Nel contesto di questa fioritura, Connan presenta il suo lavoro, nato da una duplice esigenza, insieme privata e pubblica: il piacere che ne ha preso, e il desiderio pedagogico di istruire la gioventù che si avvicina agli studi giuridici. Infatti10: «Praeter quam quod magnam ex eo capio voluptatem, nihil maius aut melius mihi videor posse efficere, quam si
8 Commentarii, p. [23]: «Hi [i giureconsulti romani] non tantum artis et doctrinae
studio suo adhibuerunt, quantum industriae et laboris».
9 Ivi, p. [24]. 10 Ibidem.
erudiam iuventutem in ea scientia, quae tantum ad omnem partem reipublicae valet, et authoritate, et favore, et gratia».
Appare qui l’istanza pedagogica, educativa, destinata a lunga fortu- na nei decenni seguenti, e che rappresenta forse il tratto più importante della giurisprudenza umanistica11, che recupera così un motivo, quello pedagogico appunto, caro alle correnti platoniche12.
Sarà proprio a partire dalla consolidazione operata da Connan, che i giuristi del tardo Cinquecento svolgeranno la loro opera, e sarà attraver- so i Commentarii del giurista parigino che molti motivi della grande scuola umanistica della prima metà del secolo giungeranno, già elabo- rati e, per così dire, “digeriti”, ai grandi maestri dei decenni successivi, a Bodin e a Grégoire.
Connan, giurista in cui riflessione teorica e attività pratica furono perfettamente fuse insieme, nella migliore tradizione di diritto comu- ne13, calò la propria esperienza e la propria dottrina nei dieci libri dei
11 Per il problema dell’educazione rinvio a E. G
ARIN, L’educazione in Europa:
1400-1600. Problemi e programmi, Bari, 19662.
12 Soprattutto se si tratta dell’educazione del principe; lo ha richiamato ancora
D. QUAGLIONI, Il “secolo di ferro” e la nuova riflessione politica, in C. VASOLI, Le
filosofie del Rinascimento, a c. di P.C. Pissavino, Milano, 2002, pp. 326-349: 328. Un
punto di riferimento essenziale restano gli studi di Margherita Isnardi Parente, ora in EAD., Rinascimento politico in Europa, studi raccolti da D. Quaglioni e P. Carta, Pado-
va, 2008.
13 È proprio questa tradizione che ha indotto Franz Wieacker a raccogliere i giuristi
del maturo ius commune sotto la generale etichetta di consiliatores. Cfr. F. WIEACKER,
Storia del diritto privato moderno con particolare riguardo alla Germania, I, trad. it. e Presentazione di U. Santarelli, Milano, 1980 (tit. orig. Privatsrechtgeschichte der Neu- zeit unter besonderer Berücksichtigung der deutschen Entwicklung, 2., neubearbeite
Auflage, Göttingen, Vandenhoeck u. Ruprecht, 1967), pp. 107-130: 109. Occorre però ricordare che l’intera interpretazione della tradizione giuridica occidentale moderna, anzi, la nozione stessa di tradizione giuridica occidentale moderna, è stata ora profon- damente reinterpretata da H.J. BERMAN, Diritto e rivoluzione, cit., e ID., Diritto e rivo-
luzione, II, cit. Alla luce del pensiero di Berman, l’accento non può più essere posto
sulla distinzione-integrazione di dottrina e prassi, ma sulla nozione stessa di diritto, o, meglio, di tradizione giuridica nel cui ambito il diritto costituisce una realtà organica il cui sviluppo è affidato a un ceto di specialisti, i giuristi, distinto da ogni altro per for- mazione e cultura. In un certo senso, quindi, la distinzione fra dottrinari e practici perde importanza, perché si tratta soltanto di aspetti diversi dell’unica attività dei giuristi, che consiste nel conservare e costantemente modificare il diritto come complesso organico
suoi Commentarii iuris civilis. Essi si aprono, in modo tutt’affatto tra- dizionale, con il proposito di delimitare precisamente l’oggetto della riflessione del giurista: «Res omnis cuius est disciplina, an sit, quid sit, qualis sit, quaeritur»14. La questione appare importante, certamente per- ché la definizione consente di svelare l’oscurità che avvolge l’oggetto della ricerca, «diffinitio rem inventam sed adhuc obscuram et involutam aperit»15, ma soprattutto perché solo un discorso così artico- lato presenta sufficienti garanzie di scientificità. Se infatti la scienza altro non è – dice Connan – che una forma di osservazione e conoscen- za della natura, allora nessuna institutio, nessuna trattazione-formazione si può avere di cose che non esistono, che non sono16. Quindi, perché possa esistere una dottrina giuridica, prosegue Connan, è necessario anzitutto chiedersi se il ius trovi il proprio fondamento, da un punto di vista ontologico, in un autentico fatto avente una sua vera esistenza, o non piuttosto nella mera opinione, problema, questo, forse più adatto a filosofi che a giuristi, e non a caso trascurato dagli antichi giureconsul- ti17. E se davvero, come si è accennato, il fondamento del diritto è da ravvisare nella natura stessa, ne consegue che la scienza giuridica non può ridursi a sterile tecnicismo, a sofisma sottile, ma deve necessaria- mente tenersi aggrappata alla bonitas naturae, che costituisce il fine di ogni legge e di ogni istituto18.
Tuttavia, un ipotetico fondamento naturale del diritto presenta diffi- coltà assai gravi. Come ricorda Connan, molti potrebbero pensare che il
e creazione originale della tradizione occidentale moderna (vale a dire della tradizione che prende avvio dalla metà del secolo XI).
14 Commentarii, p. 1 n. 1. 15 Ibid.
16 Ibid.: «Cum enim scientia nihil aliud sit, quam naturae quaedam observatio et
cognitio, rerum earum quae non sunt, nulla institutio suscipi potest».
17 Ibid.: «Ut igitur aliquam doctrinae viam habeat istud quicquid est, quod de iure
aggredimur scribere, primum nobis afferenda ea quaestio est, ius re vera sit, an opinione tantum. quae tametsi philosophorum scholis aptior quam foro esse videatur, ideoque a veteribus Iurisconsultis aut consulto neglecta, aut omissa imprudenter».
18 Ivi, p. 2 n. 2: «Tum [se il ius si fonda nella natura], quod maximum est,
assuescent quaecunque legerint in iure civili, non ad quandam subtilitatem artis, sed ad naturae bonitatem dirigere, ut ad eam possint rectis studijs contendere, quam cognoverint legum institutorumque omnium finem esse postremum».
diritto non sia che opinione, dal momento che sembra mutare da popolo a popolo: «multis videri possit, sola opinione, non etiam natura ius esse, quod non idem sit apud omnes, sed alius alio populus, et fere suo qui- sque utatur»19.