

12 Petersen 1963, p. 113 13 Petersen 1963, p. 113 14 Charles 20022, p. 307 15 Charles 20022, p. 312 16 Charles 20022, p. 312 17 MP, p. 31 18 R, p. 46

che contiene solamente uno spazio di sabbia e qualche roccia. L’autore, qualunque sia, s’impegna a suggerire che la posizione delle rocce nello spazio segue un piano geometrico o l’altro, il quale produce la bellezza che si può osservare; oppure, non contento con la semplice suggestione, confeziona diagrammi ed analisi dettagliate. Quindi, quando incontrai Ashihara, un critico giapponese di musica e danza […] gli dissi che per me, queste rocce avrebbero potuto situarsi in un luogo qualunque di quello spazio, che dubitavo che le loro relazioni fossero state calcolate, e che il vuoto della sabbia era tale che poteva reggere le pietre ad un punto qualsiasi. Ashihara mi aveva già fatto un regalo (delle tovaglie), ma allora mi chiese di attendere un momento mentre andava a cercare una cosa nel suo albergo. Quando

ritornò, mi diede la cravatta che porto in questo momento19.

Se le rocce “avrebbero potuto situarsi in un luogo qualunque di quello spazio”, l’allusione al caso implica per Cage non soltanto una distribuzione imprevedibile delle rocce, ma anche un appello alla sperimentazione. Cage ha infatti messo in atto questa sua visione del giardino giapponese nella serie di incisioni punta a secco e disegni a matita intitolati Ryoanji, e nelle composizioni musicali omonime (si vedano rispettivamente i paragrafi 3.1.3 e 2.1.5); in entrambi i casi, il rapporto con la disposizione delle pietre al giardino di Kyoto non può essere ridotta alla somiglianza né all’imitazione, essendo al contrario dell’ordine di una produzione o una sperimentazione.

Dei vari caratteri o “principi” del rizoma che Deleuze e Guattari espongono su Mille piani (che includono la coppia di principi di “connessione ed eterogeneità”, quello di “molteplicità”,

“rottura asignificante” e infine “cartografia e decalcomania”20), il tratto ‘rizomatico’ che accomuna

forse più degli altri i lavori prodotti da Cage nei vari media nell’ultimo quindicennio di vita è quello di una percezione che procede “a partire dal mezzo [par le milieu]”. Per Deleuze e Guattari, se è “facile percepire le cose dall’esterno, dall’alto in basso o viceversa, da destra a sinistra o

viceversa”21, è molto più difficile invece percepire le cose “dal mezzo”. Per definire un simile

regime della percezione, Deleuze e Guattari si rivolgono ad un passaggio dai Diari di Kafka: Tutte le idee che mi vengono non mi vengono non dalla loro radice, ma soltanto

19 Cage 1967a, p. 137 20 Cf. MP, pp. 13-20 21 MP, p. 34

da qualche punto verso la metà. Provate allora a tenerle, provate a tenere e ad aggrapparvi a un filo d'erba che comincia a crescere soltanto alla metà dello stelo.22

I cambiamenti tecnici che Cage ha introdotto nei lavori visive e testuali, oltre che musicali, nell’ultimo quindicennio circa della sua produzione, potrebbero fare pensare ad un simile regime della percezione: nelle sue incisioni e stampe, Cage opera a partire a partire dal 1983 una “semplificazione” che sostituisce alla superficie visiva di opere quali Changes and Disappearances (1978-1982) o On The Surface (1980-1982) una molteplicità di ronde senza supporto spaziale (si veda il paragrafo 3.1.3); a partire dal 1977, gli a plat linguistici dei lavori precedenti quali Empty Words cedono il posto ai mesostici e alla loro maniera di orientare i versi attorno ad una stringa centrale di lettere; e, soprattutto, a partire dal 1981 la sua musica privilegerà sempre di più le “parentesi di tempo” all’interno delle quali i suoni acquisiscono una mobilità e sono contornati da ciò che Cage chiama uno “spazio di tempo”. Per questi motivi, si potrebbe parlare di un cambiamento dell’orientamento topografico dei lavori di Cage, in cui il piano lascia il posto al rizoma.

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