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Perché “un altro mondo è possibile ”: i metodi decisionali partecipati 66

CAPITOLO TERZO

3. LA RETE DEGLI ECOVILLAGGI COME MOVIMENTO TRANS- E ALTER-GLOBALE

3.6. Perché “un altro mondo è possibile ”: i metodi decisionali partecipati 66

Sebbene come affermato più sopra il movimento degli ecovillaggi si distingua all’interno del movimento alter-globale proprio per l’applicazione costante di un atteggiamento prefigurativo a tutti gli aspetti del vivere quotidiano, anche qui è la sfera “politica” quella che colpisce di più, l’utilizzo cioè di tutte quelle tecniche che agevolano la gestione dei conflitti e il raggiungimento del consenso, accumulate grazie alla diversità di esperienze che compongono il movimento. Si va dunque dal metodo consensuale più classico utilizzato dai Quaccheri alle tecniche elaborate in contesti anarchici; dal “cerchio” gestito col bastone della parola mutuato dalle tradizioni di alcune popolazioni native americane alla sociocrazia nata in ambito imprenditoriale; dai metodi di facilitazione utilizzati nelle riunioni dalle grandi aziende (fishbowl, world

Another world is possible è anche lo slogan del Forum Sociale Mondiale.

café, “termometro” , ecc.) al Process Work di Arnold Mindel o la CNV di Marshall 67 Rosenberg, impiegata anche nei monasteri buddisti occidentali. Al di là poi dei “pacchetti metodologici” sperimentati nella loro interezza (come sta facendo ad esempio ora la RIVE con la sociocrazia), le reti e gli ecovillaggi si avvalgono di numerosi altri strumenti che modellano a seconda delle esigenze e delle caratteristiche del gruppo e dell’argomento specifico da trattare.

Come afferma Graeber (2002), è difficile trovare qualcuno che abbia partecipato a una di queste riunioni senza che il senso della potenzialità umana ne esca profondamente trasformato: “It’s one thing to say, ‘Another world is possible’. It’s another to experience it, however momentarily.” (72). Francesca ad esempio, avvicinatasi alla RIVE come studentessa di sociologia e divenutane poi presidentessa, parlando del suo primo raduno racconta: “mi ha affascinato l’idea di poter vivere una scelta, e quello che mi ha lasciato stupefatta è il fatto che così tante persone differenti fra di loro riuscissero a parlare tranquillamente senza vociarsi addosso, senza infamarsi.”68

I fishbowls sono discussioni tipiche delle “non conferenze” e delle metodologie open space, dove un 67

gruppo ristretto di esperti (il “fish”) siede in un cerchio, mentre gli ascoltatori siedono intorno in cerchi concentrici (le “bowls”). Nel fishbowl è sempre presente una sedia vuota, che può essere occupata sia da uno degli ascoltatori qualora volesse intervenire alla discussione o porre una domanda, sia da un nuovo esperto: in questo caso uno dei presenti dovrebbe alzarsi per lasciare comunque una sedia sempre vuota (Unconference Methods: Fish Bowl Dialogue in www.unconference.net).

Il world café è una modalità per condurre le riunioni creando un setting intimo e rilassato (sul modello di un bar) composto da tanti piccoli gruppi di lavoro che discutono tutti lo stesso argomento o diversi aspetti dello stesso argomento, con la possibilità di cambiare più volte gruppo; alla fine della sessione ogni tavolo condivide le proprie idee con gli altri (cfr. http://www.theworldcafe.com/key-concepts-resources/world-cafe-method/). Nella RIVE viene spesso utilizzato per definire i progetti e i principi della rete.

Il termometro è uno strumento utilizzato quando si tratta un argomento particolarmente critico su cui non si riesce a raggiungere un consenso: si chiede allora ai partecipanti di posizionarsi fisicamente in relazione alle due posizioni più contrastanti su quell’argomento, che vengono immaginate agli opposti della stanza. Serve per superare visioni dicotomiche che banalizzano la complessità della saggezza collettiva e per “misurare” l’opinione collettiva su quella determinata questione.

Elena Risi, Io faccio così #65: La rete Rive e gli ecovillaggi in Italia, 25 marzo 2015, http://

Anche nel mio caso fin dal primo approccio col campo di ricerca, durante il raduno RIVE che si tenne al Vignale nell’estate del 2013, la cosa che mi colpì di più fu questa sorprendente capacità di dialogo. Durante questi incontri infatti, oltre ai diversi workshop che insegnano o mostrano le tecniche sostenibili applicate negli ecovillaggi (metodi di facilitazione, permacultura, crescita personale, sistemi educativi non convenzionali, auto-costruzione, aspetti economico-giuridici, ecc.), si tengono dei dibattiti sui temi principali che contraddistinguono la vita negli ecovillaggi o che suscitano particolare curiosità all’esterno, presentati da membri di comunità distinte con lo scopo di rappresentare al meglio la varietà di opinioni e punti di vista presenti nella rete. Al mio primo raduno si parlò di come gli ecovillaggi potessero contribuire al miglioramento del proprio territorio, in che modo si proponessero concretamente come esempi di transizione sociale, economica e ambientale e il loro rapporto con la disabilità; l’anno successivo gli argomenti erano la relazione con l’ambiente, nascere e crescere in ecovillaggio e gli ecovillaggi come “famiglie intenzionali”; l’ultimo anno che ho partecipato facevo parte del gruppo che si occupava dell’organizzazione culturale del raduno e ho contribuito io stessa alla scelta dei temi, che riguardavano gli equilibri relazionali tra individuo, coppia, famiglia e comunità e l’importanza della coabitazione per gli ecovillaggisti.

I dibattiti sono strutturati in fishbowls, un metodo utilizzato per facilitare il dialogo tra esperti in un settore, specialmente nel caso di profonde differenze di opinione (Graeber 2002), e dare allo stesso tempo un’opportunità più informale e partecipata di intervenire al pubblico. Il fishbowl è uno strumento essenziale per far emergere le profonde divergenze di opinione sui modi di intendere e mettere in pratica la sostenibilità ambientale, economica e sociale che caratterizzano il movimento. Pur non essendo infatti strutturato come un confronto ma piuttosto come una semplice giustapposizione di differenti punti di vista, durante ogni dibattito colpisce come tra i rappresentanti del movimento e delle principali comunità che lo compongono ci sia così tanta divergenza

su argomenti così vitali. Ricordo ad esempio che durante il secondo fishbowl a cui partecipai si toccò l’argomento alimentazione, un tema particolarmente caldo e controverso sia dentro che fuori gli ecovillaggi. Prima di arrivare ero convinta che negli ecovillaggi, sia per ragioni etiche che ambientali, quasi tutti gli abitanti fossero vegani; questa convinzione fu ulteriormente rafforzata durante il primo pasto del raduno, nel quale non ci venne servito nessun alimento di origine animale. Rimasi dunque molto colpita quando nel giro di opinioni molti (ma non tutti) si dichiararono vegani o vegetariani, ma allo stesso tempo venne ribadita l’accettazione per la diversità e l’opinione altrui; la natura processuale della rete, in cui ognuno può trovarsi a vari livelli in un percorso di presa di coscienza ambientale; l’accoglimento della morte come parte di un cerchio vitale di trasformazione dell’energia di cui anche noi facciamo parte; la necessità di mangiare solo l’animale che si ha il coraggio e il rispetto di uccidere (come fanno a Torri Superiore e a Bagnaia) e in generale un’esigenza di diminuire il consumo di carne che è soprattutto ambientale. Alla fine uno dei membri del villaggio ospitante, quasi a voler dare una risposta al mio sconcerto (sicuramente condiviso con molti altri uditori esterni), concluse dicendo:

“…qui al Vignale non c’è una grande omogeneità ideologica, alimentare o di altro tipo, però crediamo che in natura la diversità è ricchezza e lo possiamo verificare per esempio nel nostro orto. […] Se pure noi siamo natura perché dobbiamo convergere su delle posizioni univoche? Probabilmente all’inizio sarebbe più facile…uso una parola brutta: una setta si muove molto più velocemente che un gruppo diverso di personaggi strampalati. Le diversità emergono subito, emergono proprio la mattina quando fai colazione [ride] e possono essere motivo di conflitto. Ma non esiste un gruppo dove tutto è bello, è facile…Personalmente non credo nell’ecovillaggio dei vegani, ecc. Nelle famiglie ci sono tante voci, nei villaggi ci sono tante voci, e anche negli ecovillaggi e nella società futura mi auguro che sarà così.” (Mauro, luglio 2013).

Nonostante un certo “surriscaldamento”, il dibattito scivolò senza intoppi: era la prima volta che mi capitava di partecipare a una discussione in cui venivano espresse posizioni così contrastanti su un argomento così sentito senza che finisse a urla e strepiti, senza che si cercasse di parlarsi sopra, senza che si finisse sul personale, senza che venisse espresso un qualche senso di superiorità o di indifferenza verso le opinioni altrui, e la cosa mi colpì molto. Non solo: il discorso man mano si spostò sul rispetto della diversità, che sembrava per tutti molto più importante delle scelte alimentari in sé. Come affermato in un altro fishbowl un paio di anni dopo infatti, nel perseguire l’ecologia non bisogna dimenticare la prima e fondamentale “ecologia delle relazioni”: dunque scontrarsi e sgridarsi a vicenda perché non si sta facendo “la cosa giusta” non fa parte della filosofia degli ecovillaggi. Certo, lo strumento del fishbowl ha proprio lo scopo di permettere alle voci contrastanti di esprimersi; mi chiesi perciò come sarebbe stata gestita tutta questa diversità nel momento in cui l’associazione avesse dovuto prendere una decisione.

La risposta arrivò qualche mese dopo, durante il raduno autunnale che si tenne al Giardino della Gioia (GdG) in Puglia. Ricordo come fosse ieri quel senso di fiducia nell’umanità e l’entusiasmo che pervase ogni singola cellula del mio corpo dopo quei tre giorni estenuanti sul Gargano passati a prendere decisioni fondamentali per il futuro della rete. È infatti soprattutto durante i raduni destinati ai soli soci che emergono le potenzialità relazionali del movimento e la struttura orizzontale, consensuale e partecipata che lo contraddistingue. Se infatti nelle comunità, e dunque con una convivenza ristretta e continuativa, si producono gli attriti maggiori, è anche vero che normalmente in ognuna di esse tende a esserci più omogeneità rispetto alla diversità che caratterizza la rete intera, poiché ognuna dichiara il proprio focus tramite diversi documenti fondativi (statuti, manifesti, carte degli intenti) che vengono poi accettati da tutti i futuri membri.

Durante questi incontri, a cui solitamente partecipano tra i trenta e i cinquanta soci attivi (tra ecovillaggisti, progetti e soci sostenitori), si riunisce l’assemblea dei soci (definita “cerchio” nello statuto dell’associazione), l’organo decisionale e di comunicazione principale del movimento. Il cerchio ha come obiettivo principale quello di prendere decisioni di vitale importanza per l’associazione, quale l’elezione dei suoi rappresentanti (il consiglio direttivo o “degli anziani”, la segreteria, la presidenza, ecc.), la formulazione o la revisione degli accordi di base, o le date e gli ecovillaggi che ospiteranno gli incontri annuali. Serve però anche per discutere i progetti della RIVE, l’organizzazione del raduno estivo e qualsiasi altro tema stia a cuore ai soci e sia stato presentato in assemblee precedenti o nel cerchio virtuale che è la mailing list. Durante i cerchi, attraverso l’utilizzo di modalità decisionali basate sul consenso e sulla comunicazione nonviolenta, il dialogo tra le diverse anime del movimento prende vita nella sua concretezza, dimostrando la capacità di gestire il conflitto e di utilizzarlo come motore di cambiamento invece che viverlo come ostacolo.

Il metodo decisionale principale utilizzato dalla rete italiana è stato fin dall’inizio quello del consenso, sperimentato regolarmente nelle singole comunità e affinato in base alle caratteristiche e alle necessità di ognuna di esse: la gran parte dei soci RIVE utilizza il metodo elaborato dall’ecovillaggio di Torri Superiore nell’ambito del GEN e poi portato alla RIVE, a sua volta mutuato dai corsi della facilitatrice americana Beatrice Briggs; altri lo hanno leggermente modificato per accogliere una maggiore cura degli aspetti emotivi e relazionali, come il consenso empatico proposto dall’Associazione Basilico (ecovillaggio Corricelli); altri ancora lo hanno adattato a metodi consensuali che avevano già radicato, come il metodo del Cerchio degli Elfi o il consenso misto della Federazione di Damanhur, che, avendo circa 600 abitanti, prevede anche alcuni aspetti più tipici delle democrazie rappresentative (Guidi 2011); altri infine tra comunità più antiche o estranee alla RIVE lo utilizzavano già ma non sapevano che fosse stato teorizzato con un nome e una struttura così precisa (come le comunità MCF, che lo

utilizzano insieme al metodo della condivisione basato sull’ascolto non giudicante). Tuttavia negli ultimi anni sia in seno al GEN che alla RIVE si è iniziato un periodo di sperimentazione del metodo sociocratico, per molti versi simile al consenso ma focalizzato maggiormente sulla rapidità e l’efficacia delle decisioni .69

Il cerchio dell’assemblea al GdG iniziò con un giro di presentazione della comunità ospitante e dei partecipanti. Questo mi fece sentire fin da subito molto nervosa: era infatti la prima volta che mi presentavo all’assemblea nella sua interezza, spiegando le mie intenzioni e il mio ruolo in quel contesto, e oltre a non amare particolarmente parlare in pubblico temevo la reazione dell’assemblea qualora avessi chiesto il permesso di registrare (permesso che mi fu dato, sebbene con certe limitazioni e una certa diffidenza iniziale). Avevo inoltre paura che come a ogni riunione a cui avevo partecipato nella mia vita, mi attendessero due giorni estenuanti di liti, urla e gente che cerca di imporre la propria verità agli altri senza dar loro alcuna possibilità di esprimersi. Fin dall’inizio della prima riunione tuttavia mi resi conto che questa avrebbe avuto poco a che vedere con tutte le mie precedenti esperienze di associazionismo: come prima cosa ci mettemmo tutti in cerchio, ci prendemmo per mano, ci girammo verso la nostra destra e cominciammo a massaggiare le spalle di chi ci stava accanto. L’imbarazzo, le risatine e il rilassamento dovuti al massaggio allentarono immediatamente la tensione e crearono uno spazio di condivisione rilassato e familiare. Prima di sederci a terra ci facemmo un bell’applauso collettivo di apprezzamento e incoraggiamento, battendo ognuno le mani sui palmi dei propri vicini. Subito dopo la presentazione, in maniera serena ma perentoria, la presidentessa ricapitolò brevemente le regole essenziali per la buona conduzione della riunione:

1. i soci che partecipano per la prima volta (come era nel mio caso) o dopo molto tempo dall’ultima assemblea non hanno diritto di parola, per la semplice ragione

la sperimentazione della RIVE è ancora in corso ed è molto dibattuta all’interno dell’Assemblea, come 69

che manca loro la memoria storica del processo decisionale più recente, ma anche per entrare nell’atteggiamento “da comunità, che è quello di mettersi in ascolto prima di tirare fuori del nostro”;

2. per richiedere il silenzio si alza la mano, chiunque veda il gesto fa silenzio e lo ripete a sua volta, fino a quando non parla più nessuno. Questo rientra tra gli approcci comunicativi non violenti, tramite i quali si cerca di evitare qualsiasi atteggiamento dirompente o aggressivo: un altro esempio è il cosiddetto “applauso dei sordomuti”, quando cioè si fanno “sfarfallare” le mani in aria per dimostrare il proprio assenso senza tuttavia interrompere il flusso della conversazione ; 70

3. “l’ODG è sacro”, poiché è frutto di una lista di argomenti che hanno un ordine di priorità e che a volte viene portata avanti nel corso di varie riunioni (che, nel caso della RIVE, può significare anni), perciò non si cambia, non si deroga e non si pospone;

4. si utilizza il metodo del consenso (chi non lo conosce è tenuto a informarsi autonomamente) e un facilitatore, cioè una figura che per la durata della riunione si pone da esterno e che tutti devono ascoltare e rispettare (il ruolo si ricopre a turno per fare in modo che tutti possano partecipare attivamente alle discussioni);

5. altri ruoli necessari previsti dal MdC sono il verbalista, il guardiano del tempo (colui che controlla che nessuno abusi del tempo a sua disposizione lasciando così a tutti lo spazio per esprimersi), l’organizzatore dell’ODG, colui che prende nota dell’ordine degli interventi (che vanno prenotati, il che evita il botta e risposta

l’applauso silenzioso è una tecnica comunemente utilizzata nel metodo del consenso, ma anche nei 70

monasteri buddisti della tradizione di Thich Nhat Hanh, in alcuni contesti universitari ed ecologisti e nel movimento Occupy Wall Street (https://linguistics.stackexchange.com/questions/9499/what-is-the-origin-of-the-silent-visual-applause-sign e https://buddhism.stackexchange.com/questions/5466/

continuo) e il guardiano degli accordi di base, colui cioè che tutela la memoria storica dell’associazione .71

Infine, si passò all’ordine del giorno vero e proprio: gli argomenti da trattare erano moltissimi, alcuni dei quali, come la revisione degli accordi di base, l’elezione della nuova segreteria o la valutazione del passato incontro estivo, particolarmente lunghi e ostici da trattare, e il tempo a disposizione era molto poco (poco più di due mezze giornate). La prima cosa che si fece fu dunque assegnare un tempo preciso a ogni intervento (2 minuti) e a ogni argomento, pause e feedback inclusi, e assegnare i ruoli principali delle varie riunioni. In base alle mie esperienze di associazionismo precedenti non ce l’avremmo mai fatta, e mi chiedevo a quando sarebbero state differite le decisioni non prese, visto che si tengono solo due incontri soci all’anno, e come questa modalità potesse garantire la continuità dell’associazione.

Dopo un incontro con la popolazione locale presso il vicino comune di San Nicandro, il pomeriggio iniziammo la riunione vera e propria. I momenti più delicati furono quelli legati agli accordi di base: quella riunione avrebbe infatti messo in scena per la prima volta dal mio ingresso nell’associazione quella diatriba tra soci sostenitori ed ecovillaggisti inerente l’identità della rete che si sarebbe protratta per molte assemblee a venire (vedi a questo riguardo il paragrafo 2.6.1).

Come in ogni gruppo umano che si riunisce, durante i due giorni di assemblee ci furono momenti di lieve tensione, fazioni che partivano da posizioni completamente opposte, chi voleva mettere in mostra le proprie competenze, chi era appassionato e chi si sentiva annoiato, chi forse inconsciamente era risultato offensivo e chi forse senza ragione si era sentito offeso, chi avrebbe parlato per ore, chi non avrebbe parlato per niente. Nonostante tutto questo però il metodo venne seguito alla lettera, ognuno rispettò i tempi previsti, nessuno litigò e la domenica ci portammo a casa una serie di

Tranne l’ultima figura, creata ad hoc per gli incontri RIVE, gli altri sono tutti ruoli previsti dalla 71

proposte da sperimentare, che per quanto temporanee mettevano d’accordo tutti. Non solo: in ogni singola discussione ci fu sempre e comunque un profondo rispetto per le opinioni altrui, anche quando considerate un po’ folli o assolutamente controcorrente. Nessuno alzò mai gli occhi al cielo, nessuno sbuffò mai di impazienza, non ci fu nessuna risatina di scherno. Cos’era successo? Cosa avevo appena visto? Dove si nascondeva la chiave del successo di quell'incontro?

Come detto, consenso, facilitazione, sociocrazia e altri metodi utilizzati dalla RIVE e dal GEN sono comuni a molte altre espressioni di democrazia partecipata e di politica prefigurativa che caratterizzano il più ampio movimento alter-globale. Quello che sicuramente distingue gli ecovillaggisti da tutti gli altri è il loro pieno coinvolgimento, la volontà di sperimentare nuovi modi di comunicazione e convivenza giornalmente e in tutti gli aspetti della vita quotidiana. Il successo delle assemblee RIVE deriva dunque dal lavoro costante sulle relazioni e sui conflitti che avviene all’interno di ciascuna comunità, in cui i metodi consensuali vengono sperimentati nel prendere decisioni che hanno una ricaduta diretta sulla propria quotidianità, e di cui ogni rappresentante che partecipa alle attività della rete porta l’esperienza.

Eppure non sembrava che fosse tutto lì: un altro elemento chiave che caratterizza la novità degli ecovillaggi, spesso ignorato nei processi decisionali sia convenzionali che non, è infatti la maggiore attenzione all’ascolto delle emozioni, del sentire e dei bisogni profondi altrui così come dei nostri. Come esempio di ciò basta citare il fatto che nelle riunioni del movimento vengono utilizzate regolarmente due figure che, seppur previste dal MdC, ricevono una particolare attenzione solo in questi contesti, come fa notare la stessa teorica del metodo citando il GEN (Briggs 2006): la prima è “il guardiano delle vibrazioni”, che vigila sul clima emotivo del gruppo e propone modalità per cambiare l’energia quando questa si fa troppo pesante (respirare profondamente, fare una pausa, un gioco divertente, ecc.); la seconda è “il rappresentante di tutte le specie”, che apporta alla discussione un punto di vista non

umano, rappresentando determinati animali, piante o il territorio stesso qualora le decisioni da prendere potrebbero influenzarne l’esistenza. Gli ecovillaggi aggiungono