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Da questo punto di vista, il pensiero di Nello, che si inserisce a pie- no titolo e anzi in posizione di rilievo nella grande tradizione dottrinale di diritto comune, giunta ormai alla sua piena maturità, pur non posse- dendo certo il respiro della trattazione bartoliana, e disperdendosi in una miriade di questioni particolari (dispersione peraltro giustificata dagli intenti pratici o praticistici perseguiti dal giurista), si rivela però il frutto di una solida mente giuridica, e contribuirà grandemente a dare alla nozione di bando il suo assetto definitivo, in un mondo, quello dei secoli XV e XVI, in cui i problemi giuridici e politici saranno profon- damente innovati, in cui il potere degli Stati, tanto più grande quanto più privo di rivali, porrà al centro della riflessione dei giuristi la que- stione dell’obbedienza, e per il quale la materia del bando, dell’esilio politico, per lungo tempo non cesserà di essere quotidiana. Se da questa

quotidianità prenderà forma il mondo dei fuoriusciti cinquecenteschi,

tuttavia la rilevanza dei problemi affrontati da Bartolo prima e da Nello da San Gimignano poi non si esaurirà con il tramonto del secolo XVI. Certo, l’affermarsi degli Stati nazionali e la perdita di importanza degli ordinamenti giuridico-politici universali renderà sempre meno attuali i richiami alla condizione giuridica del civis Romani imperii, intangibile da parte delle autorità e degli ordinamenti particolari. Ciò significherà un peggioramento delle condizioni degli esiliati, che si troveranno privi

casum universitatem, vel collegium recedere, isto casu privilegia, et iura non pereunt, immo ipsa iura dicuntur retineri per illum locum, a quo denominabatur universitas, secundum opinionem Moysi». Palese è qui il riferimento alla grande epidemia di peste. Per la dottrina dell’arcivescovo Mosè, secondo cui i diritti delle comunità sono incorpo- rati negli immobili che formano l’urbs o la villa, si veda E. CORTESE, Per la storia di

una teoria dell’arcivescovo Mosè di Ravenna (m. 1154) sulla proprietà ecclesiastica, in

S. KUTTNER,K. PENNINGTON (ed. by), Proceedings of the Fifth International Congress

of Medieval Canon Law (Salamanca, 21-25 September 1976), Città del Vaticano, 1980,

pp. 117-155, ora anche in E. CORTESE, Scritti, I, a c. di I. Birocchi, U. Petronio, Spole-

della loro condizione giuridica di diritto proprio, senza conservarne al- cuna di diritto comune. Sono, questi, fenomeni di cui si può già avverti- re il sentore nella trattazione di Nello da San Gimignano, soprattutto se la si confronti con quella bartoliana. D’altro canto il potere politico, avvalendosi dei risultati della dottrina del bando, mutilati di quegli aspetti che ne avevano temperato la durezza, continuerà a fare largo uso dell’esilio politico, inflitto come pena o imposto nei fatti.

CAPITOLO VI

IL BANDO NELLA DOTTRINA DI DANTE:

DALLA PRIMA ALLA SECONDA MODERNITÀ

1. Dante e il bando: il problema

Può forse sorprendere che il capitolo conclusivo di un’opera, dedica- ta all’importanza della consuetudine nella tradizione giuridica occiden- tale moderna, e a una sua peculiare manifestazione come il bando, sia consacrato a Dante, e si badi, non al bando di Dante, come exemplum storico di speciale rinomanza di una pena e di una tradizione criminali- stica ampiamente diffuse, ma al bando in Dante, o, ancora meglio, alla dottrina, al pensiero che Dante stesso sviluppò intorno al bando, e, solo in modo tutto sommato secondario, al suo bando, al bando che aveva colpito lui medesimo1.

Potrebbe parere anche più sorprendente, poi, che queste riflessioni siano collocate non nel luogo che, cronologicamente, parrebbe essere più idoneo: in corrispondenza di una trattazione della dottrina trecente- sca, o, ancora meglio, due-trecentesca, ma alle soglie di quella che, tra- dizionalmente, siamo usi a chiamare modernità e che, sulla scorta delle riflessioni di Harold J. Berman2, chiamiamo qui seconda modernità, che nella visione di Berman è niente altro che l’età della Riforma religiosa3.

Peraltro, occorre ricordare che le vicende biografiche di Dante, an- che e soprattutto in relazione al bando da cui fu colpito, sono state e

1 Non pare casuale che questo aspetto sia in realtà ignorato nelle indagini, pure inte-

ressanti e che attraversano tutta l’opera dantesca, che si sono poi concretate nei saggi dell’Enciclopedia dantesca. Cfr. L. ONDER, Bando, in Enciclopedia dantesca, I, Roma,

19842, p. 508A-B e la voce redazionale Bandeggiare, ivi, p. 507A. 2 Come è stato messo in evidenza da D. Q

UAGLIONI, Presentazione dell’edizione

italiana, in H.J. BERMAN, Diritto e rivoluzione, II, cit., pp. IX-XXIII: XIII.

3 A cui, infatti, è dedicato, H.J. B

sono tuttavia oggetto di inesauste ricerche4. Molto minor interesse ha suscitato, invece, la riflessione di Dante intorno al bando, non tanto al suo proprio, posto che è impossibile percorrere l’opera dantesca senza doversi misurare con ciò5, quanto al bando in generale, come pena da cui lui fu colpito, a suo dire e a suo sentire, ingiustamente, ma che co- munque egli ben conosceva e della cui legittimità, in linea di principio, non vi è ragione di credere che dubitasse.

Quanto poi a considerare Dante e il suo pensiero come uno snodo fondamentale nel passaggio dalla prima alla seconda modernità, come recita il titolo di questo capitolo, si tratta di una scelta che, come è stato ricordato e dimostrato recentemente, sembra ampiamente legittima.

Non si deve dimenticare che proprio nel 1559 (per la prima volta) e poi nel 1566 la Monarchia dantesca fu data alle stampe, e precisamente nella protestante Basilea, a testimonianza dell’interesse che il mondo riformato sentiva per Dante, e soprattutto per il Dante giurista e politi- co, quello della Monarchia6. Non basta: i giuristi avvertirono si può dire da subito il significato giuridico della riflessione dantesca, come dimostra non tanto la ben nota amicizia tra Dante e Cino da Pistoia, ma soprattutto l’attenzione che a Dante rivolse Bartolo da Sassoferrato, non casualmente allievo di Cino. È senza dubbio attraverso Bartolo, e attra- verso l’influenza che il suo pensiero ebbe sul corso successivo della tradizione giuridica, che anche la presenza di Dante tra le auctoritates giuridiche si consolidò. E questa presenza finì per assumere, nel XVI secolo, forme nuove, in tutto consone ai gusti umanistici che erano pro- pri dei giuristi cinquecenteschi. Così, nelle Illustrium iureconsultorum

imagines quae inveniri potuerunt ad vivam effigiem expressae, date alle

4 Per una sintesi che è insieme punto di arrivo e di partenza, cfr. la recente biografia

di M. SANTAGATA, Dante. Il romanzo della sua vita, Milano, 2012.

5 Soprattutto per il carattere intensamente autobiografico dell’opera dantesca; su ciò

rinvio alle molte sottolineature di M. SANTAGATA, Dante, cit., passim.

6 Su questo cfr. D. Q

UAGLIONI, Introduzione a DANTE ALIGHIERI, Monarchia, in

Opere, ed. dir. da M. Santagata, II, cit., pp. 809-883, specialmente pp. 824-828, ora

rivista e ristampata in DANTE ALIGHIERI, Monarchia, cit., pp. V-CXLIV, specialmente

pp. XX-XXIV. Ad oggi, sul rapporto tra Dante e il diritto, si vedano anche gli studi di C. DI FONZO, Dante tra diritto teologia ed esegesi antica, Napoli, 2012, nonché EAD.,

Dante e la tradizione giuridica, Roma, 2016 (Biblioteca Medievale. Saggi, 32), soprat-

stampe nel 1566 da Antoine Lafréry e basate sui ritratti raccolti dal giu- rista padovano Marco Mantova Benavides, noi troviamo proprio un bel profilo di Dante7.

Pare a chi scrive, che tutto questo sia ampiamente sufficiente a giu- stificare non solo l’attenzione alla dottrina dantesca in materia di bando, ma anche il ruolo che a tale dottrina abbiamo attribuito nel delicato tra- passo cinquecentesco.

2. L’esperienza di Dante e la legittimazione dell’istituto: pena e miseri-