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1. Praefationes di testi compendiari

2.4. Metodi di epitomazione

La virtù principale dell’epitome è per Epicuro senza dubbio la sua brevità (Hdt. 36: διὰ βραχέων φωνῶν; Pyth. 84: σύντοµον καὶ εὐπερίγραφον διαλογισµόν).92

Non compaiono nelle sue prefazioni (né nella chiusa dell’Ad Herodotum) riferimenti espliciti alla σαφήνεια, eppure vi ricorrono a più riprese termini afferenti al campo semantico del ‘semplice’ (Hdt. 36: πρὸς ἁπλᾶ στοιχειώµατα) e dell’‘esatto’ (Hdt. 83: κατασχηθεὶς µετ’ ἀκριβείας; Pyth. 85: καλῶς … διάλαβε, ὀξέως … περιόδευε); l’epitome permette all’allievo di chiarificare (καθαρὰ ποιεῖν) molti dei problemi trattati negli scritti maggiori: ma un discorso capace di trasmettere un’opinione chiara o la competenza stessa di rendere chiari determinati problemi non può che essere esso stesso improntato a una poetica della σαφήνεια. Sappiamo del resto che questa, al di là delle critiche da più parti rivolte al suo stile, era considerata da Epicuro stesso nel suo Περὶ ῥητορικῆς un tratto impre- scindibile della prosa filosofica.93

Chiarezza e brevità sembrano costituire, quindi, due requisiti formali essenziali di ogni compendio. Vediamo ancora in dettaglio come que- sti due elementi siano declinati nelle praefationes.

In GalSMM94

le due ἀρεταί sono chiamate in causa per esprimere scetticismo sulla possibilità di armonizzare adeguatamente le esigenze dell’una e dell’altra: “Non è pos- sibile che uno mischi la concisione dell’espressione e la chiarezza della dottrina in un solo discorso”; scetticismo condiviso del resto, come si è osservato, da LactEpit (fit

enim totum … brevitate ipsa minus clarum) e in parte anche da NicEnch, che si ramma-

rica di non poter esporre la teoria armonica µετὰ τῆς προσηκούσης σαφηνείας per mez- zo della βραχεῖα ὑποσηµείωσις che invia alla sua lettrice. Benché le istanze di chiarezza e di brevità non compaiano sempre associate in tutte le praefationes, qui la negazione più o meno recisa di una loro conciliabilità può ben essere indice dell’esistenza di un certo accordo sul loro carattere di direttive di massima che dovrebbero presiedere all’operazione di epitomazione. E allora non deve sorprendere come OrG, su posizioni del tutto opposte a Galeno, tenga a precisare che la sua epitome dagli scritti del medi- co di Pergamo (!) possiede un “intendimento sufficientemente persuasivo” proprio in virtù del τὴν συναίρησιν εἰς βραχυλογίαν (brevitas) οὐκ ἀσαφῆ (claritas) γενήσεσθαι. In

ArcKP la coppia σαφήνεια/συντοµία è motivo ricorrente: all’inizio e in chiusura, con

l’allocuzione al destinatario (σκόπει οὖν εἴ τι καὶ ἡµῖν ἤνυσται χρήσιµον εἰς συντοµίαν, αλλὰ καὶ εἰς σαφήνειαν; εἰ δὲ τὸ συντοµώτερον τοῦ πρὸ ἡµῶν ἐπειγοµένου πεποιήκαµεν … _____________

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La brevitas come virtù del discorso resta centrale nelle opere della Scuola: cf. fr. 32,1-6 Arr.2 (PHerc.

998 fr. 11); Demetr. Lac. Op. inc. col. 51 Puglia e Puglia 1986, 46 n. 9; Phld. Poem. 3 col. 3,27-28 Janko.

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D.L. 10,13 [= fr. 1,13,11 Arr.2 = fr. 54 Us.]. Sul senso peculiare della σαφήνεια come tratto dello stile di

Epicuro cf., oltre a Milanese 1989, 34-38, Puglia 1988, 91 e Leone 2011, 274. Sulla σαφήνεια come ἀρετὴ λέξεως cf. Arist. Rh. 3,3 1404b1-3; Thphr. fr. 684 Fortenbaugh e Stroux 1912. La virtù della συντοµία fu pro- babilmente introdotta in ambito stoico e ripresa nella poetica del tardo Peripato (D.L. 7,59), cf. Brink 1971, 108.

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µετὰ τοῦ σαφεστέρου καὶ εὐσυνόπτου τοῖς πολλοῖς, αὐτὸς ἐπικρινεῖς) e nel corso del proe- mio, dove sono enunciati in forma normativa scopo e modo della rielaborazione del materiale: δεῖ δὲ τὸν ἐφ’ ἑκάστου κανόνος περιµένοντας λόγον οὕτως ἔχειν αὐτὸν ἐντελῆ συναγόµενόν τε ἐκ τῶν κατὰ µέρος (cf. per κατὰ µέρος Hdt. 35-36. 83), ἵνα µὴ συντοµία µόνον, ἀλλὰ καὶ σαφήνεια τοῖς ἐντευξοµένοις ὑπάρχῃ. In PsScym si presentano ancora en- trambe le ἀρεταί, pur essendo principalmente attribuite alla dizione comica di cui l’Anonimo si serve per il suo compendio (v. 1-3): πάντων ἀναγκαιότατον ἡ κωµῳδία, / θειότατε βασιλεῦ Νικόµηδες, τοῦτ’ ἔχει / τὸ καὶ βραχέως ἕκαστα καὶ φράζειν σαφῶς.

In altri casi, manca la menzione della σαφήνεια mentre resta costante la professione di brevità: in Mach si parla, da un lato, di τὸ σύντοµον τῆς λέξεως µεταδιώκειν come l’obiettivo cui l’epitomator deve tendere, dall’altro del κατεργαστικὸν τῆς πραγµατείας, cioè dell’esposizione esaustiva della materia, estranea al suo lavoro; HipChr insiste sulla concisione del suo scritto (ἐν συντόµῳ ποιήσασθαι λόγους; ἐν ὁλίγῳ καταλαβώµεθα);

OrE pone in risalto l’aiuto mnemonico offerto dai συντόµως ῥηθέντα; in Nech il re rice-

ve dal sacerdote Petosiris un σύντοµον κανόνιον. IanNep contrappone la brevitas del suo discorso alla redundantia dello stile del testo-fonte, e alla longa facundia delle opere tecniche si rifà anche CetFav per chiarire le intenzioni della sua breve trattazione me-

diocri sermone; EutrBrev si limita ad una brevis narratio, mentre al parvus libellus of-

ferto al dedicatario fanno riferimento sia VegEpit che IorGet. Rfest ripete l’aggettivo

brevis per ben quattro volte in poche righe (brevem fieri; brevioribus exprimunt; brevi- ter dictis brevius computetur).

Emergono talora degli indizi sui metodi di epitomazione adottati e sulla sfera di competenza dell’epitomatore in confronto o in contrapposizione con quella del συγγραφεύς, nonché qualche ulteriore elemento sulla caratterizzazione stilistica del compendio. NicEnch dice di aver sviluppato αὐτὰ ψιλὰ τὰ κεφάλαια χωρὶς κατασκευῆς καὶ ποικίλης ἀποδείξεως κατ’ἐπιδροµήν: la scrittura è quindi ridotta alle informazioni di capitale importanza (cf. i κεφαλαιωδέστατα di Epicuro), è priva dell’elaborazione stili- stica e della varietà di un’esposizione più ampia, ha la fisionomia di un’ἐπιδροµή, ossia di una disamina cursoria. In Mach l’autore si avvale dell’immagine, non del tutto per- spicua, dell’architetto e del pittore per simboleggiare da una parte il lavoro basilare e sistematico svolto dal συγγραφεύς, dall’altra l’opera di diligente rifinitura che spetta al ποιούµενος τὴν µετάφρασιν: al primo è riservata l’indagine minuta (τὸ διακριβοῦν περὶ ἑκάστων; πολυπραγµονεῖν ἐν τοῖς κατὰ µέρος; τὸ ἐξεργαστικὸν τῆς πραγµατείας), mentre al secondo è richiesta la brevità di espressione. OrE illustra con chiarezza il tipo di sele- zione che effettua: altrimenti che nei settanta libri delle Collectiones, Oribasio afferma di limitarsi a trattare le cure facili a eseguirsi e a procurarsi (ἱάµατα … εὐµεταχείριστά τε καὶ εὔπορα) e in generale quelle che prevedono un intervento tramite la somministra- zione di farmaci e l’osservazione di un determinato regime (διὰ φαρµακείας καὶ διαίτης), tralasciando la χειρουργία per la sua complessità di esecuzione e per la diffi- coltà nel reperimento degli strumenti. La scelta degli argomenti avviene nel rispetto della funzione pratica immediata dell’epitome, che dovrà servire a rispondere pron- tamente a problemi repentini, da risolvere senza indugi (µὴ δεχοµένων ὑπέρθησιν). Si- milmente ArcKP, oltre ad affermare di aver separato, ai fini di un migliore apprendi- mento, definizioni contenute in origine in una trattazione unica (ἵν’ εὔληπτα γένηται

διαιρεθέντα), stabilisce in primo luogo di fare a meno del διὰ ζητήσεως κανονίζειν τῶν µὲν ἀνατρεποµένων λόγον τῶν δὲ κρατυνοµένον, della posizione di norme attraverso un pro- cedimento di valutazione comparata degli argomenti pro e contra:95

nel contesto del compendio sarà sufficiente affidarsi al discorso prevalente (πείθεσθαι τῷ κρατοῦντι λόγῳ), cioè alla tesi invalsa, ancora una volta in vista di uno scopo esclusivamente pra- tico (evitare di commettere errori prosodici); in secondo luogo, saranno estromessi i παραδείγµατα insieme con la spiegazione del loro significato e del loro uso, compito demandato al συγγραφεύς. Identica posizione, riguardo all’espunzione degli exempla, assume GalSMM:96

“questi esempi (scil. i casi clinici descritti nella Methodus medendi e non ripresi nella sinossi) sono grandemente utili; la maggiore utilità loro è che uno ve- da questi esempi descritti nei libri con i propri occhi sui malati stessi; nei discorsi compendiati questo non è possibile che avvenga”. L’autore di PsScym rende noto il proprio metodo in maniera altrettanto esplicita: τούτων δ’ ὅσα µὲν εὔσηµά τ’ ἐστὶ καὶ σαφῆ / ἐπὶ κεφαλαίου συντεµὼν ἐκθήσοµαι, / ὅσα δ’ ἐστὶν αὐτῶν οὐ σαφῶς ἐγνωσµένα, / ὁ κατὰ µέρος ταῦτ’ ἐξακριβώσει λόγος. Maggiore attenzione agli argomenti ignoti, tratta- zione più stringata per quelli noti: non sfugga la contrapposizione, propria del lessico epicureo, tra ἐπὶ κεφαλαίου συντέµνειν e κατὰ µέρος ἐξακριβοῦν (cf. Ep. Hdt. 35-36. 83; Phld. Adversus fr. 86 Angeli).

Si è già visto come LactEpit non nasconda al destinatario Pentadio i non trascura- bili problemi di gestione del materiale che l’epitomator è chiamato a rielaborare a fronte di un’opera tanto vasta come le Institutiones: la condensazione impone (necesse

sit) di tralasciare, come anche GalSMM e ArcKP sottolineano, argumenta ed exempla

la cui esposizione richiederebbe un libro intero; suo malgrado, Lattanzio decide, come già visto, di diffusa substringere et prolixa breviare. Ci si può chiedere se tra le due espressioni intercorra una qualche differenza: substringere diffusa richiama l’atto di stringere la tenuta di un legaccio (una corda, ad es.) allentato, oppure di trattenere l’irrompere o il manifestarsi di qualcosa, laddove prolixa breviare rimanda più specifi- camente all’abbreviazione di un discorso o di uno scritto di notevoli dimensioni: se non vogliamo pensare che esse si riferiscano rispettivamente agli argumenta ed exem-

pla nominati poco sopra, resta plausibile considerarle come nessi sinonimici o, più

precisamente, come l’uno l’espansione dell’altro (in una sorta di figura a ‘tema con va- riazione’).97

Se LactEpit pone attenzione alla brevità del suo scritto, IanNep intende, a sua volta, (a) recidere la redundantia del testo di partenza, (b) tralasciare diversi ele- menti (pleraque transgrediar) e (c) aggiungerne alcuni mancanti (nonnulla praeter-

missa adnectam). L’eventuale aggiunta di materiale è annunciata anche da EutrBrev

(strictim additis etiam his, quae in principum vita egregia extiterunt) e indicazioni non dissimili fornisce IorGet: quorum (scil. di ciò che ha letto nei libri di Cassiodoro)

quamvis verba non recolo, sensus tamen et res actas credo me integre retinere (ed è chia-

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La scelta dell’epitomatore potrebbe rispecchiare, in certo senso, quella per cui Epicuro, nella παράδοσις della dottrina, non ripercorre a ritroso, come fa invece Platone, il ragionamento che ha con- dotto a determinate conclusioni, ma presenta normativamente acquisizioni teoriche che costituiranno poi la base della formazione degli allievi (cf. Asper 2007, 228).

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Sinossi del libro IX f. 126r2-7: Garofalo 1999, 14.

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rissimo qui il senso della rielaborazione a cui l’epitomator sottopone il testo di parten- za). Ad quos et ex nonnullis historiis Graecis ac Latinis addidi convenientia, initium fi-

nemque et plura in medio mea dictione permiscens.98

Sia in MedPl sia in VegEpit è cen- trale l’operazione di raccolta delle informazioni da fonti disparate,99

mentre attraverso il paragone coi calculones Rfest pone l’accento sulla forma elencativa, più che narrati- va, che ha inteso dare al proprio scritto.

Ai tratti principali della chiarezza e della brevità si possono così aggiungere i se- guenti princìpi compositivi:

(a) Abbreviazione tramite rielaborazione nel rispetto del senso, non della lettera: (a.1) Esposizione limitata ai κεφάλαια.

(a.2) Comunicazione delle sole informazioni che consentono un’applicazione pra- tica o quantomeno immediata.

(b) Espunzione di parti del testo/della materia d’origine:

(b.1) Espunzione dei ragionamenti, delle argomentazioni e delle discussioni che portano alla scelta di una soluzione piuttosto che di un’altra; comunicazione del solo risultato finale.

(b.2) Espunzione dei παραδείγµατα/exempla.

(c) Raccolta di informazioni disperse o (più raramente) separazione, ai fini di un più semplice apprendimento, di elementi trattati in un unico respiro.100

(d) Eventuale aggiunta di informazioni mancanti nella fonte.

(e) Impiego di uno stile asciutto, nei casi estremi più elencativo che narrati- vo/espositivo.