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2. La Kompendienliteratur dopo Epicuro

2.5. Gli Epicurei romani

2.5.1. Amafinio e i suoi aemuli

L’impatto dell’Epicureismo in ambiente romano dopo l’espulsione dei filosofi Alcio e Filisco (173 o 154 a.C.)381

si ricostruisce soprattutto attraverso le testimonianze di Cice- rone. Il favore che incontra la voce incontrastata di Amafinio e dei suoi consettari (aemuli eiusdem rationis) deriverebbe dalla facilità di comprensione e memorizzazio- ne e dalla promessa di una blanda voluptas come segni distintivi della dottrina che essi professano,382

nonché dall’assenza di alternative migliori;383

i loro scritti sono retori- camente poco curati e privi di ambizioni letterarie,384

lo stile piano che caratterizza in particolare l’opera di Amafinio sembra derivare dalla superficialità teorica della dot- trina stessa che vi sottende e incontra nel contempo l’orizzonte di attesa di lettori di modesta cultura.385

Nelle Familiares Catio Insubre, morto nel 45 a.C. o poco prima,386

viene accostato ad Amafinio da Cassio, Epicureo egli stesso, sotto l’appellativo comu- ne di mali verborum (scil. Epicuri) interpretes.387

Oltre a una menzione di incerta affi- dabilità in uno scolio alle Satire oraziane, che ne farebbero l’autore di un’opera in

_____________

379

Cf. Dubischar 2016, 437: “Summaries and compilations increase the likelihood for primary texts or their contents, as far as possible, to retain or regain readers even under new conditions. In addition, the derivative text types discussed here always reduce the primary material’s intellectual or logistical complexity. Therefore, because they are less complex themselves, the new texts can more easily be re- contextualized again, should the reception contexts further change – as they inevitably will at some point”.

380

Cf. Garbarino 1973, 465-466.

381

Ael. VH 9,12; Athen. 12,547a. Cf. Benferhat 2005, 59; Boyancé 1963, 7; Gigante 1983, 25-26; Brough- ton 1951, 407. 449.

382

Cic. Tusc. 4,7; cf. fin. 2,44; Tusc. 5,28.

383 Cic. Tusc. 4,5. 384 Cic. Tusc. 1,5-6. 2,7. 385 Cic. Ac. 1,5. 386 Cic. epist. 15,16. 387 Cic. epist. 15,19.

quattro libri de rerum natura et de summo bono,388

è menzionato da Quintiliano tra gli scrittori latini di filosofia in un gruppo di pochi eloquentes come non iniucundus, per quanto mancante di profondità filosofica (levis).389

Di Rabirio non si sa quasi nulla, ec- cezion fatta per un accenno cursorio negli Academica.390

È stato notato giustamente che le critiche mosse da Cicerone ai primi epicurei ro- mani ricalcano assai da vicino quelle che egli stesso riserva al fondatore della Scuola,391

sì che è difficile non nutrire quantomeno un legittimo dubbio sull’oggettività delle in- formazioni che se ne ricavano. Se nelle Tusculanae Cicerone identifica una delle ra- gioni del successo di pubblico (immeritato, a suo parere) dei ‘divulgatori’ latini dell’Epicureismo nella loro mancanza di profondità speculativa, sembra tuttavia voler passare sotto silenzio la possibilità che i loro scritti rispecchino – se così fosse, perfet- tamente in linea con l’insegnamento di Epicuro – un deliberato processo di semplifi- cazione.392

In linea con l’insegnamento di Epicuro sono, d’altra parte, i caratteri prin- cipali di quegli scritti, che Cicerone, anche se in toni di dura critica, non manca di co- gliere (Tusc. 4,7): (1) essi si prestano bene alla memorizzazione (tam facile ediscantur); (2) sono accessibili ad un pubblico di principianti (indocti);393

per giunta, i loro autori riconoscono in queste stesse caratteristiche una prova di verità di quanto professano (firmamentum esse disciplinae putant). Possiamo quindi immaginare che gli Epicurei bersaglio della polemica ciceroniana abbiano intenzionalmente prodotto testi para- gonabili in tutto a delle prime εἰσαγωγαί di dottrina in latino.394

Non contraddice a quest’ipotesi il parere di Varrone, al quale Cicerone negli Academica395

attribuisce il giudizio secondo cui la scrittura di Amafinio e quella di Rabirio (1) manca di ars e fa uso del vulgaris sermo (ossia del “linguaggio quotidiano”);396

(2) evita definizioni e par- tizioni; (3) non rispetta le regole dell’ars dicendi et disserendi. Se il silenzio su Catio In- subre non è intenzionale, quantomeno non contrasta con l’opinione di Quintiliano: è _____________

388

Σ Hor. sat. 2,4,1 p. 161 Keller. Cf. Castner 1988, 32 con bibliografia ulteriore; Boyancé 1960, 512; Du- cos 1989; Muecke 1993, 167-168; Fedeli 1994, 649. 651.

389 10,1,123-124. 390 Vd. n. 385. 391 Gemelli 1983, 287-288. 392

Cf. Tescari 1935, 243-244; Boyancé 1963, 9-10: “Amafinius cependant, en s’adressant à la foule, ré- pondait à une des préoccupations du fondateur: rechercher avant tout la clarté et permettre l’accès de la sagesse même aux gens sans culture”; vd. anche Roskam 2007, 85: “In short, the uncomplicated char- acter of Amafinius’ work should neither be explained by his purpose of popularising Epicurean philoso- phy, nor by his lack of erudition, but by justified pedagogical concerns”.

393

Cf. Damiani 2015a, 219-224.

394

Secondo Koch Piettre 2010, 398, “Il n’y a pas de canonicité littérale de la lettre épicurienne. La doctrine peut être sans cesse redite avec des mots différents et par des hommes (ou femmes) différents, pourvu que les mots soient transparents à leur objet”. Lo stesso principio può aver giocato, credo, un ruolo importante non soltanto tra gli epicurei delle prime generazioni, ma anche nelle modalità di rie- laborazione e trasmissione della dottrina tra il pubblico romano. La scelta della forma dell’isagoge composta in uno stile semplice è una delle tante possibilità di trasmissione del sapere, e una delle più adatte non solo in ragione di una tradizione letteraria consolidata, ma anche in considerazione dei po- tenziali lettori cui il testo intende rivolgersi. Cf. Kleve 1979, 83; Arrighetti 2006, 326. Anche Roskam 2007, 85 ipotizza anche che le opere dei primi scrittori epicurei latini abbiano assunto la forma di una “general, easy, and concrete introduction to the most fundamental principles”.

395

Vd. n. 385.

396

dunque possibile che la prosa di Catio si sia effettivamente contraddistinta per una maggiore attenzione allo stile.

A quale fascia di pubblico si rivolgessero gli scritti dei primi Epicurei romani po- trebbe indicare il confronto con un autore pressappoco contemporaneo come Corne- lio Nepote (ca. 100-24 a.C.), che afferma di scrivere per un uditorio privo di conoscenze approfondite sulla storia e sulla letteratura greca (e non è peregrino supporre che adattasse il suo stile conseguentemente):397

Pelopidas Thebanus, magis historicis quam vulgo notus. Cuius de virtutibus dubito quem ad modum exponam, quod vereor, si res explicare incipiam, ne non vitam eius enarrare, sed historiam videar scribere: si tantummodo summas attigero, ne rudibus Graecarum lit- terarum (Cf. Nep. Praef. 1,2: expertes Graecarum litterarum) minus dilucide appareat, quantus fuerit ille vir. Itaque utrique rei occurram, quantum potuero, et medebor cum sa- tietati tum ignorantiae lectorum.

Pelopida Tebano – personalità meglio nota agli storici che al grande pubblico. Delle sue virtù non so come parlare adeguatamente, giacché temo, se iniziassi a dipanare nel det- taglio la materia, di fare della storiografia piuttosto che raccontarne la vita; se, invece, mi limitassi a trattare soltanto i punti principali, di rendere meno perspicuo il suo cali- bro a quanti sono a digiuno di lettere greche. Cercherò quindi, per quel che posso, di rendere giustizia a entrambi gli aspetti, e mi guarderò sia dall’annoiare sia dal fornire al mio pubblico informazioni insufficienti.

La maggior parte degli studiosi è concorde nell’identificare i lettori di Nepote con un pubblico di media cultura:398

un pubblico forse non dissimile da quello, fornito di poca o nessuna dimestichezza con la lingua e la letteratura greche,399

cui si rivolgono gli scritti dei divulgatori latini della dottrina del Κῆπος. Parte della critica ha cercato di fornire un più preciso profilo dei mediocriter docti di cui si parla in Cic. Tusc. 2,7: Raw- son pensa a “piccoli proprietari terrieri”,400

mentre Castner vi riconosce i “cittadini di più umile ceto dei municipia”.401

Più articolata la definizione proposta da Howe:402

Cicero’s account enables us to form an idea of the sort of men attracted by Amafinius’ teachings. They had money and leisure enough to buy and read books, but not enough education to be able to read Greek. Their learning was great enough for them to wrestle with the ideas of Epicurus, but they were not so sophisticated that they demanded the rhetorical flourish expected by the compeers of Cicero; better trained and more literate Epicureans like Cassius could smile at Amafinius and Catius as [Epicuri] interpretes. _____________

397

Nep. Pel. 1,1.

398

Vd. Geiger 1985, 70 e n. 28. 95-96.; Horsfall 1989, xix-xx; Stem 2012, 234.

399

Cf. Gemelli 1983, 290. Sulla questione della conoscenza della lingua greca da parte degli Epicurei romani cf. Büchner 1968, con un’approfondita discussione sul testo di Cic. Tusc. 5,116.

400

Rawson 1985, 49: “small landowners”. Cf. Benferhat 2005, 63; Asmis 2001, 212: “In reality, we may suppose, Epicureanism had some success among the rural population, who would ordinarily have no access to a philosophical education”.

401

Castner 1988, xiii n. 9; cf. Howe 1948; Howe 1951, 58. 60.

402

Howe 1951, 60. Vesperini 2012, 236 pensa a “notables ou même de simples citoyens des muni- cipes, qui prétendent faire carrière à Rome”.

Assai simile la descrizione dei lettori di Nepote formulata da Horsfall:403

But the very existence of the De viris illustribus proves that there was a public ignorant but curious, Greekless but leisured, prosperous yet gullible.

I primi Epicurei romani offrono al lettore un’esposizione semplice (plane) e cionon- dimeno efficace (commota multitudo):404

due caratteri sovrapponibili al programma letterario di Nepote, che si propone di percorrere la via mediana tra res explicare e

summas attingere.405

Un ulteriore parallelo riguarda le modalità della ricezione. Geiger ha messo a confronto i Chronica di Nepote con il Liber annalis composto poco dopo dal suo amico Attico, concludendo che l’opera di quest’ultimo dovette precipitare lo scritto di Nepote “into semi-oblivion”.406

Nepote fu tuttavia un pioniere del genere in lingua latina, laddove Attico potrebbe aver mirato a compensare le inevitabili man- canze che caratterizzano un primo esperimento di translatio.407

Analogo, come credo, fu l’atteggiamento di Lucrezio nei confronti dei suoi predecessori.