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Amarelli: il museo aziendale 4

3. La ricerca relativa alle aziende familiari AIdAF: i casi di studio 3

3.1. Amarelli: il museo aziendale 4

Amarelli è un’azienda calabrese nota in tutta Italia e Europa per la produzione e la commercializzazione della liquirizia e dei suoi derivati. Prodotto tipico della costa ionica calabrese - tanto che l’Enciclopedia Britannica la definisce la migliore del mondo - la liquirizia Amarelli ha diffuso nel mercato globale l’immagine di una Calabria produttiva e capace di valorizzare le sue risorse naturali.

Coniugando sapientemente artigianalità derivante dalla tradizione e tecnologia avanzata, i prodotti di questa azienda sono apprezzati e esportati in tutta Europa, nelle Americhe e in Oceania.

Fattori di successo sono l’accurata selezione della materia prima, la costante attenzione alla qualità del prodotto finito e l’elegante presentazione in scatolette di metallo che riproducono antiche immagini tratte dagli archivi della casa.

Non solo l’azienda, ma anche i collaboratori si tramandano di padre in figlio la propria cultura specifica che ha il suo apice nella figura del “mastro liquiriziaio”.

Poco più di trenta persone vivono con passione l’appartenenza alla “famiglia allargata” aziendale e hanno visto esaltato il loro ruolo e l’impegno professionale profuso con certificazione di qualità, oggi aggiornata alle più recenti procedure dell’ISO 9001/2000.

Quella degli Amarelli è una delle più antiche famiglie imprenditoriali italiane: le origini dell’azienda risalgono infatti al lontano 1731. Già dall’alto medioevo la famiglia era una delle più in vista del territorio calabrese e nel corso del tempo ha sempre giocato un ruolo di primo piano nelle vicende storiche che si sono susseguite (ci sono documenti che attestano che uno dei suoi esponenti partecipò alle Crociate).

3 Il presente capitolo è stato curato da Stefania Bertolini, ISVI.

Alle origini dell’iniziativa

Nel corso del XVIII secolo gli Amarelli, che già commercializzavano le radici di liquirizia, sono tra i pionieri dell’attività di lavorazione di questa pianta spontanea della costa ionica calabrese, di cui erano già note le proprietà terapeutiche e curative.

L’Ottocento è un secolo di prosperità per la fiorente industria tanto che si contano quasi 80 produttori, per lo più proprietari sulle cui terre sorgevano gli arbusti, che si integrano a valle partendo dalla fase di raccolta delle radici. L’impatto economico e sociale di questa attività sull’economia calabrese e del Regno di Napoli era allora di tutto rilievo.

Con l’unità d’Italia e con il venir meno della politica protezionistica nei confronti della liquirizia portata avanti dai Borboni, il settore inizia un lungo periodo di forte crisi anche per effetto di altri fattori:

− l’obsolescenza tecnologica del processo produttivo, rimasto sostanzialmente inalterato dalle origini, in particolare per i produttori marginali;

− la concorrenza di prodotti surrogati a basso prezzo sia italiani che stranieri; − i due conflitti mondiali che sconvolgono l’Europa.

All’inizio del secondo dopoguerra non rimangono pertanto in Calabria che 3-4 produttori, tra cui Amarelli. Il forte legame tra liquirizia e terra di Calabria rischia così di perdersi, fagocitato dal progresso tecnologico e dai processi di globalizzazione.

Nei primi anni Ottanta Giorgio Amarelli, esponente della nona generazione della famiglia, e la cognata Pina Mengano, moglie del fratello Franco, iniziano a pensare alla creazione di un “Museo della liquirizia”.

Il progetto vuole essere un tributo della famiglia Amarelli a un territorio e a un popolo che le hanno permesso di ottenere successo e visibilità, nonché un tentativo di conservare e tramandare nel tempo usanze e tradizioni altrimenti a rischio. Secondariamente, con l’iniziativa si punta a raccontare una plurisecolare esperienza di una famiglia imprenditoriale di successo.

Il progetto ha avuto una gestazione piuttosto lenta, anche perché frenato dalla repentina morte, nel 1986, di Giorgio Amarelli.

Nonostante la scomparsa del cognato l’abbia costretta ad aumentare il suo coinvolgimento diretto nella gestione operativa dell’azienda, Pina Mengano, insieme a Franco Amarelli, ha continuato con dedizione l’impegno nella realizzazione del sogno del cognato che si compirà il 21 luglio 2001. Fino alla sua morte, nel 1990, il patriarca della Famiglia Barone Giuseppe Amarelli, ha seguito personalmente la selezione e la catalogazione dei macchinari. La lettura e la scelta dei documenti sono appannaggio di Franco, mentre i cugini contribuiscono con materiali diversi.

Affianco al Museo, il Licorice shop favorisce il marketing sia con la vendita diretta sia con il suo ruolo di “vetrina” elegante e esaustiva del mondo della liquirizia.

Contemporaneamente, il percorso di visita evidenzia oggetti tipici dell’evoluzione della famiglia e dell’impresa nel corso del tempo. Tra essi possiamo ricordare: abiti sontuosi utilizzati nei fastosi ricevimenti; foto di famiglia, simbolo della forte unità patriarcale che caratterizzava socialmente questo lembo d’Italia; scatolette di liquirizia di ogni tipo, comprese quelle dei concorrenti (il Museo non vuole essere infatti esclusivo dell’azienda Amarelli); ricostruzione fedele del primo ufficio e dei documenti attestanti l’internazionalizzazione del mercato; fotografie delle fasi di lavorazione del prodotto; biografie di antenati illustri; testimonianze di vita politica e sociale locale degli ultimi 200 anni. Tutto il percorso didattico è accompagnato da precise e dettagliate descrizioni che forniscono al visitatore uno sguardo d’assieme.

Dice al proposito Franco Amarelli: “Non è solo l’orgoglio di una famiglia in mostra, ma è la famiglia che utilizza il magazzino della memoria per ricostruire la storia di una terra”.

Attualmente, il Museo necessita l’impiego di sei addetti: una persona dedita alle prenotazioni delle visite, due laureate in Beni Culturali che svolgono visite guidate (l’opzione aperta a tutti è molto gradita alle comitive scolastiche), tre venditori allo shop annesso.

I visitatori (la visita è gratuita e è sempre guidata) sono stati 15.000 nel primo anno e, crescendoin maniera esponenziale, sono arrivati a 35.000 nel 2004.

Circa i termini economici c’è da rilevare che l’investimento iniziale è stato fatto dall’azienda (e quindi dalla famiglia Amarelli), mentre le risorse per il mantenimento provengono dal punto vendita annesso e dal Museum Café.

La famiglia segue personalmente il Museo con Pina e Franco e con il nipote Fortunato.

I benefici per gli stakeholder

Il risalto nazionale dell’iniziativa genera un certo indotto economico a livello locale, in particolare per gli operatori turistici che inseriscono il Museo nelle gite organizzate in tutta la Calabria. Anche i negozi e le altre aziende locali beneficiano di un incremento della propria attività grazie alla crescita del flusso turistico.

Non misurabile, ma altrettanto evidente, è la possibilità per il territorio calabrese di conservare e rinverdire una memoria del proprio passato economico e sociale.

Le visite scolastiche vengono accuratamente programmate, con un progetto annuale inviato ai Dirigenti delle scuole di ogni ordine e grado e con un rapporto costante con l’Ufficio Scolastico Regionale.

I benefici per l’impresa

In soli quattro anni di vita, il Museo ha avuto un notevole impatto sulle performance economiche e soprattutto sociali dell’azienda.

Anche il punto di vendita aziendale ha visto impennare il proprio fatturato. Prima dell’apertura del Museo, era strutturato come semplice spaccio aziendale e vendeva poche migliaia di lire al giorno. Oggi, viceversa, ha notevolmente ampliato l’offerta proponendo non soltanto liquirizia ma anche oggettistica legata al Museo stesso (souvenir, libri, ecc.). L’ampliamento dell’offerta e la crescita del flusso di visitatori (come si è già detto, 35.000 nel 2004) ha portato il fatturato dello shop a dimensionarsi nell’ordine di circa un milione di euro.

Grazie al ritorno d’immagine dell’iniziativa, anche il fatturato complessivo dell’azienda è più che raddoppiato nel giro di tre anni (tre miliardi di lire nel 2000, circa quattro milioni di euro nel 2004). I ritorni di immagine derivanti da questa iniziativa, pur se difficilmente misurabili, sono stati importanti. L’iniziativa del Museo ha portato la famiglia Amarelli a incrementare la già ottima visibilità attraverso una serie di riconoscimenti:

− il riconoscimento nel novembre 2001 del Premio Guggenheim con la motivazione: “.. impegno di valorizzazione della cultura d’impresa nel Mezzogiorno, legando prospettive di successo e coinvolgendo nella crescita gli attori sociali locali. Parte integrante di un processo di

riqualificazione funzionale, il Museo comunica la filosofia dell’azienda calabrese…Attraverso il Museo, Amarelli racconta una storia d’impresa unica e singolare e trasmette i propri valori e la propria immagine di qualità”;

− l’attribuzione a Pina Amarelli il 2 giugno 2003 del titolo di Ufficiale della Repubblica;

− la nomina della stessa a Presidente del Club degli Hénokiens, imprese familiari bicentenarie di tutto il mondo, dal 2002 a tutt’oggi;

− l’emissione nel 2004 di un francobollo - e della relativa cartolina postale - celebrativo dell’azienda e inserito nelle serie “Il patrimonio artistico e culturale dell’Italia”;

− la pubblicazione nel 2004 di un volume dedicato a Pina Amarelli.

Le ipotesi di evoluzione

Il grande successo del Museo ha spinto Pina Amarelli a rilanciare l’impegno della famiglia e dell’azienda nel campo. I progetti per il futuro immediato sono:

− raddoppio della superficie espositiva (per arrivare a mille metri quadrati);

− costruzione di un orto botanico capace di raccontare l’intera vita di un’azienda agricola completa (produzione dell’olio, del vino, della liquirizia, ecc.) mostrando anche le modalità di coltivazione di tutte le essenze mediterranee prodotte in Calabria;

− costituzione di una fondazione che gestisca il Museo, oggi in carico all’azienda;