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Alcuni sviluppi nella dottrina francese del Cinquecento

Questa tripartizione così chiara fornita da Paolo di Castro, assume un rilievo affatto speciale se posta a confronto con alcuni esiti fra i più interessanti della dottrina francese del secolo XVI. Infatti la Francia, segnata dalla presenza di un forte potere monarchico e in cui la tradi- zione del diritto consuetudinario era parimenti molto forte, fu anche il

animo introducendi consuetudinem ne praestentur, et tunc multo fortius lex abrogatur». Cfr. BARTOLO DA SASSOFERRATO, In Primam ff. veteris Partem, Venetiis, Apud Iuntas,

MDLXX, ad l. De quibus, ff. De legibus, f. 17rA n. 2: «Consuetudo est, quando fit contra legem per consuetudinem. et dissuetudo est, quando non utimur aliqua lege in iure posita».

55 P

AOLO DI CASTRO, In Primam, cit., ad l. De quibus, ff. De legibus, f. 13rA-B n.

11, 14, 16: «Hoc communiter tenent doctores quod non sit necesse consuetudinem fuisse obtentam in contradictorio iudicio dummodo semper et indistincte sic fuerit observatum … Dic quod haec est communis opinio legistarum, quod ad inducendam consuetudinem validam sufficiunt x. anni … supple et nunquam fuit iudicatum contrarium. alias praescriptio consuetudinis fuisset interrupta si ante ipsam completam hoc accidisset … Videtur ergo requirere ista glosa [glossa «Inveterata» ad l. De quibus,

ff. De legibus; cfr. Digestum Vetus, cit., p. 28A-B] iudiciarios actus ad consuetudinem

inducendam. sed communis opinio doctorum est in contrarium quod etiam sine ipsis potest induci si sciente et patiente populo vel maiori parte per continuum tempus ad hoc requisitum. de quo supra dixi [normalmente dieci anni], semper fuerit observatum, et nunquam fuit observatum contrarium. Qui ergo vult infringere probationes inductas ad consuetudinem probandam, tenetur probare intra idem tempus, quod aliquando fuerit contrarium servatum».

laboratorio ove si formò progressivamente quella dottrina della supre- mazia della legge, che doveva poi diventare il fondamento del diritto pubblico europeo. Certamente, si tratta di una dottrina nuova. Ma que- sta dottrina fu costruita mediante un sapiente riutilizzo di materiali anti- chi, quegli stessi materiali che la tradizione di diritto comune aveva saputo enucleare e aveva consegnato ai giuristi della seconda moderni- tà. I giuristi francesi, eredi di quella tradizione, ripresero certamente quelle dottrine e quei concetti, parte integrante della loro stessa cultura e della loro formazione, al punto d’essere, infine, le loro dottrine e i

loro concetti. Non si limitarono però a riutilizzarli sic et simpliciter, ma

li ricomposero in forme nuove, diedero loro significati diversi.

Così Jean de Coras (1512-1572)56, nel suo De iuris arte libellus, ri- prende, seppure con toni ben differenti, alcuni dei concetti schematizza- ti da Paolo. In particolare, Coras rifiuta la dottrina comune, per cui la legge può essere abrogata da una consuetudine contraria. Infatti egli ricorda il dettato della costituzione costantiniana del 319, secondo la quale la consuetudo non può vincere rationem aut legem. Peraltro, e qui sta il legame con il Castrense e la tradizione, Coras sostiene, nel rispet- to della l. De quibus, che la legge possa essere abrogata dalla desuetu-

do, intesa come evanescentia legis, come omissione dell’osservanza,

come negligentia. Certo, per Coras consuetudo e desuetudo sono molto simili, ma tuttavia restano differenti, poiché l’una è concetto meramente negativo, mentre l’altra presuppone la creazione di un vero ius

positivum, sebbene non legislativo. Insomma, con la desuetudo sarem-

mo di fronte, secondo Coras, a una vera contumacia legis, che peraltro non si confonde con il non usus ritenuto irrilevante da Paolo, e consi- stente solo nella mancanza dell’occasione di applicare la lex, e non nel- la sua inosservanza57.

56 Un profilo in J. P

OUMARÈDE, Coras (Corasius) Jean de, in Dictionnaire histo-

rique des juristes français (XIIe-XXe siècle), publié sous la direction de P. Arabeyre, J.-

L. Halperin, J. Krynen, Paris, 2007, pp. 203A-204B.

57 J

EAN DE CORAS, De iuris arte libellus, Coloniae, Apud Maternum Cholinum,

1563, pp. 265-266: «Nos vero, doctores, inepte loqui putamus, cum aiunt legem, contraria consuetudine tolli, tum quod apertum sit, Constantini responsum, negantis, ullum esse consuetudinis momentum, adversus rationem, aut legem, tum quod lex, non nisi contrario suffragio, proprie tolli dicatur, sed quo casu, longa negligentia, et quasi

Un altro importantissimo giurista francese del secolo XVI, Hugues Doneau (1527-1591)58, utilizza in maniera assai differente gli stessi concetti così chiaramente enunciati da Paolo di Castro. In particolare, egli ricorda l’aporia determinata dal contrasto fra la l. De quibus e la costituzione di Costantino del 319. Proprio questo contrasto rende oscu- ra la questione, e costringe a uno sforzo ulteriore. Secondo la l. De

quibus infatti la lex può essere abrogata dalla desuetudo. Ma con desuetudo, per Doneau, dobbiamo intendere una contraria consuetudo.

Vale a dire che, per porre in non essere una lex, non basta un compor- tamento negativo, non basta il non uso59. Invece, è necessaria una con- dotta attiva, idonea a esprimere una volontà che, contrapponendosi alla

lex, possa abrogarla. Infatti, una lex può essere “tolta di mezzo” da

un’altra lex, ovvero da una consuetudine, vale a dire che vi è necessità di una vera e propria attività, in qualche modo esplicita, di un consenso che sia qualcosa di più di una mera indifferenza per il comando legisla- tivo60. Mi sembra palese la presenza, sullo sfondo, della dottrina espres-

non utendo evanescit, per desuetudinem dicitur abrogari. Desuescere autem nihil aliud est, quam ab observantia legis abstrahi, seu legem ipsam non servare, et non utendo negligere. Quae contumacia, consuetudini quidem simillima est: at consuetudo proprie dici nequit, cum ea res, et facta perpetuo desideret. Desuetudo vero, sola negligentia, vel patientia inducatur … Consuetudinis ius est … quod voluntate omnium, sine lege vetustas comprobavit». In modo abbastanza curioso, questa dottrina ricorda quella del- l’exilium legis espressa tanto tempo prima da Rogerio. Cfr. E. CORTESE, La norma giu-

ridica. Spunti teorici nel diritto comune classico, II, cit., p. 111 n. 25. Del resto, Baldo

preferiva parlare di consuetudo localis quae vincit ibi usum, idest observantiam legis, piuttosto che di funditus eradicatio legis; cfr. BALDO DEGLI UBALDI, Commentaria in

primam Digesti Veteris Partem, cit., f. 24rA n. 20.

58 L. P

FISTER, Doneau (Donellus) Hugues, in Dictionnaire historique des juristes

français, cit., pp. 256B-258B.

59 Questione antica anch’essa; cfr. E. C

ORTESE, La norma giuridica. Spunti teorici

nel diritto comune classico, II, cit., pp. 157-158.

60 H

UGUES DONEAU, Opera Omnia. Commentariorum de iure civili, I, Lucae, Typis

Joannis Riccomini, MDCCLXII, coll. 68-69: «Auctoritatem et vim consuetudinis dubiam fecit duorum locorum, ut videtur, dissensio. Nam in L. de quibus, D. de Legibus scribit Iulianus, ita inveteratam consuetudinem pro lege custodiri, ut adiiciat in extremo, etiam leges scriptas tacito consensu omnium per desuetudinem abrogari. Per desuetudinem, id est per consuetudinem, qua contrarium ius usurpatum sit, vetus desuetum. Non enim ad tollendam legem veterem sufficit ea non uti, nisi etiam

sa in modo così chiaro da Paolo, quantunque qui si assista, in sostanza, proprio al rifiuto di tale dottrina. Infatti Doneau non si limita a respin- gere nel campo dell’irrilevante il semplice non uso di una legge per la mancanza dell’occasione di applicarla, cioè per il mancato verificarsi della fattispecie prevista dalla legge stessa. Egli va ben oltre. Considera irrilevante, mi pare, anche la desuetudo così come l’aveva definita Pao- lo, vale a dire la non-applicazione tout-court della lex. Doneau esige in ogni caso un comportamento attivo contra legem. Appare chiaro, tutta- via, che questa posizione rende ancora più acuto il contrasto fra la l. De

quibus e la costituzione di Costantino. Per risolvere il problema, Do-

neau fa ricorso a una raffinata analisi di tipo logico-formale del dettato costantiniano, analisi basata sulla distinzione fra genus e species. Se- condo il giurista francese, vi è in realtà una perfetta equivalenza, una posizione di assoluta parità fra lex e consuetudo. Esse sono equivalenti nei loro rapporti con la ratio, vale a dire la recta ratio naturalis, che nessuna delle due può vincere. E sono equivalenti nei loro rapporti re- ciproci, perché posseggono pari forza, di modo che ciascuna può abro- gare l’altra. Secondo Doneau, proprio questo è il senso dell’espressione costantiniana, per cui consuetudo non vincit rationem aut legem. Infatti, in quanto genera, generi normativi, consuetudo e lex posseggono la medesima forza. Nessuna delle due vince l’altra, perché non la supera in autorità. Essendo equivalenti, sono quindi interscambiabili a parità di

genus, vale a dire qualora possiedano lo stesso grado di generalità. La

consuetudine possiederebbe cioè una forza maggiore della legge, po- nendosi quindi in contrasto con la norma del Codex, solo qualora una

consuetudo municipalis, per esempio, avesse maggior forza di una lex publica, o di una constitutio principis, seppure nel ristretto ambito del

municipio. Siamo cioè di fronte a una posizione dottrinale che, mi pare, pur facendo uso di termini e concetti propri della tradizione, e che pos- siamo ritrovare disposti in bell’ordine nell’opera del Castrense, giunge però a conclusioni lontanissime da quelle tradizionali, conclusioni che

contrario facto populus declaret, eam sibi improbari. Sed nec vetus lex, aut consuetudo tollitur sine scripto, nisi consuetudine, nempe contraria lege. Sola autem desuetudo, id est quod lege non utaris, nec quidquam amplius contra facias, non est consuetudo: cum consuetudo sit usus. Hoc igitur dicit, adeo consuetudinem pro lege servari: ut etiam leges, nempe scriptae, contraria consuetudine abrogentur».

sembrano negare alla consuetudo persino quella generale efficacia de- rogatoria in ambito locale, che era invece uno dei capisaldi del pensiero giuridico della prima modernità61.

Di tutta questa costruzione cinquecentesca qualche spunto si può co- gliere anche nel pensiero di Paolo di Castro. Così Paolo, a proposito della questione dei rapporti fra la consuetudine e una legge successiva con essa contrastante, propone tre possibili soluzioni. La più semplice vuole che la

consuetudo sia abrogata solo a fronte di un’espressa menzione62. La se- conda, più raffinata, stabilisce l’abrogazione della consuetudo, anche in assenza di una menzione espressa, se tale consuetudine era contraria a una legge più antica, ed è poi subentrata una nuova legge contrastante con la consuetudine e conforme alla lex più risalente63. Infine, e si tratta

61 Ivi, coll. 69-70: «At in l. 2. C. quae sit longa consuetudo sic Constantinus:

‘Consuetudinis, ususque longaevi non vilis auctoritas est: verum non usque adeo sui valitura momento’, idest suo pondere, ut aut rationem vincat, aut legem. Quod negat, consuetudinem vincere rationem, contrarium non est. Nam nec lex scripta, cui consuetudo comparatur, vincit rationem, id est rectam rationem naturalem, quae praescribit quae iusta sunt, quod semper aequum et bonum est, quoniam si his lex consentanea est, non vincit, sed sequitur: sin contraria, ut sit ipsa iniusta et iniqua: adeo non vincit, ut nec ipsa valeat, atque adeo ne lex quidem sit, ut in definitione iuris diximus ex l. 2. D. de Legibus. Quod autem dicit, consuetudinem non vincere legem, contrarium videtur. Vincit enim lex, quae abrogat; et vincitur, quae abrogatur … In his enim verbis, ‘consuetudo non vincit rationem, aut legem’, neque consuetudinis verbo nominatur species aliqua consuetudinis, ut apparet, sed genus ipsum consuetudinis: neque item verbo legis species legis, sed genus ipsum legis. Itaque totum hoc dictum est de consuetudine et lege in suo genere, non in specie huius, aut illius vel consuetudinis, vel legis. Proinde haec sententia est. Consuetudo in suo genere non vincit legem, id est non maiorem vim habet, quam lex in simili genere, et suo. Quod sane est verissimum, etiam tunc, cum de abrogatione priorum legum agitur. Consuetudo populi Romani legem etiam populi abrogat. Non ideo maiorem vim habet, quam lex in suo, quoniam et lex in suo idem faceret. Quando ergo diceretur consuetudo in suo genere legem vincere, ut hoc lege Constantini prohibitum intelligamus? Nempe si fingeremus, consuetudinem municipii maiorem vim habere, quam legem publicas, aut constitutiones principum etiam in eo municipio. Nam lex eiusdem generis, puta municipii, idem non faceret».

62 P

AOLO DI CASTRO, In Primam, cit., ad l. De quibus, ff., De legibus, f. 13rB n. 19:

«[La legge successiva abroga la consuetudine precedente se] facit expressam mentionem de consuetudine praecedenti sibi contraria, alias secus».

63 Ibid.: «Vel dic quod etiam si non facit expressam mentionem, si tamen illa

a mio avviso del caso più interessante, una legge può abrogare implici- tamente una consuetudine qualora disapprovi un comportamento per- messo da tale consuetudine, e lo disapprovi in quanto contrario alla

publica utilitas ovvero turpe o illecito64. Questo generale potere abroga- tivo, che peraltro si può ritrovare nel pensiero di Baldo degli Ubaldi65, rappresenta forse uno degli elementi della dottrina giuspubblicistica dei secoli XIV e XV che più da vicino annuncia i tempi nuovi e il crescente potere riconosciuto al princeps, al legislatore.