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Definizione di Kompendienliteratur

1. Oggetto

1.1. Definizione di Kompendienliteratur

Il termine Kompendienliteratur vuole qui comprendere un complesso in realtà etero- geneo di fenomeni letterari. Gli usi latini ad esso sottesi, compendium/compendii face-

re o mittere/ponere in compendium definiscono propriamente l’atto di “risparmiarsi” o

“evitare” un’azione che richieda altrimenti dispendio notevole di energia o denaro.

Compendium è quindi, in primo luogo, un “guadagno”, un’“acquisizione” che reca van-

taggio.1

Non stupisce che in diversi frangenti (caso esemplare: la tradizione dell’opera di Livio)2

l’uso del termine sia riservato soprattutto a quegli scritti che perlomeno promettono di dispensare il lettore dalla lettura del relativo opus maius, finendo so- vente per sostituirlo nelle dinamiche di ricezione e tradizione.3

Non è da escludersi, d’altronde, che l’idea di “vantaggio, guadagno” possa essere confluita nell’accezione traslata di “via (in senso concreto) più breve”, cioè vantaggiosa riguardo a tempo e sforzo compiuto e quindi, in ambito letterario, di “esposizione succinta”, la cui utilità dipende innanzitutto dalla sua brevità.4

In questa sede intendo servirmi del termine come denominazione semanticamente ampia. Così inteso, il concetto di Kompendien-

literatur può essere in linea di principio esteso a qualunque tipo di testo che tenda a

riprodurre in maniera più breve un certo contenuto di pensiero, sia esso fissato per iscritto oppure no. Dico più breve, e non semplicemente breve, perché la sola brevitas (esplicitamente dichiarata dall’autore o direttamente perseguita nella prassi) in quan- to parametro esterno non costituisce condizione sufficiente a qualificare univocamen- _____________ 1 Cf. OLD s.v., p. 374; Galdi 1922, 18-20. 2 Vd. Klotz 1913; Chaplin 2010. 3

Cf. Dammig 1957, 29; Mülke 2010; van Rossum-Steenbeek 1998, xiii. 31. 74 sulla funzione analoga at- tribuibile alle raccolte alfabetiche di ὑποθέσεις narrative di testi drammatici.

4

te un testo come ‘compendiario’.5

Ciò che contraddistingue il compendio, nell’accezione che propongo, è innanzitutto un dato comparativo: il compendio rap- presenta, indipendentemente dal carattere della sua fonte, la versione abbreviata di un discorso che lo precede, cioè si riferisce a una forma preesistente di comunicazione o di conservazione d’informazioni dalla quale viene a differenziarsi, a sua volta, attra- verso un procedimento di condensazione che può assumere caratteri variabili.6

Per ‘discorso’ si intenderà qui un complesso d’informazioni sia scritte sia, più in generale, stabilitesi e riconosciute comunemente come un sapere coerente.

Su questa distinzione si fonda in sostanza, indipendentemente dalla terminologia – cui sarà dedicato il capitolo seguente – la classificazione adottata da Opelt, che rico- nosce, servendosi dei termini già fissati da Bott,7

due principali sorte di scritto com- pendiario: (1) l’epitoma rei tractatae, che riassume un insieme di informazioni attin- gendo a una molteplicità di fonti, fissate o no per iscritto; (2) l’epitoma auctoris, tratta dall’opera scritta (può trattarsi, in tal caso, di un testo singolo o di più testi) di un uni- co autore. Lo schema resta comprensibilmente suscettibile di eccezioni e ampliamenti nell’uno o nell’altro senso: non mancano casi di occasionale contaminazione della Re-

duktionsvorlage con altre fonti.8

Si aggiunge a queste l’Epitome aus dem eigenen Werk9

(‘autoepitome’, nella terminologia di Galdi),10

la riduzione alla quale l’autore stesso sottopone una o più opere proprie. La maggioranza delle attestazioni è qui limitata al- la mera menzione del titolo (sappiamo per via indiretta che Aristotele e Teofrasto pre- cedettero certamente Epicuro nella redazione di autoepitomi: vd. Cap. 2, 3.1; Cap. 4, 1),11

e soltanto di rado l’evidenza lascia spazio a un confronto diretto tra testo-fonte e testo derivato.12

È questo il caso di Lattanzio (ca. 240-320 d.C.), che redige, non senza riserve, un’epitome delle Divinae institutiones su richiesta di un frater Pentadius,13

di Galeno, che indugia in più di un’occasione sui motivi che lo spingono rielaborare in questo modo le sue opere,14

di Oribasio (ca. 320-400 d.C.), che riassume i 70 libri delle

_____________

5

Cf. Fögen 2009, 30.

6

Cf. Dubischar 2010, 40; van Rossum-Steenbeek 1998, 157 n. 1; Rahn 1994, 1317. Verarbeitungstext e

texte second sono le definizioni (rispettivamente di Wienold e di Foucault) citate da Dubischar 2010, 42;

cf. anche Dammig 1957, 30. Suski 2017 insiste giustamente, prendendo ad esempio la storiografia roma- na, sull’autonomia compositiva dell’epitome rispetto alla fonte e, di conseguenza, sulla discutibilità me- todologica di una ricostruzione ‘a ritroso’ di quest’ultima a partire dalla versione condensata.

7 Bott 1920, 6-9. 8 Opelt 1962, 962. 9 Opelt 1962, 957. 10

Galdi 1922, 257; cf. Mülke 2010, 84-85; Dubischar 2016, 429-430.

11

L’Ἐκλογὴ ἀνατοµῶν di Aristotele potrebbe ben corrispondere ad un Selbstauszug: cf. Gigon 1987, 502; di Teofrasto si vedano i titoli in n. 68. Nei decenni che immediatamente seguirono la morte di Epi- curo, anche Crisippo pare aver composto autoepitomi (D.L. 7,191): Ἐπιτοµὴ περὶ ἐρωτήσεως καὶ πεύσεως α´, Ἐπιτοµὴ περὶ ἀποκρίσεως α´, rispettivamente derivate dai due trattati Περὶ ἐρωτήσεως (in 2 libri) e Περὶ πεύσεως (in quattro libri) e dal Περὶ ἀποκρίσεως (in quattro libri).

12

Cf. Galdi 1922, 257-271; Opelt 1962, 957-958; Woodman 1975, 286 n. 5; Dubischar 2016, 429-430.

13

Vd. Dammig 1957, 32-33.

14

Sulle Kurzfassungen redatte da Galeno soprattutto in funzione isagogica vd. Boudon 1994; Oser- Grote 1998; Curtis 2009.

Collectiones medicae nei due scritti Ad Eunapium e Ad Eustathium filium.15

È ragionevo- le pensare che l’autoepitomazione consista, perlomeno in linea di principio, in una rielaborazione originale: un’(auto)compilazione avrebbe poco senso per qualsiasi au- tore. Lattanzio, ad esempio, non si limita ad abbreviare l’opera maggiore – il che ci si potrebbe attendere da mano esterna – ma si spinge ben oltre e affida all’epitome una revisione delle posizioni teologiche e filosofiche sostenute nelle Institutiones.16

Vale lo stesso, variatis variandis, per le autoepitomi di Galeno.17

L’autoepitomazione si confi- gura piuttosto come operazione subordinata a un piano di ricontestualizzazione del materiale secondo uno scopo specifico.18

Un esempio ulteriore è ancora l’Ἐγχειρίδιον Ἐπικτήτου, che può considerarsi come un’autoepitome arrianea (vd. Cap. 4, 2.3): per quanto Simplicio dica ἐπιλέξασθαι per descrivere la rielaborazione dalle Διατριβαί, e anche considerando che il confronto con le Diatribe è limitato alla metà dell’opera (si conservano soltanto quattro di otto libri), resta vero che “verbatim quotations from the Diatribes in the Encheiridion are few and far between”.19

Ritornerò su queste consi- derazioni nel Cap. 6, quando si tratterà di definire il rapporto tra il trattato di Epicuro Περὶ φύσεως e i compendi che ad esso si associano.