CAPITOLO SECONDO
2. PER UNA METODOLOGIA TRANS-LOCALE: ETNOGRAFIA DI UNA RETE
2.7. I raduni della RIVE
Sempre secondo quanto affermato dagli AdB, la RIVE organizza ogni anno tre momenti di incontro principali: il raduno autunnale e quello primaverile, aperti a tutti i soci ma non agli esterni, e il raduno estivo, aperto a chiunque voglia partecipare. A questi si aggiungono poi incontri tematici o riservati a un gruppo ristretto di soci, come il campo dedicato ai nuovi progetti, dove partecipano tutti coloro che hanno appena iniziato un percorso comunitario o sono in procinto di iniziarlo; il raduno invernale, aperto ai soli soci che vivono in comunità con lo scopo di condividere esperienze, strumenti e mutuo aiuto tra coloro che conducono attivamente uno stile di vita comunitario ; o i raduni 43
L’incontro invernale è un altro degli aspetti dibattuti nella revisione degli AdB, perché inizialmente 43
alcuni soci sostenitori temevano che questo esclusivismo delineasse un ruolo privilegiato delle comunità all’interno dell’associazione, soprattutto qualora in quegli incontri venissero prese delle decisioni valide per tutta l’associazione anche se l’assemblea non poteva essere adeguatamente rappresentata. Per questa ragione è stato esplicitato negli accordi il divieto di fini deliberativi, pur difendendo la necessità di uno spazio di condivisione tra esperienze comunitarie in un’associazione che nasce a tale scopo.
regionali, nati dai clan regionali introdotti a partire dall’incontro estivo del 2014 con lo scopo di mettere in connessione ecovillaggi, persone e altre realtà attive nell’ambito della sostenibilità nella medesima bioregione , e finora concretizzatisi nella RIVE Lazio 44 e nella RIVE Triveneto (“Tririve”).
I partecipanti a cui sono indirizzati determinano anche il contenuto di ciascun raduno: nella scaletta degli incontri dedicati ai soli soci si tende infatti a fissare le assemblee decisionali, orientate all’organizzazione del raduno estivo, all’istituzione dei gruppi di lavoro interni, alla revisione degli AdB, ai metodi decisionali da sperimentare, ecc., mentre il raduno invernale è più incentrato su momenti intimi di confronto e di costruzione della fiducia reciproca. Durante il raduno estivo si cerca invece soprattutto di mostrare e diffondere all’esterno i valori e le “buone pratiche” della rete, le soluzioni adottate e le realtà che esistono in Italia. È anche un’occasione per la RIVE di stringere rapporti con le reti amiche nazionali e internazionali e per i partecipanti di conoscere individui e associazioni nel proprio territorio con cui condividere un medesimo percorso di sostenibilità, che spesso porta alla creazione di nuovi progetti di ecovillaggio. Inoltre, spesso i raduni estivi sono anche un modo per far conoscere alle istituzioni locali la realtà dell’ecovillaggio ospitante, sorretta dalla presenza e dall’esempio consolidato delle altre realtà che fanno parte della rete: non è raro infatti che sindaci e assessori comunali siano invitati o facciano una capatina per vedere cosa succede.
Nella pratica e nella gestione i raduni di ecovillaggi assomigliano molto ai campi dei giovani attivisti alter-globali descritti da Pleyers (2015), come quelli di Occupy o degli
Indignados, poiché come questi diventano “spazi di esperienza”, “places sufficiently
autonomous and distanced from capitalist society which permit actors to live according
La bioregione, come inteso dalla teoria ecologica del bioregionalismo, al contrario della regione 44
amministrativa identifica un’unità territoriale che condivide caratteristiche fisiche, ecologiche e in buona misura culturali in maniera variabile a seconda dell’aspetto preso in considerazione. Clan bioregionali
to their own principles, to knit different social relations and to express their subjectivity” (Pleyers 2015:205) . Come spiegato nel capitolo successivo, il mondo degli 45 ecovillaggi, così come quello dell’ “alter-attivismo”, si pone in posizione critica non solo nei confronti della società neoliberale ma anche nei confronti delle forme di impegno politico tradizionale, ed entrambi pongono l’accento sia sulla continua e costante sperimentazione, sia su un processo di apprendimento basato su esperienza, prove ed errori, sia sull’importanza della soggettività, di partire dal cambiare se stessi per poi poter cambiare il mondo.
Ai raduni della RIVE dunque, così come ai campi alter-globali, si sperimentano nuove forme di consumo, un’organizzazione orizzontale e partecipata e relazioni conviviali (Pleyers 2013): la cucina serve solo cibo locale ed etico (spesso vegano); le assemblee si tengono col metodo del consenso; vengono istituiti mercatini del baratto; la costruzione fisica e l’organizzazione dell’intero incontro è autogestita e partecipata; si istituiscono corsi e laboratori per insegnare/imparare nuovi strumenti di comunicazione; si auto-organizzano canti e balli intorno al fuoco, spettacoli artistici e proiezioni di documentari, e ogni attività è permeata dagli ideali dell’ecologia profonda e della parità di genere (cfr. Juris e Pleyers 2009; Pleyers 2015). La differenza sostanziale è che negli incontri dei network di ecovillaggi le lezioni apprese nei momenti di aggregazione provengono da e continuano a essere applicate nelle comunità di provenienza, e il processo di apprendimento risulta quindi accelerato dalla sperimentazione comunitaria continua che avviene tra un incontro e l’altro.
Alcuni di questi campi hanno visto il coinvolgimento diretto di ecovillaggisti, come durante il G8 del 45
2005 tenutosi in Scozia, dove un gruppo di manifestanti supportati da residenti di Findhorn hanno creato un ecovillaggio temporaneo che includeva compost toilets, sistemi per il riciclaggio delle acque grigie, pannelli solari e pale eoliche, ecc. (Litfin 2009; http://news.bbc.co.uk/2/hi/uk_news/4654077.stm).
2.7.1. La vetrina del movimento: il raduno estivo
Appena cominciai a pensare che mi sarei occupata di comunità ecosostenibili per la mia ricerca di dottorato ebbi la fortuna di scoprire che il successivo raduno della rete italiana aperto a tutti si sarebbe tenuto a Blera, in provincia di Viterbo, ad appena un’ora e mezza di viaggio da casa mia. Ricordo che arrivai nel tardo pomeriggio (i raduni solitamente iniziano la sera prima dell’evento vero e proprio, per dare ai partecipanti l’occasione di conoscersi e chiacchierare in un contesto informale e conviviale), insieme ad alcuni amici attivisti del movimento della decrescita: era fine luglio, nonostante l’ora tarda faceva ancora terribilmente caldo e non c’era un filo d’ombra, tranne per alcuni posti tenda predisposti sotto a un tendone di cui ci impadronimmo prepotentemente (salvo scoprire il giorno dopo che erano riservati alle famiglie con bambini e dover smontare e rimontare il tutto sotto il sole cocente). Il caldo torrido e la mancanza d’ombra è stata una caratteristica non solo dei tre giorni di quel raduno, ma anche di tutti i raduni allestiti in ecovillaggi in costruzione a cui ho partecipato, che di solito non hanno abbastanza spazi al chiuso per ospitare 5-600 persone: un altro degli obiettivi dell’incontro estivo è infatti quello di promuovere le nuove realtà comunitarie e di supportarne lo sviluppo, lasciando loro in dotazione il saper fare e le strutture temporanee costruite dai volontari della RIVE per accogliere i partecipanti al raduno. Solitamente queste consistono in tendoni da circo per le assemblee, compost toilet e docce da campeggio; in questo caso venne costruito anche 46 un teatro in balle di paglia, secondo le tecniche di costruzione e le modalità di
performance indicate dalla rete toscana dei teatri di paglia .47
Il “Vignale“ era all’epoca un giovane ecovillaggio in cui gli abitanti condividevano metà di un antico casale nella campagna viterbese, circondati da cinque ettari di terreno
Ne parlo nel dettaglio nel paragrafo dedicato ad Habitat, 5.4.5. 46
seminativo e senza elettricità o acqua corrente. Nei raduni estivi una parte del terreno dell’ecovillaggio, solitamente quella più lontana da dove si tengono le attività, è predisposta a campeggio, l’unica sistemazione possibile per gli ospiti in gran parte degli ecovillaggi italiani: gli ambienti costruiti del villaggio sono di solito interdetti ai visitatori, sia per una questione di numeri sia per non invadere totalmente la privacy e la quotidianità della comunità residente. Altre zone, abbastanza distanti l’una dall’altra perché non si diano fastidio tra loro, vengono attrezzate con tendoni, gazebo e strutture simili per la conduzione dei vari workshop. C’è poi sempre una zona principale, più spaziosa di tutte le altre, in cui si tengono le assemblee plenarie e i pasti. Nel caso del Vignale questa era un immenso tendone nei pressi del casale, circondato di balle di paglia su cui sedersi.
Sistemate le tende ci recammo così esausti ad assistere alla prima conferenza dell’incontro, organizzata nella zona centrale perché il termine potesse coincidere con l’inizio della cena e potessimo dunque rimanere tutti lì seduti in attesa di mangiare. La sera era tiepida e da sotto il tendone si intravedeva un cielo limpido e stellato. L’atmosfera era di timido entusiasmo: sedevamo tutti lì, chi solo e chi in gruppo, chi imbarazzato e chi a suo agio come in mezzo a una combriccola di vecchi amici, chi a terra, chi sulle balle di paglia, chi su sedie da campeggio, ognuno con le proprie stoviglie che la RIVE aveva caldamente raccomandato di portare. Alcuni avevano kit da picnic super tecnici e borracce termiche, altri bottiglie di vetro, ciotole di coccio e piatti trafugati dalla dispensa di casa, altri ancora insalatiere e bicchieri di plastica dell’Ikea. Ognuno si alzava e si recava ai tavoli del buffet dove a turno i volontari servivano il vino (portato dalle cantine di Bagnaia), il pane (autoprodotto in un forno a legna in terra cruca, a sua volta autocostruito) e le varie portate, prevalentemente vegane e provenienti dagli orti dei vari ecovillaggi o da GAS e mercati contadini locali. Poi ciascuno di noi andava a lavare piatti e bicchieri in un sistema di tre bacinelle collaudato in anni di raduni, ognuna riempita con meno sapone (sapone rigorosamente
biologico o autoprodotto con ingredienti naturali) della precedente per garantire un risciacquo perfetto senza spreco di acqua corrente. Dopo cena venne allestito uno spettacolo di improvvisazioni artistiche nel teatro di paglia: “l’arte di ognuno, l’arte come molteplice espressione delle diversità. Un arte che non ha bisogno di apprendistati o lauree, esercizio o editori. È l’arte del condividere ”. Tra un momento 48 di imbarazzo e una risata seguimmo con attenzione lo spettacolo, “liberi, senza niente di prefissato o deciso, nella totale spontaneità del momento. Chi suona il flauto traverso, chi cita la Divina Commedia, chi canta in lingua sacra, chi fa il funambolo e chi esprime per la prima volta le sue poesie… ”. La serata si concluse poi con 49 un’esibizione esilarante di un gruppo di ecovillaggisti che avevano scritto una canzone sulle note di “Tu vuò fa’ l’americano” di Renato Carosone, canzone che riscosse un successo incredibile proprio perché faceva ironia sulle principali contraddizioni di certi stili di vita alternativi .50
Forse basterebbe questa prima descrizione, sintesi di pagine e pagine di appunti presi freneticamente per non perdere nessuno dei numerosi dettagli che mi circondavano in quella prima serata, per far emergere il tratto più evidente di quel mondo che mi apprestavo a indagare: la sconcertante eterogeneità. Mi bastò infatti quella prima serata per rendermi conto che era un ambiente molto più vario e molto meno estremista di quello che mi aspettavo. Durante la cena e lo spettacolo c’erano giovani mamme con i fiori tra i capelli che allattavano senza alcun pudore, bambini nudi che correvano felici per il campo e “hippies” che meditavano semi nudi; ma c’erano anche normalissimi signori di una certa età con la loro sediolina portata da casa per non doversi sedere a terra, giovani universitari “eco-chic” pieni di entusiasmo idealista che parlavano di
https://teatrodipaglia.wordpress.com/2014/02/10/il-teatro-di-paglia-abbraccia-gli-ecovillaggi/. 48
ibidem. 49
“Tu vuoi fare il fricchettone”, qui il video della serata: https://www.youtube.com/watch? 50
community gardening, contadini giovani e vecchi che da qualche tempo sperimentavano
tecniche alternative o avevano recuperato tecniche tradizionali intenti a scambiarsi consigli su come trattare le lumache, signore di mezz’età che si facevano il pane in casa e insegnavano a farlo ad amici e vicini. Moltissime erano famiglie e l’età media variava tra i 30 e i 50 anni. Insomma, “dall’imprenditore del Nord al fricchettone col djambé, tutti in armonia”, come riassunse quel raduno uno dei soci durante l’incontro successivo.
Molti di loro non erano ecovillaggisti, ma curiosi e simpatizzanti come noi. Come affermato in precedenza infatti, il raduno estivo è quel momento dell’anno in cui la rete degli ecovillaggi si apre verso l’esterno, ribadendo la propria esistenza e l’importanza strategica per l’intera società occidentale delle proprie sperimentazioni in un percorso di transizione sostenibile . Tuttavia la varietà dei partecipanti è specchio della 51 capillarità del movimento degli ecovillaggi, che tra reti di transizione, circuiti alternativi di alimentazione, medicina ed economia, associazioni di auto-costruzione, centri olistici, ecc. riesce a raggiungere e mettere insieme un’audience eterogenea.
Nonostante la varietà e la quantità di persone che ogni anno si avvicinano al mondo degli ecovillaggi, stranamente il raduno estivo non viene pensato come un’occasione di tesseramento: non solo i partecipanti non sono tenuti ad associarsi, ma non lo sono neanche i numerosi volontari che partecipano al pre-campo di allestimento e alla gestione dell’intero raduno, sebbene alcuni di questi tornino puntualmente ogni anno e abbiano ormai un rapporto confidenziale con gran parte dei soci, tanto da essere difficilmente distinguibili da questi. Il fatto che durante l’unico evento annuale aperto al pubblico, nonostante il tempo e le energie che si dedicano durante l’anno per la sua preparazione, non si tenti minimamente di aumentare il numero dei soci sostenitori è argomento molto dibattuto tra gli attivisti. Alcuni ritengono infatti che una base
Ogni rete nazionale ed internazionale organizza infatti un raduno o una conferenza annuale aperta al 51
allargata porterebbe la rete ad acquisire più stabilità economica, ad avere maggiore diffusione e riconoscimento sul territorio e a potersi occupare di più questioni esterne all’associazione, agendo così più concretamente sia a livello nazionale che internazionale.
Le ragioni per cui non si fa nessuna campagna di tesseramento né al raduno estivo, né online, né in nessun altro degli eventi organizzati dalla RIVE riguardano da una parte l’esigenza di non precludere la partecipazione a nessuno per meri motivi economici, e dall’altra la necessità che si associ solo chi vuole veramente partecipare ed essere attivo, in modo che il lavoro della rete continui a privilegiare i rapporti umani, intimi e personali. Francesca, che in quanto ex-presidentessa della RIVE detiene anche un ruolo di custode della memoria storica dell’associazione, così spiega la peculiarità della strategia della RIVE rispetto ad altre reti e associazioni:
“…si è sempre privilegiata la conoscenza reciproca, quindi l'adesione per una conoscenza reciproca piuttosto che un'adesione ideale dove appunto magari te pensi di aver capito una cosa, ti associ, poi entri nell'associazione, non è quello che ti aspettavi e cominci a remar contro. Quindi invece di essere un'energia che porta spinta all'associazione in realtà rischi di rallentarla totalmente. Allora abbiamo sempre pensato in maniera graduale, cioè ti avvicini, conosci, partecipi, ti piace, ti iscrivi. Non ti iscrivi e poi scopri cosa c'è dietro.” (Francesca, agosto 2015).
Questo atteggiamento rientra nelle tattiche di quei movimenti che preferiscono basarsi sull’esempio pratico e diretto piuttosto che cercare di fare proselitismo, come si vedrà nel prossimo capitolo. La ragione di fondo è però un’altra: con l’aumentare indiscriminato dei soci si rischierebbe infatti di aumentare anche la complessità di gestione interna, e questo è qualcosa che i portavoce della rete vogliono evitare a tutti i costi, non per pigrizia, ma perché andrebbe a minare i valori di base che l’associazione promuove. Come spiega sempre Francesca infatti, la RIVE non lavora solo sul
messaggio da trasmettere, ma anche sulle modalità di trasmissione di quel messaggio: lavorare sulla comunicazione con un gruppo ristretto che ha già esperienza di metodi alternativi di comunicazione è un conto, aprire invece l’associazione a molti membri che magari non conoscono tali metodi perché non ne hanno esperienza nella loro quotidianità renderebbe tutto molto più complesso e farraginoso, e a lungo andare potrebbe inficiare la trasmissione stessa del messaggio. In sintesi, se tra i “messaggi” dell’associazione c’è la sperimentazione stessa di nuove modalità di comunicazione e poi queste non funzionano, l’obiettivo è fallito anche se si riesce a diffondere uno stile di vita più sostenibile.
2.7.2. Muoversi radicandosi
Come sottolineato più volte, la peculiarità della situazione italiana all’interno del movimento degli ecovillaggi è quella di avere una delle reti nazionali più forti e attive, contrapposta ad alcune delle comunità più ridotte e precarie del panorama internazionale. La RIVE dunque non funge solo da sistema di connessione e supporto, ma anche da prototipo per tutte le comunità italiane che aspirano a essere tali.
Quello che succede nella RIVE durante i raduni annuali e nell’attività a distanza che si porta avanti tra un incontro e l’altro non è infatti quello che succede nelle singole comunità. Come nota Helena Wulff (2004) studiando un altro fenomeno transnazionale caratterizzato dal continuo movimento (il mondo del balletto classico), durante i frequenti tour in cui, dal punto di vista del ricercatore, il campo di ricerca diventa itinerante, si crea una sorta di communitas, dove alcuni aspetti culturali che risultano passivi nella vita di tutti i giorni vengono temporaneamente attivati (ibidem), pur rimanendo sempre soggetti a continue revisioni e stravolgimenti. Questo è un po’ quello che avviene durante i raduni RIVE: con l’approfondimento del campo di ricerca a un certo punto mi sono infatti resa conto come fosse la rete, e non tanto la singola comunità, il vero luogo di sperimentazione e cambiamento sociale, quella “pragmatic
knowledge community where the supportive social environment and the low-impact way of life pursued by each ecovillage enable unity in broader diversity” (Litfin 2009: 125). È come se la
rete fosse la concretizzazione degli ideali propugnati dai suoi membri, ideali che spesso vacillano nelle singole comunità o che vengono declinati in maniere che possono provocare dubbi e delusione negli avventori o nei residenti stessi.
I soci anziani ci tengono spesso a ribadire che “la RIVE è un figlio, non un genitore”: ma è vero anche che la rete, in quanto forza collettiva, in quanto movimento, in quanto “rete di sicurezza”, tiene saldi e uniti quei valori che si incarnano negli ecovillaggisti più che negli ecovillaggi stessi ed è in grado di accogliere, supportare e proteggere la diversità interna e attutire gli eventuali scontri che possono verificarsi tra le diverse ideologie in gioco, attraverso la sperimentazione continua di nuovi strumenti per gestire il conflitto. La RIVE è dunque anche il modello a cui tutte le realtà che la compongono tendono e si ispirano, proprio perché composta dall’intelligenza e dalla saggezza collettiva del gruppo, dalle verità di ognuno, dalla ricchezza che ogni differenza può donare al complesso, da una sorta di distillato dei valori più puri e condivisi che vi sono alla base.
Un esempio sono le forme di governance alternative applicate e diffuse dal movimento: il metodo del consenso, la facilitazione, la sociocrazia, il process work, la risoluzione dei conflitti tramite ascolto profondo e comunicazione nonviolenta, nella RIVE vengono utilizzati in maniera costante, efficiente ed efficace (come si vedrà nel capitolo successivo), mentre spesso nelle singole comunità sono carenti, altalenanti, fortemente legati alle individualità che le compongono. Questo spesso provoca la dissoluzione o la crisi della comunità stessa.
Altro esempio è l’ecologia, uno dei pilastri fondanti degli ecovillaggi: nella RIVE la sostenibilità guida concretamente ogni singola decisione, mentre negli ecovillaggi a volte viene aggirata per esigenze contingenti, come mancanze economiche o semplice pigrizia. La RIVE quindi complessivamente risulta un movimento
“reducetariano” (tendente cioè al vegetarianesimo ma ispirato più da principi di riduzione dei consumi e delle fonti di inquinamento che dall’animalismo di per sé), perché, aldilà delle convinzioni degli attori coinvolti, questa scelta alimentare è effettivamente la più economica, salutare e sostenibile da perseguire, in accordo con i valori promossi dal movimento. Al contrario, nelle singole comunità possono riscontrarsi molte scelte alimentari che ad altri potrebbero sembrare contraddittorie rispetto ai valori professati dagli ecovillaggi, poiché qui invece ogni singola idea e ogni singolo individuo può influenzare l’andamento dell’intera comunità. Questa è infatti un’altra differenza sostanziale tra la rete e i singoli ecovillaggi: nelle comunità la convivenza a stretto contatto e prolungata nel tempo crea l’esigenza di maggiori