4. EVOLUZIONE E ATTUALITÀ NEL MONDO DELLE COMUNITÀ
ECOSOSTENIBILI
“Se vuoi andare veloce vai da solo, se vuoi andare lontano vai con gli altri”
(Proverbio affisso all'ingresso della Collina del Barbagianni, Roma)
“Two thousand five hundred years ago, Shakyamuni Buddha proclaimed that the next Buddha will be named Maitreya, the “Buddha of Love.” I think Maitreya Buddha may be a community and not just an individual.”
(Thich Nhat Hanh, The Fertile Soil of Sangha, «Tricycle» Summer 2008)
4.1. Storia di una definizione
Nella sua accezione più generica e onnicomprensiva, un ecovillaggio è una comunità intenzionale che sperimenta stili di vita considerati più sostenibili da un punto di vista sociale, economico e ambientale. È possibile soffermarsi su ogni singolo termine di questa definizione e trovare per ognuno innumerevoli interpretazioni nella letteratura scaturita da e sugli ecovillaggi. Quello che salta più all’occhio quando ci si addentra nel mondo del vivere comunitario e della sostenibilità è infatti l’enorme varietà di significati che circolano sia nei diversi network, associazioni e comunità, sia tra gli individui che interagendo tra loro danno vita a ciascuno di essi. Eppure, è proprio quella varietà la fonte di ricchezza primaria e una delle principali strategie di sopravvivenza del movimento.
La nascita degli ecovillaggi così come vengono definiti oggi è legata a filo doppio a quella del suo network internazionale : se infatti esistevano già in giro per il mondo 80
Per una storia del GEN vedi E.C. Mare, A Concise History of the Global Ecovillage Movement, Autunno 80
2000, http://www.villagedesign.org/vdi_writings/Concise%20History%20Ecovillage.doc; Hildur Jackson e Ross Jackson, Global Ecovillage Network History 1990-2004, GAIA Trust, 2004, gaia.org/wp-content/uploads/2016/07/HJackson_GEN-History.pdf; Lockyer 2007; Nara Pais, The History of the Global
realtà che avrebbero potuto definirsi tali, figlie degli esperimenti comunitari dei decenni precedenti e di una sempre più diffusa coscienza ambientale, sarà solo con la ricerca promossa da Hildur e Ross Jackson, a capo della fondazione danese Gaia Trust e tra i fondatori del futuro Global Ecovillage Network, che queste verrano a conoscenza l’una dell’altra e sentiranno l’esigenza di definirsi per poter entrare in relazione.
Il termine “ecovillaggio” cominciò ad apparire nel corso degli anni Settanta, in contesti molto diversi e separati tra di loro, sebbene tutti rivolti alla sperimentazione di stili di vita alternativi a quello dominante e basati su una maggiore consapevolezza ecologica: dalla fattoria americana in cui si testavano sistemi energetici alternativi, bioedilizia e agricoltura biologica, al villaggio creato da un gruppo di attivisti nella Germania dell’Ovest per contrastare l’utilizzo dell’energia nucleare, fino ai cohousing e alle cooperative danesi che cominciavano a valutare il potenziale ecologico, oltre ai benefici sociali, della coabitazione (Bates 2003). Queste realtà contenevano in seme molti degli elementi sviluppati dal movimento internazionale che si sarebbe creato in seguito.
Nei decenni successivi Diane e Robert Gilman, ricercatori nel campo della sostenibilità globale, fondarono la rivista In Context, una piccola pubblicazione statunitense di “cultura umana sostenibile” che nei suoi articoli cercava proprio di descrivere le numerose realtà comunitarie ecosostenibili che si stavano creando in giro per il mondo. Un salto in avanti nell’evoluzione del movimento avvenne quando i coniugi Jackson commissionarono ai Gilmans un rapporto che identificasse le comunità sostenibili più esemplari presenti al mondo, così da provare a dare una definizione e un’unità a quello che appariva per la prima volta come un movimento emergente.
Uno dei maggiori risultati di questo studio pubblicato nel 1991 e intitolato Ecovillages
and Sustainable Communities sarà proprio quello di portare all’attenzione del movimento
ambientalista l’esistenza di un vasto numero di comunità eco-sostenibili, poche rappresentabili come veri e propri “villaggi ecologici”, ma tutte con un grande potenziale di trasformazione sociale. Questi ecovillaggi in nuce erano sconnessi tra loro
e inseriti nei contesti più disparati, tuttavia si basavano su obiettivi, valori, idee, bisogni e pratiche incredibilmente simili tra loro. La necessità di una qualche forma di connessione per poter condividere le conoscenze e le pratiche che si stavano sviluppando cominciò dunque a farsi strada. Al rapporto dei Gilmans seguirono una serie di meeting internazionali organizzati dal Gaia Trust, con lo scopo di riunire i membri delle diverse comunità presenti al mondo e una serie di intellettuali in linea con la visione e la missione comunitaria, che sarebbero poi diventati figure chiave del movimento internazionale. Durante il primo incontro si decise che la missione principale della rete che si stava formando sarebbe stata quella di supportare e mettere in rete le realtà sostenibili sparse per il mondo, in modo che potessero essere di esempio per la società intera.
“The consensus that the group reached was that Gaia Trust should support the people who were actually living the new paradigm— ecovillagers, because they were essential for the transition, but were receiving no support from elsewhere. It became clear to all that the world needed good examples of what it means to live in harmony with nature in a sustainable and spiritually satisfying way in a technologically advanced society.” (The History of the Global Ecovillage Network: 1991-2015)
Dopo il primo forum mondiale tenutosi nel 1995 a Findhorn, storico ecovillaggio scozzese, dal titolo “Ecovillages and Sustainable Communities for the 21t Century”, che vide la presenza di oltre quattrocento persone provenienti da quaranta paesi (per non parlare delle centinaia costrette a rinunciare per mancanza di spazio), fu fondato ufficialmente il Global Ecovillage Network (GEN).
La prima definizione ufficiale di ecovillaggio, da cui il GEN partì per il suo lavoro di
networking, fu quella di Robert Gilman:
“A human scale, full-featured settlement, in which human activities are harmlessly integrated into the natural world, in a way that is supportive of healthy human
development and can be success fully continued into the indefinite future.” (Gilman 1991).
Per “insediamento a misura d’uomo” si intende una comunità abbastanza piccola da permettere agli individui che ne fanno parte di conoscersi personalmente, in modo che ognuno di essi possa agire e influenzare singolarmente e collettivamente l’andamento dell’intero gruppo. Inoltre, la comunità per essere definita ecovillaggio deve essere “full-featured”, ovvero tutti i principali elementi del vivere quotidiano, come l’abitare, l’approvvigionamento di cibo, il lavoro, l’educazione, la salute, il tempo libero, la vita sociale, ecc. devono essere presenti e in equilibrio tra loro.
Alla sua fondazione il GEN affrontò subito la questione della definizione: nonostante infatti la definizione di Gilman sia ancora quella più comunemente utilizzata nell’ambito degli ecovillaggi (è così ad esempio che Lois Arkin del Los Angeles Ecovillage introduce il tour all’interno della sua comunità), questa presentava diversi punti controversi: Hildur Jackson sosteneva ad esempio che mancasse la dimensione sociale - rappresentata soprattutto dai processi decisionali messi in atto - e quella spirituale, entrambe fondamentali e peculiari in molti ecovillaggi . Inoltre, Jackson riteneva che il 81 concetto di full-featured non fosse facilmente traducibile in tutti i contesti socio-culturali. Il problema della definizione è meno banale di quello che può sembrare, dato che il significato attribuito inizialmente al concetto imprimerà una direzione ben precisa all’intero movimento (Anitori 2012). Non a caso con l’ampliamento e la differenziazione della sua base e la maggiore notorietà fuori dagli ambienti radicali è entrata in discussione anche la sua denominazione. Oggi sono sempre di più gli aderenti al movimento che si domandano se il prefisso “eco” non sia da considerarsi troppo restrittivo, sebbene, come spiegato nell’introduzione, gli ecovillaggisti diano
Hildur Jackson, What is an ecovillage?, GAIA Trust, 1998, http://www.gaia.org/gaia/resources/ 81
all’aggettivo “ecologista” un significato più ampio e profondo di “ambientalista”. È tuttavia vero che questa sfumatura non viene colta dall’esterno: uno dei membri di Tribulab ad esempio, avvicinatosi agli ecovillaggi tramite il movimento della decrescita e dunque da un approccio più ambientalista, attraverso varie esperienze di coabitazione e l’approfondimento di alcune discipline olistiche ha gradualmente scoperto l’importanza di lavorare sugli aspetti relazionali partendo dalla propria interiorità, fino a dichiarare che la sostenibilità non sia da considerarsi un prerequisito per la vita comunitaria, perché in realtà quando intraprendi un percorso di crescita interiore il rispetto per l’ambiente ne consegue spontaneamente. Anzi, a suo avviso il termine “ecovillaggio” potrebbe tenere a distanza chi è disposto a lavorare su di sé e sulle proprie relazioni ma ha timore di un radicalismo ambientalista o, viceversa, attrarre chi è interessato a uno stile di vita “green” solo per moda e senza alcuna intenzione di intraprendere un percorso interiore più approfondito. Dal suo punto di vista la definizione “Tribulab” sarebbe quindi molto più appropriata, perché sottolinea i due aspetti fondamentali di questo tipo di realtà: la tribù, cioè l’aspetto comunitario, e il laboratorio, l’aspetto sperimentale. Di contro c’è chi invece richiede una riflessione sul termine “villaggio”: in un resoconto sulla partecipazione del GEN a COP 22 (la Conferenza sul Cambiamento Climatico delle Nazioni Unite tenutasi a Marrakech nel 2016), due rappresentanti della rete internazionale descrivono la solita reazione che accoglie il network quando viene presentato: “facce sorprese e ignoranza”, accompagnate dallo stereotipo che si tratti solo di un “branco di hippies che vivono in campagna”. Per questo propongono di cominciare a utilizzare il termine “eco-comunità”, che continuerebbe a definire correttamente il network, rappresentato oggi anche da comunità tradizionali (vedi più avanti), eco-barrios, “carovane ecologiche”, città in transizione e centri di permacultura (Litfin 2014), e allo stesso tempo rappresenterebbe una realtà, l’empowerment comunitario, ormai largamente accettata come essenza dello sviluppo sostenibile:
“As GEN is shifting from being a network of intentional ecovillages, to a network of various types of communities (traditional, intentional, political communes, ecovillages and more) it has occurred to us that the term ecovillage might only describe a part of our members and that Eco-Communities would be more inclusive.”82
Nonostante nel 1999 lo stesso Gilman aggiunse un’appendice, evidenziando come un ecovillaggio per essere tale dovesse anche presentare “multiple centers of initiative” - come associazioni interne, imprese autonome e singole iniziative - rispecchiando così maggiormente il tessuto sociale di un villaggio vero e proprio (Gilman 2008), in generale oggi poche realtà al mondo rientrano nella sua rigida definizione, che viene considerata un ideale da raggiungere e una strategia per realizzarlo, più un processo che un prodotto perciò (Greenberg 2013). È anche vero però che gli ecovillaggi e i network che li collegano, in quanto realtà fluide, dinamiche e orizzontali, sono spesso consapevoli della processualità che li contraddistingue e del percorso individuale e comunitario necessario per raggiungere gli obiettivi che si pongono come movimento internazionale, nonché dell’evoluzione di tali obiettivi in base alla composizione interna e al contesto storico e geografico di ciascuna comunità. Così capita spesso che questi argomenti siano alla base delle discussioni interne sull’identità che tiene unito il movimento.
Come affermano Linda Joseph e Albert Bates, due figure centrali del movimento statunitense degli ecovillaggi:
“There may be, among the more than 15,000 identified sustainable community experiments, no single example of an “ecovillage” in the sense of a full-featured human
Alfonso Flaquer e Fanny Van Hal, COP 22 Marrakech, an Experience worth Spreading, GEN Europe, 2
82
marzo 2017, https://gen-europe.org/news-events/archive/news-detail/cop-22-marrakech-an-experience-worth-spreading/index.htm.