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La realtà metaforica dei nuovi contesti di ricerca

CAPITOLO TERZO

3. LA RETE DEGLI ECOVILLAGGI COME MOVIMENTO TRANS- E ALTER-GLOBALE

3.1. La realtà metaforica dei nuovi contesti di ricerca

Nella letteratura (antropologica e non) sono state utilizzate diverse metafore per descrivere la natura liquida, frammentata e dislocata dei contesti di ricerca in epoca postmoderna e post-strutturalista. Strauss (2004) ad esempio prende in prestito dalla matematica il termine “matrice” per indicare sfere di attività determinate dall’intersezione di diversi “vettori” (attori, eventi, località, istituzioni, ecc.) che ne influenzano e indirizzano l’esistenza. Appadurai (2007) utilizza invece diverse declinazioni di “panorama”, intese come flussi culturali globali sovrapposti e interrelati in vari modi, ma essenzialmente disgiunti. Isin (2009) conia le accezioni di sites e scales come spazi di azione dell’attore sociale post-moderno, che lui definisce “cittadino attivista” (in chiara contrapposizione con l’idea di cittadinanza attiva emersa dalla Rivoluzione Francese): i “siti” sono campi di contestazione attorno ai quali si concentrano determinati argomenti, interessi e problematiche, mentre le “scale” sono gli ambiti di applicabilità dei siti stessi, in grado di allargarsi e permearsi tra di loro in maniera amorfa e tentacolare, invece che essere incastonati o concatenati l’uno con l’altro. Gupta e Ferguson (1997a) sostituiscono i “bounded fields” con le “shifting

locations”, in cui il posizionamento del ricercatore non è mai completamente dentro o

non sono più necessariamente definiti da differenze “etniche” o culturali (Clifford 1997). Martin (1997) sperimenta l’utilizzo di diverse metafore: quella dell’ “arcipelago emergente”, ideata dalla critica letteraria Katherine Hayles per descrivere il mondo come un sistema di manifestazioni che sono espressione degli stessi processi sotterranei (così come le isole di un arcipelago solitamente sono le parti visibili di una medesima dorsale sottomarina); quella del “rizoma” presa in prestito da Deleuze e Guattari (2003) che, al contrario dell’immagine dell’arcipelago, si sottrae a un’eccessiva solidità e staticità, veicolando meglio l’idea di un modello relazionale di tipo “cellulare” e reticolare; e quella delle string figures evocata da Donna Haraway, ovvero gli schemi che emergono dall’intreccio della cordicella nel “gioco della matassa ”, in cui il lavoro 53 collaborativo crea configurazioni imprevedibili e via via più complesse che rimandano bene l’idea di estemporaneità, complessità e irripetibilità della realtà sociale post-moderna. Inoltre,

“The merit of the string figure image is that it embodies both discontinuity and connection simultaneously. I can hand my string figure over to you and go my own way, but which string patterns are then possible for you to make depends on all the figures produced by previous players.” (Martin1997: 140).

Tutte queste nuove terminologie servono a comprendere meglio la natura fluida e situazionale dei nuovi contesti socio-culturali e ad aggirare il rischio di legare particolari espressioni culturali a particolari gruppi o luoghi. Infatti, anche in una

Il gioco della matassa o dell’elastico, detto anche “ripiglino” o “culla del gatto”, “consiste nell’ottenere, 53

con un filo o una cordicella riunita ai due capi e passata in modi via via più complicati attraverso le dita delle mani di uno o anche due giocatori, una sequenza di configurazioni differenti l’una dall’altra fino a raggiungere una fase finale in cui la figura realizzata richiami una forma nota” (treccani.it). Il gioco è conosciuto in diverse parti del mondo ed era ancora noto tra i bambini italiani per lo meno fino alla mia infanzia (tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90), sebbene senza una denominazione precisa. In inglese il gioco viene chiamato cat’s cradle. Curiosamente, Cat’s Cradle è anche il titolo di un famoso romanzo di Kurt Vonnegut (tradotto in italiano con “Ghiaccio-9”) che gli valse la laurea ad honorem proprio in antropologia.

concezione diasporica delle culture non è detto che gli elementi rimangano gli stessi, ma anzi, per dirla con le parole di Strauss, i nuovi “vettori” che entrano in gioco modificano e influenzano la matrice intera. Viceversa, alcuni vettori rimangono gli stessi e si estendono per mantenere dei vincoli tra un gruppo e il luogo di origine. In questo modo, “we gain new insights on how to observe and understand peoples and cultures as fluid manifestations of specific historical configurations which may span not only temporal, but also spatial dimensions”. (Strauss 2004: 182).

Tra queste metafore quella che sembra meglio adattarsi alla rete degli ecovillaggi è probabilmente quella del rizoma, richiamando sia la natura “agricola” delle realtà prese in esame, sia la loro orizzontalità, sia l’importanza dell’aspetto relazionale, rappresentato dal suo essere capillare. Il rizoma infatti “has the virtue of giving us a way of beginning to think about persons, relationships and land that gets away from the static, decontextualising linearity of the genealogical model, and allows us to conceive of a world in movement, wherein every part or region enfolds, in its growth, its relations with all the others.” (Ingold 2002: 140). a un ulteriore livello di interpretazione di questa connessione tra strutture rizomatiche ed ecovillaggi sta il fatto che il modello relazionale proposto da Ingold, che utilizza il rizoma al posto dell’albero come immagine chiave del processo di trasmissione del sapere, risuona terribilmente con l’idea che la permacultura ha della differenza all’interno di un sistema (Aistara 54 2013): Mollison (2007), fondatore della disciplina, sottolinea infatti come sia il numero di connessioni funzionali tra le specie, più che il numero di specie in sé, a contribuire all’equilibrio di un sistema. Per avere una diversità che sia anche produttiva non basta mettere insieme il numero maggiore di piante e animali (esseri umani compresi) all’interno dello stesso habitat, poiché molto probabilmente queste entreranno in

Gli ecovillaggi applicano la permacultura non solo come tecnica di progettazione del paesaggio 54

competizione tra loro per la sopravvivenza. Perché il sistema sia stabile c’è bisogno invece che le specie siano cooperative tra loro, ovvero che ci siano relazioni produttive fra gli elementi presenti, sia umani che non, e perché questa cooperazione avvenga c’è bisogno di una ben precisa localizzazione degli stessi . Sia gli ecovillaggi che le teorie 55 di Ingold enfatizzano dunque gli aspetti di varietà, processualità e contingenza intrinseci al carattere situato dell’interazione sociale e ambientale.

In generale, proprio perché introdotto come concetto filosofico da uno dei manifesti del post-strutturalismo (Mille Piani di Gilles Deleuze e Félix Guattari), il rizoma è un’immagine frequentemente evocata nelle teorizzazioni sia emiche che etiche dei cosiddetti “nuovi movimenti sociali”, quelli cioè che rivendicherebbero cambiamenti culturali e di stile di vita piuttosto che cambiamenti strutturali e politici, e in particolare del movimento alter-globale (Juris e Khasnabish 2013), che ne rappresenta l’espressione più contemporanea. In queste teorizzazioni la realtà cellulare, reticolare e rizomatica dei movimenti sociali viene contrapposta alla natura “vertebrata”, gerarchica e “arborea” dei sistemi istituzionali neoliberali. Escobar (1992b) ad esempio ritiene che

“If the state is arborescent (characterized by unity, hierarchy, order), the new social movements are rhizomic (assuming diverse forms, establishing unexpected connections, adopting flexible structures, moving in various dimensions …). Social movements are fluid and emergent, not fixed states, structures, and programmes.” (Edelman e Haugerud 2005: 347).

L’uguale importanza data agli elementi sia umani che non umani in relazione nel sistema richiama 55

anche l’actor-network theory di Latour (Aistara 2013), sebbene questa teoria manchi di sviluppare la capacità degli elementi non umani di “generare contesti” (Appadurai 2013) e manchi di integrare i percorsi e i processi che creano quelle stesse relazioni come costituenti ugualmente importanti (Ingold 2011).

Sull’immagine del rizoma si fonda anche l’idea di rete più idonea a descrivere la natura del movimento degli ecovillaggi, una rete a maglie larghe, connessioni multiple e variabili e nodi caratterizzati da un’enorme eterogeneità.