CAPITOLO SECONDO
2. PER UNA METODOLOGIA TRANS-LOCALE: ETNOGRAFIA DI UNA RETE
2.2. L’eterogeneità della multi-località
Una volta resami conto che gli aspetti prefigurativi di cambiamento culturale che mi interessavano raggiungevano il culmine durante gli incontri organizzati dalla rete (cfr. Tomlinson 2011) ho deciso di focalizzarmi su questa, invece che portare avanti una ricerca di tipo più convenzionale in una o più comunità a confronto. Ciò è avvenuto senza escludere a priori “bolle” più tradizionali di osservazione partecipante, ovvero periodi prolungati in singoli ecovillaggi, che si sono rivelati comunque necessari data l’importanza che lo sperimentare nuovi modi di “fare comunità”, il lavoro sugli aspetti conflittuali della coabitazione e la relazione radicata col proprio territorio rivestono per il movimento. Abbracciando una prospettiva di tipo multi-situato tuttavia, ho sentito la necessità di approfondire e delineare più precisamente il significato del termine, per meglio adattarlo alla stesura del mio progetto.
Condurre una ricerca in più contesti, magari geograficamente molto distanti tra loro ma in qualche modo connessi da un flusso di persone, immagini, idee o oggetti, è ormai relativamente comune in antropologia. In realtà, se si considera semplicemente come una ricerca condotta in più contesti contemporaneamente o consequenzialmente, l’idea precede di molto la sua denominazione formale a opera di George Marcus in Writing
Culture (1986). Potremmo infatti considerare multi-situata già la ricerca di Malinowski,
che seguiva i suoi Trobriandesi all’interno del circuito Kula, nonché qualsiasi ricerca che da decenni a questa parte si occupa di migrazioni (Hannerz 2003). E d’altronde la comparazione è alla base della pratica etnografica fin dagli inizi.
Tuttavia, per situata” oggi si intende qualcosa di più rispetto a “multi-localizzata”, e non tutti i significati che la definizione prende prevedono contesti fisicamente distanti.
Marcus (1995) a metà anni ’90 distingueva tra modalità più classiche di fare ricerca etnografica nel “sistema-mondo”, focalizzandosi cioè su un unico sito di osservazione e partecipazione (tipicamente ancora ex-colonie) ma al contempo sviluppando attraverso altri mezzi e metodi di ricerca il contesto globale in cui il sito si inserisce, e modalità molto meno comuni all’epoca e più proprie dell’era postmoderna, in cui esaminando “the circulation of cultural meanings, objects, and identities in diffuse space-time” (Marcus 1995: 96) il globale si fa oggetto invece che mero contesto.
Oggi l’accezione può prendere sfumature ulteriori: l’etnografia può ad esempio avere luogo in uno spazio limitato ma altamente differenziato (politicamente, etnicamente, ecc.), per cui la multi-localizzazione finisce per riferirsi a diverse prospettive piuttosto che a luoghi distinti. Oppure, può essere spazialmente mono-localizzata ma strategicamente multi-situata, nel senso che pur avendo luogo in un sito unico si riesce concretamente a individuare nelle vite quotidiane degli attori coinvolti una percezione consapevole dell’azione di un sistema più ampio (Marcus 1995). Ancora, una ricerca mono-situata può essere metodologicamente multi localizzata, includendo cioè nell’analisi i prodotti mediatici, le comunità virtuali o immaginate dai nativi, ricerche di archivio e interviste avvenute in più luoghi, ecc. (Hannerz 2012). La multi-situazionalità può riferirsi inoltre a una pluralità di prospettive prese in considerazione dal ricercatore non solo come oggetto della propria analisi, ma anche come strumenti metodologici paralleli e complementari a essa (quelle che Marcus definisce “para-etnografie”, 2009). Infine, una ricerca può essere multi-situata anche nel tempo (indipendentemente dallo spazio), quando si analizzano fenomeni temporanei come festival, raduni, ecc.
Non tutti però accettano le numerose interpretazioni che un’etnografia considerata multi-situata può acquisire (cfr. Falzon 2009). Un compromesso accettabile potrebbe dunque essere quello proposto da Hannerz, ovvero di distinguere le ricerche etichettate come “multi-locali” da quelle che possono considerarsi piuttosto “trans-locali” (Hannerz 2003), indicando col primo termine quelle che si focalizzano su
contesti diversi (indipendentemente dalla distanza geografica o culturale), e con il secondo quelle che analizzano le relazioni e le interconnessioni, più o meno consapevoli, che avvengono tra questioni e argomenti che attraversano e influenzano più luoghi. In quest’ultimo caso “multi-locale” non significherebbe tanto fare ricerca in più contesti contemporaneamente (per quanto questo possa effettivamente avvenire), quanto analizzare la differenza culturale spazializzata (Falzon 2009). In tal senso, non importa più quanti e quanto distanti siano i siti della ricerca, ma piuttosto quanta diversità esprimono (ibidem).
Nonostante la mia ricerca sia avvenuta effettivamente in più luoghi, luoghi che, seppur relativamente vicini, sono caratterizzati da una differenza culturale anche estrema tra loro, che risulta particolarmente significativa in quanto sfida le idee convenzionali sulla coerenza interna dei movimenti sociali, la considero multi-locale piuttosto perché riproduce un aspetto peculiare del fenomeno che ho preso in esame: il movimento degli ecovillaggi è infatti un movimento che può considerarsi transnazionale non solo perché è rappresentato da comunità sparse in tutti i continenti, ma soprattutto perché è composto da una circolazione costante di persone, idee e pratiche che fluiscono attraverso incontri sporadici, social network e comunità virtuali, si toccano fugacemente e si modificano a vicenda, e ritornano “a casa” portando con sé nuovi significati culturali. Le connessioni tra questi elementi avvengono sia in maniera concentrica (dall’individuo alla comunità, alla rete nazionale di cui fa parte, a quella globale a cui afferisce la nazionale, e viceversa) sia in maniera trasversale (tra ognuno di questi “siti” e altri individui, comunità, reti e associazioni attivi in medesimi ambiti e territori e nella medesima “scala” di azione ). È questo l’aspetto che più mi ha colpito, 23 su cui ho deciso di concentrarmi e che ha richiesto un approccio multisituato.
Utilizzo i termini“siti” e “scale” nell’accezione datagli da Isin (2009), spiegata brevemente nel capitolo 23
Sebbene gli ecovillaggi rappresentino anche un fenomeno migratorio, a volte transnazionale, più spesso su assi urbano-rurali interne ai singoli stati che sono comunque il frutto di un sistema politico-economico globalizzato, la mia strategia non è stata quella di “seguire la gente” (Marcus 1995: 106), ovvero i percorsi individuali e le conseguenti negoziazioni identitarie di chi, partendo da contesti urbani altamente industrializzati, si è volontariamente spostato in ambienti rurali o di montagna e in abitazioni collettive nel tentativo di ricostruire un sistema di valori considerato perduto. Quello che invece ho cercato di fare, parafrasando Riccio (2011), è stato seguire il flusso dei significati culturali di alcune narrative e concetti particolarmente centrali nel movimento degli ecovillaggi (come la sostenibilità, la diversità, la tradizione), significati che viaggiano incorporati nelle relazioni sociali e nell’esperienza di mobilità degli attori (me compresa) che modellano attivamente un campo trans-nazionale.
La globalizzazione dunque o, nel mio caso, l’alter-globalizzazione (che poi non è altro che una delle facce di quel “sistema-mondo” tutt’altro che omogeneo) smette di essere la cornice più ampia e onnicomprensiva di un contesto di analisi localizzato, ma rientra appieno nell’oggetto della ricerca, seppur in modo frammentato, caotico e discontinuo (cfr. Marcus 1995; Tsing 2005).