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CAPITOLO TERZO

3. LA RETE DEGLI ECOVILLAGGI COME MOVIMENTO TRANS- E ALTER-GLOBALE

3.2. Networks e Meshworks

Il concetto di rete nella storia degli studi sociali è stato utilizzato analiticamente nei modi più svariati: nel caso specifico dei movimenti sociali, concetto quest’ultimo che di per sé ha attraversato numerose interpretazioni nel corso dell’evoluzione sociologica, c’è stato un passaggio graduale della rete come metafora delle relazioni interne al movimento o come una delle tante risorse a sua disposizione, alla rete come sostanza stessa (Diani 2003). Ritengo che gli ecovillaggi siano esemplari in tal senso, come spiegherò approfonditamente nei paragrafi successivi.

Negli studi sociologici è dunque emersa gradualmente un’analisi delle reti meno concentrata sugli aspetti concreti della struttura sociale, vista come “networks which linked together concrete actors through specific ties, identifiable and measurable through reliable empirical instruments” (Diani 2003: 5) e più se vogliamo antropologica, in cui la rete sociale è considerata come un insieme di processi che producono significati culturali: “a social network is a network of meaning” (ivi).

In ambito antropologico il cambio di paradigma da un’idea rigida di struttura sociale a una più flessibile e più focalizzata sugli aspetti relazionali era già alla base delle metodologie di ricerca impiegate dalla Scuola di Manchester (Matera 2013). Non è un caso infatti che questa, fortemente interessata a tematiche legate alla mobilità come il conflitto, la crisi, il cambiamento sociale e la produzione di valori, sia tra i progenitori degli studi sulla globalizzazione e il transnazionalismo (Fillitz 2013).

Si narra che il primo antropologo a utilizzare la metafora della rete fu John Barnes in un’etnografia degli anni Cinquanta su un villaggio di pescatori norvegesi, con lo scopo di concettualizzare le interconnessioni tra individui all’interno del gruppo e tra questo e

diversi contesti socio-culturali (Rapport e Overing 2003). A parte l’evidente forza evocativa della rete da pesca come metafora delle connessioni umane, è il contesto di ricerca occidentale che prende importanza nella scelta di questo immaginario: sembra infatti che una volta rivolto lo sguardo antropologico verso i propri simili, i presupposti struttural-funzionalisti di un presunto olismo socio-culturale affibbiati a popolazioni distanti non fossero più così soddisfacenti. Partendo dall’esperienza personale del ricercatore e dalla conoscenza necessariamente più approfondita che aveva del suo campo, si cominciò così a concentrarsi sugli individui e sulle loro relazioni, esperienze, comportamenti, scelte, azioni e strategie (ibidem). Ovviamente il concetto di rete può essere applicato all’analisi di qualsiasi insieme di relazioni sociali, per quanto “dense”, complesse o estese siano considerate. Tuttavia il concetto appare particolarmente indicato per analizzare i contesti neoliberali e post-industriali, e ancora più appropriato per i movimenti sociali, che, in quanto “profeti” del cambiamento sociale già in atto negli interstizi di tali contesti, tendono oggi ad avere sempre più spesso conformazioni reticolari.

Nel contesto degli ecovillaggi le reti non sono solo le strutture che meglio rappresentano le relazioni tra gli attivisti e uno degli strumenti principali per raggiungere i propri obiettivi, ma, come si vedrà nei paragrafi successivi, hanno soprattutto un carattere prefigurativo: il fare rete cioè rappresenta l’obiettivo principale del movimento, la messa in atto di quel cambiamento sociale ideale a cui si aspira, fondato su relazioni solidali, collaborative e orizzontali. Cosa ancora più importante, nella rete degli ecovillaggi poco importa chi ne fa parte, quanto ne fa parte e come viene definito, poiché si dà priorità alla tipologia di connessioni - costruite sulle traiettorie stabilite dai valori fondanti - e all’insieme variegato che queste creano. È questo insieme, la ricchezza che esprime e la sua capacità di modificarsi quando necessario che mantiene in vita la rete stessa nonostante i contrasti interni, poiché rappresenta in pieno la diversità da cui emerge e il modello sociale che sta costruendo. In questo senso per

“rete” non intendo solo le singole associazioni così denominate che fanno parte del movimento (come la RIVE o il GEN), ma, in linea con le intenzioni espresse dalle stesse associazioni di ecovillaggi, intendo il movimento stesso, ovvero quell’insieme più grande che entra in relazione con esse, siano individui che conducono stili di vita simili, organizzazioni attive sullo stesso territorio o altre associazioni con gli stessi obiettivi. Sarebbe forse più appropriato quindi, utilizzando la distinzione operata da Ingold (2011), definire il movimento degli ecovillaggi come un meshwork anziché un network: il concetto di rete utilizzato oggi per descrivere le relazioni sociali si basa infatti su un’immagine mutuata dal mondo dei trasporti, delle comunicazioni e dell’informatica, che però si discosta dal significato e dalla forma reale delle reti presenti in natura, da cui il termine origina. Ingold perciò propone di prendere spunto dal web invece che dalla net, definizione che nella lingua inglese non solo significa letteralmente “ragnatela”, ma viene anche utilizzato figurativamente per indicare un groviglio, un intreccio, un complesso di elementi. Quest’immagine si sposa meglio con la natura concreta delle relazioni sociali, che consistono più in un “tangled mesh of interwoven and complexly knotted strands” (p. 151) che in una serie di punti interconnessi. Da qui il termine meshwork . 56

Escobar (2008) utilizza il termine in un’accezione ancora più puntuale per questa argomentazione: prendendo spunto dalla distinzione tra network gerarchici e meshwork auto-operanti ideata da Manuel de Landa in A Thousand Years of Nonlinear History (1997), l’autore utilizza il termine per definire quei movimenti sociali caratterizzati da una sovrapposizione di sfere di attivismo preesistenti, da una composizione eterogenea e da strutture decisionali de-centralizzate che li rendono estremamente fluidi e adattabili. Tale distinzione è alla base di due filosofie di vita alternative una all’altra, entrambe riscontrabili sia nei contesti sociali che in quelli naturali: la prima, tipica delle

Rodseth (2015) ritiene la teorizzazione del meshwork di Ingold paragonabile a quello che Latour chiama

strutture militari, delle aziende capitaliste e delle organizzazioni burocratiche, prevede un controllo centralizzato, dei ranghi, una pianificazione, un’organizzazione di tipo lineare e verticale e una tendenza all’omogeneizzazione; la seconda è basata sul decentramento, l’auto-organizzazione, l’orizzontalità, l’eterogeneità e la fluidità di obiettivi, strategie e tattiche. Movimenti di questo tipo fanno del networking la loro missione principale, espandendo la rete sia orizzontalmente che verticalmente, collaborando sia con altri meshwork che con strutture più gerarchiche, in base alle caratteristiche dell’ambiente in cui agiscono e delle interazioni spontanee che si creano nella “vita reale”, e riuscendo tuttavia a non imporre un’omologazione a questa pluralità di idee e strutture (ibidem).

Il meshwork è una forma di attivismo sempre più diffusa e necessaria nei casi in cui è previsto il coinvolgimento di attori provenienti da diversi ambienti civili, politici e istituzionali, soprattutto in un’epoca in cui l’egemonia neoliberale sta rendendo sempre più illusoria l’idea che gli attori locali possano ottenere cambiamenti politici e sociali attraverso forme tradizionali di impegno politico (Magaña 2010).

La rete di connessioni che ho analizzato con la mia ricerca ha tutte le caratteristiche del

meshwork: non è gerarchica, è orizzontale, auto-organizzata, eterogenea e fluida.

All’interno di questa, mi prendo la responsabilità di aver evidenziato alcuni nodi, connessioni e correnti più e piuttosto che altri, riconoscendo l’influenza che ho avuto su questi sia come attivista sia come produttrice di conoscenza su e negli ecovillaggi (cfr. Casas-Cortés et al. 2013). La cornice interpretativa del meshwork, all’interno delle varie teorizzazioni delle reti sociali, è quella che permette meglio di concentrarsi sulle diverse correnti che potrebbero operare simultaneamente all’interno di uno stesso movimento (nonostante l’apparente omogeneità di pensiero e azione espressa verso l’esterno), senza per questo perdere di vista l’effetto totale che si produce (Escobar 2008), che è proprio quello che mi propongo di fare con questa analisi.