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Appendice: gli usi in lingua latina

Il già citato incipit dell’epistola 39 di Seneca (supra, 3) intende porre, tra le altre cose, un problema di lessico: commentarius, breviarium e summarium, mezzi didattici che Seneca stesso manifestamente contrappone al metodo d’insegnamento di preferenza impiegato nelle Epistulae (quello, cioè, che prevede un’introduzione graduale e cio- nondimeno esaustiva – ovvero non selettiva, come potrebbe essere appunto un com-

mentarius – alla dottrina etica), paiono tutti ricondurre, come già osservato, a un me-

desimo tipo di testo. Eppure, Seneca insiste sull’abitudine vulgata di indicare il sum-

marium con la parola breviarium, deprecata come non conforme all’uso corretto (cum latine loqueremur). Quest’espressione di disappunto rispetto alla designazione tecnica

________ µνήµης ἔχειν τῶν χαλεπωτάτων ἢ καὶ παντάπασιν ἀδυνάτων ἐστίν· διόπερ τήνδε τὴν ἐπίτοµον ἐκ τῶν ἀρχαίων ἐνεστηϲάµην συναγωγήν. 112 Cf. Alexander 1993, 58. 113 Cf. Boudon 1993; Boudon 2000, 164-176. 114

Gal. Ars med. 37,5 p. 387-388 Boudon [= 1,407 K.]: νυνὶ γὰρ οὐ διελθεῖν ἅπαντα τὰ κατὰ µέρος ἡµῖν πρόκειται, µόνον δ’ ἀναµνῆσαι τῶν κεφαλαίων, ὧν ἐν ἑτέραις πραγµατείαις ἐποιησάµεθα τὴν διέξοδον.

115

Cf. Opelt 1962, 958-959.

116

Fuhrmann 1967, 1456; si veda anche Börner 1911, 22-23; Dammig 1957, 14; Neumann 1988, 636-637 e Lact. inst. 1,1,25; 5,4,3.

117

di forme letterarie ci introduce alla questione, che delineo qui in breve, dei termini la- tini indicanti forme di Kompendienliteratur. Le ragioni per cui Seneca si distanzia dall’uso invalso di breviarium preferendo attestarsi su quello evidentemente più arcai- co di summarium non possono essere che oggetto d’ipotesi: un tentativo ha compiuto, nella sua ricerca sugli usi latini di epitoma/-e, E. Wölfflin, secondo cui breviarium sa- rebbe sentito come neoformazione impropria poiché derivata da un aggettivo (brevis) e non, come di norma, da un sostantivo (ad es. pulvinarium).118

Al pari di summarium, la parola breviarium (talora anche nelle forme brevis [scil. liber] e breve) sembra impli- care nell’uso latino tanto la condensazione di una singola opera (epitoma auctoris) quanto, più in generale, la trattazione in breve di un argomento (epitoma rei tracta-

tae).119

Il commentarius (-ium),120

da accostarsi al greco ὑπόµνηµα,121

può significare, secon- do le circostanze, un insieme di appunti di carattere amministrativo,122

una raccolta di notizie prese a supporto della memoria (come nel caso di Lucilio) o destinate a una successiva rielaborazione,123

un’opera dottrinaria,124

una serie di memorie125

o anche, al pari del greco, un’opera di carattere esegetico.126

Epitome (o epitoma)127

denota, secondo lo studio di Wölfflin, almeno in un primo momento un lavoro ricavato per excerpta da uno o più testi, per poi ampliarsi a signi- ficare anche una rielaborazione originale di una o più fonti diverse,128

coestensiva a

breviarium (cf. supra, 3.1).129

di entrambi i significati pare tener conto una delle defini- zioni date dai glossari:130

supercisio (ἐπι-τοµή) quae de maiore corpore librorum (1) carptim ac defloratim excerpitur, quae alio nomine (2) brevis expositio ac succincta potest appellari: quo nomine solent Graecorum auctores succinctas ac defloratas ex aliis doctoribus expositiunculas appellare.

Tra i primi usi di epitoma in latino contano due luoghi ciceroniani dalle epistole Ad At-

ticum (12,5: Bruti epitoma Fannianorum; 13,8: Epitomen Bruti Caelianorum velim mihi

_____________

118

Wölfflin 1902, 341.

119

Wölfflin 1902, 342-343. Cf. LTL s.v. summarium, p. 744: “Est idem quod breviarium, summa capita rerum continens”. Cf. Dammig 1957, 28-29.

120

Vd. sull’oscillazione maschile/neutro Bömer 1953.

121

Sull’evoluzione del significato di ὑπόµνηµα, da ‘schizzo, abbozzo’ o ‘commento filologico’, a se- conda dei campi d’uso, a ‘prodotto letterario compiuto’, vd. Capasso 1981, 394.

122

Cf. Serv. auct. Aen. 1,373: annuos commentarios in octoginta libros veteres retulerunt, eosque a

pontificibus maximis a quibus fiebant annales maximos appellarunt.

123

Cf. Dorandi 2007, 42.

124

Cic. rep. 1,16: … eumque et cum Archyta Tarentino et cum Timaeo Locro multum fuisse et Philolai

commentarios esse nanctum … .

125

È il caso dei commentarii di Cesare, cf. Hirt. Gall. 8 praef. 4.

126

Gell. 1,21: Hyginus autem, non hercle ignobilis grammaticus, in commentariis quae in Vergilium fecit … .

127

Sulle diverse forme del sostantivo, con un elenco dei principali passi in cui esso compare vd. Galdi 1922, 17-18.

128

Wölfflin 1902, 339.

129

Wölfflin 1902, 342; cf. anche Galdi 1922, 18.

130

mittas) e i titoli di Varrone riportati da Girolamo, tra cui figurano un’Epitome Antiqui- tatum ex libris XLII libri IX; un’Epitome ex Imaginum libris XV libri III; un’Epitome de lingua latina ex libris XXV libri VIIII.131

Del significato di compendium si è già detto (Cap. 1, 1.1).

Il primo riferimento al genere dell’isagoge nella letteratura latina presenta il termi- ne invariato nella forma greca:132

è Gellio (14,7) a menzionare un commentario scritto da Varrone su richiesta di Pompeo, che si accingeva a ricoprire il consolato e necessi- tava per questo di un testo che gli mettesse a disposizione le nozioni essenziali ad in- traprendere e gestire la nuova carica:133

Varrone stesso avrebbe utilizzato per il com- mentario l’aggettivo εἰσαγωγικόν. Ancora Gellio, nel libro 16, riferisce un aneddoto dal quale si intuiscono i requisiti di un’εἰσαγωγή: nel tentativo di procurarsi uno strumen- to per lo studio della dialettica, Gellio dice di essersi affidato a quelle che i dialettici stessi chiamano εἰσαγωγαί (necessus fuit adire atque cognoscere, quas vocant dialectici εἰσαγωγάς, 16,8). Volendo iniziare dagli ἀξιώµατα (le “proposizioni” logiche, profata o anche proloquia secondo la terminologia varroniana), decide di ricorrere al Commen-

tarium de proloquiis di Lucio Elio, maestro a sua volta di Varrone. La lettura si rivela

deludente:

sed in eo nihil edocenter neque ad instituendum explanate scriptum est, fecisseque videtur eum librum Aelius sui magis admonendi, quam aliorum docendi gratia.

Ma non vi ho trovato nulla che sia stato scritto con l’intento di istruire o con la chiarez- za che si addice all’insegnamento di base; Elio sembra aver composto quel libro piutto- sto come prontuario ad uso proprio che per insegnare ad altri.

Almeno due elementi meritano attenzione. Stando alla valutazione di Gellio, il conte- nuto di un’isagoge dev’essere presentato edocenter, ossia con lo scopo di impartire un insegnamento completo e scrupoloso, ed explanate, cioè in maniera precisa e imme- diatamente comprensibile: caratteri comprensibilmente essenziali per uno strumento che voglia rivolgersi a chi ancora non dispone di alcuna nozione basilare. Lo conferma il commento che Gellio aggiunge subito dopo: l’impressione che si ricava dall’opera di Elio non sarebbe tanto quella di un’introduzione, quanto piuttosto di uno strumento approntato dall’autore ad uso privato, principalmente a fini mnemonici (sui magis

admonendi, quam aliorum docendi gratia). Il titolo commentarium sembra evidente-

mente rimandare a quest’aspetto. Anche in Gellio si ripropone, quindi, la dicotomia tipologica tra testo introduttivo e testo di supporto alla memoria (εἰσαγωγή/ἐπιτοµή) e compare un riferimento all’uso, cui fa cenno Galeno, di approntare Kurzfassungen in ragione delle proprie esigenze di studio e di memoria (vd. supra, 1).

In un altro luogo gelliano troviamo la forma latinizzata isagoga, impiegata in una circostanza che mostra efficacemente quali ne fossero i limiti d’impiego. All’inizio del _____________ 131 Vd. n. 16. 132 Cf. Norden 1905, 524; Görgemanns 1998, 1111. 133

La copertura di cariche pubbliche e il bisogno, per chi veniva eletto, di informarsi in breve tempo sugli officia legati al mandato rappresenta, del resto, uno degli ambiti di maggiore diffusione della lette- ratura a carattere isagogico in lingua latina: cf. Mercklin 1849, 417-418; Aujac 1975, xxxv.

primo libro (1,2) trova spazio l’aneddoto della risposta data da Erode Attico a un gio- vane fin troppo sicuro del proprio status di filosofo. Attraverso la lettura di uno stral- cio dalle Diatribe di Epitteto, la sicumera del loquace neofita è presto scoraggiata e l’inconsistenza della sua preparazione pubblicamente smascherata. Il passo a cui si al- lude è nel secondo libro dello scritto arrianeo (Arr. Epict. 2,19) e reca, nei codici, il tito- lo Πρὸς τοὺς µέχρι λόγου µόνον ἀναλαµβάνοντες τὰ τῶν φιλοσόφων.134

Così Gellio ne rias- sume il contenuto:

… ille venerandus senex [scil. Epitteto] iuvenes qui se stoicos appellabant, neque frugis

neque operae probae, sed theorematis tantum nugalibus et puerilium isagogarum commentationibus deblaterantes, obiurgatione iusta incessuit.

… con giusta severità quel venerabile vegliardo rimproverò i giovani sedicenti stoici, ma privi di virtù e di onesta industriosità, che solo balbettavano di insignificanti teoremi e dello studio di isagogi approntate per bambini.

L’errore dei iuvenes rimbrottati da Epitteto risiede non soltanto nell’avere anteposto il sapere teorico alla coerenza dell’applicazione pratica dei princìpi della filosofia stoica, ma anche nella falsa convinzione di poter dispensare della necessaria προκοπή, con- vinzione nata dalla confusione tra i contenuti dell’insegnamento elementare (theore-

mata nugalia e puerilium isagogarum commentationes) e il possesso stabile e completo

della dottrina. Questo tipo di critica non è, del resto, nuovo e trova posto sia nell’ambito di riflessioni generali sui metodi educativi sia in occasioni polemiche. Un esempio del primo tipo si riconosce nella praefatio alla ormai nota Σύνοψις περὶ σφυγµῶν, in cui Galeno addita le speranze mal riposte di chi pretende di procurarsi la conoscenza di una disciplina ricorrendo ai compendi: al pari dei giovani ai quali è di- retto il rimprovero di Epitteto, che non riescono a sostenere con argomenti propri le domande incalzanti del maestro, anche quei potenziali lettori non saranno mai pa- droni dei dettagli che consentono di argomentare e refutare adeguatamente, in rispo- sta a possibili critiche. Il caso della polemica filosofica è invece ben rappresentato da Filodemo, che nel Πρὸς τοὺς φασκοβυβλιακούς (“contro coloro che si proclamano cono- scitori di libri”), incalza un ἐκ βυβλίου κυβ[ερνήτ]η̣ν̣ (col. 4): un “timoniere da libro”, os- sia qualcuno che, dell’arte che gli compete, non ha appreso che i rudimenti teorici ed è incapace di esercitarla in pratica.135

Interessante è ancora la definizione di isagoga proposta dallo Pseudo-Sorano nelle

Quaestiones medicinales (21, p. 48 Fischer [= p. 251 Rose 1870]):

quid est εἰσαγωγή (id est introductio)? doctrina cum demonstratione primarum rationum ad medicinae artis conceptionem.136

Che cosa significa εἰσαγωγή (ossia introduzione)? Un insegnamento che mostra i princìpi primi necessari alla comprensione dell’arte medica.

_____________

134

Vd. anche Arr. Epict. 2,16,34; 2,17,40.

135

Sul passo vd. Cap. 3, 2.4.2.

136

Oltre a rimarcare ancora la destinazione propedeutica degli scritti isagogici (non è importante che in questo caso particolare si faccia esclusivo riferimento a scritti me- dici), il passo propone la questione dei diversi modi di tradurre εἰσαγωγή. Secondo la ricostruzione proposta da J. Börner all’inizio del secolo scorso, a seguito di una prima fase segnata dall’uso sia della voce greca, in forma pura o traslitterata, sia dei verbi in-

ducere e imbuere (entrambi i casi sono attestati in Gellio), almeno a partire da Isido-

ro137

si trova testimoniata la dicitura impiegata anche dallo Pseudo-Sorano, introductio; a quest’ultima viene poi ad affiancarsi e talora a sostituirsi, dal VI secolo in poi, la for- ma institutio.138

_____________

137

Isid. orig. 2,25,1. Vd. Börner 1911, 19; Görgemanns 1998, 1111

138

Cf. CGL IV p. 588. Börner 1911, 17-23 e in part. 20-21: critica la posizione di Norden 1905, 515 n. 3, se- condo cui la prima forma di versione latina del termine εἰσαγωγή, ricavabile da Gell. 16,8,3, sarebbe in-

La Kompendienliteratur epicurea

εἴπωµεν γὰρ δὴ πρός γε ἡµᾶς ἰατρὸν µέλλοντα ἢ καί τινα γυµναστικὸν ἀποδηµεῖν καὶ ἀπέσεσθαι τῶν θεραπευοµένων συχνόν, ὡς οἴοιτο, χρόνον, µὴ µνηµονεύσειν οἰηθέντα τὰ προσταχθέντα τοὺς γυµναζοµένους ἢ τοὺς κάµνοντας, ὑποµνήµατα γράφειν ἂν ἐθέλειν αὐτοῖς. (Pl. Plt. 295b10-c5) Epicurus is often described in modern handbooks as “the most prolific of all writers.” The truth is that he made a fetish of brevity, as befitted an educator. (De Witt 1954, 120)

Vedremo più avanti che nell’attività esegetico-filologica esercitata sui testi di scuola da Aristotele prima e poi dai suoi allievi rientrano certamente compendi di vario tipo (vd. Cap. 4, 1.):1

in termini di pura tipologia, si può dire con relativa sicurezza che non fu Epicuro il primus inventor dell’epitome filosofica. Più verosimile è invece che sia stato lui a definirne esplicitamente scopi e requisiti formali, per trasformarla in una sorta di scrittura ‘istituzionale’ congenere al Κῆπος come a nessun’altra scuola filosofica antica. La letteratura isagogico-compendiaria precedente o contemporanea a Epicuro, quella del Peripato, appunto, e della prima Stoà (vd. Cap. 4, 2), quando non volta all’archiviazione di informazioni piuttosto che alla loro trasmissione (e mi riferisco qui in particolare alla scuola di Aristotele), si lega – per quanto se ne inferisce da fonti meno frammentarie ma più tarde come Musonio Rufo ed Epitteto – al contesto con- creto della δίδαξις, cioè nasce e trova impiego alla presenza del maestro, oppure la ri- chiede in fase d’introduzione o di commento/esegesi al testo.2

Epicuro inaugura una tradizione nuova. Che sia isagoge, epitome o entrambe in una, il compendio viene a ricoprire nel Κῆπος un ruolo paideutico preciso che è commisurato in prima istanza, benché non unicamente, alla formazione del κατασκευαζόµενος, e più ancora ad una prassi d’insegnamento che intende superare l’ostacolo della distanza spaziale senza che il messaggio perda di efficacia (tra gli stoici sarà poi soprattutto Seneca a racco- glierne l’esempio). A fronte dell’interesse scientifico-tassonomico proprio del Peripato, e del principio stoico di autonomia dottrinale (cf. Sen. ep. 33,4: non sumus sub rege), trovano posto nei compendi epicurei le istanze centripete dell’appartenenza alla co-

munità, fondata e rinsaldata attraverso il mezzo esteriore dell’epistola, e dell’integrità dottrinaria, garantita, come in una ‘legge fondamentale’, dai caratteri comunicativi di

brevità, accessibilità, pregnanza. _____________

1

Un precedente ancora più antico individua Betz 1995, 76 n. 538 negli ἀκούσµατα pitagorici (cf. Cap. 3 n. 30).

2