Tra i gusti, quello dell'amaro é forse il meno studiato e con aspetti an-che curiosi, perché questo sapore é al tempo stesso sgradito e gradito.
Per esperienze personali sappia-mo che le piante producono una grande varietà di composti dal sapore amaro come meccanismo di protezione contro i predatori.
L’abilità dell’uomo a riconosce-re basse concentrazioni dei composti amari, spesso molto tossici, rappresenta un importante meccanismo di adatta-mento evolutivo che ne limita il con-sumo, determinando nell’individuo ri-sposte di rifiuto e reiezione. Si tratta di amminoacidi, peptidi, polifenoli,
iso-il chinino, isotiocianati, acidi grassi ecc.
Al contrario alcune classi di composti amari agiscono invece come antibatterici e, o antiossidanti, per e-sempio quelli presenti nel te, caffè, al-cuni frutti, agrumi e cioccolato, tutti composti di grande beneficio per la sa-lute dell’uomo.
Fa parte anche della esperienza comune che il sapore amaro é evitato e non gradito dai giovani e che il piacere dell'amaro aumenta nella età matura, anche se sembra diminuire nella vec-chiaia.
Il sapore amaro, uno dei sei sa-pori fondamentali, é percepito dai
bot-le della lingua e di altre parti della boc-ca. É stimolato, a varie intensità, da molte specie chimiche differenti e la sua intensità é misurata su una scala arbitraria, che prende il chinino come riferimento, e non é un caso che un tempo si diceva amaro come il chinino.
Non tutti apprezzano il gusto amaro con la stessa intensità e il ruolo fisiologico della variabilità individuale di questa sensibilità gustativa potrebbe essere ricondotta a meccanismi di adat-tamento evolutivo di fronte a specifiche condizioni ambientali nel riconoscere sostanze potenzialmente dannose o ne-cessarie per le funzioni corporee.
Se un’esperienza ci lascia l’amaro in bocca, di certo non è positi-va e ci evita di mangiare cibi contenen-ti sostanze tossiche. Come mai allora la selezione naturale non ha eliminato persone insensibili a certi gusti amari?
Perché in talune condizioni questo gu-sto diviene piacevole?
Una ricerca pubblicata su Mole-cular Biology Evolution conferma che avere i recettori per il gusto amaro è vantaggioso per lo sviluppo della no-stra specie, non perché collegato al ci-bo, ma a una più efficiente risposta immunitaria o a un metabolismo più at-tivo. Infatti i recettori del gusto non si trovano solo sulla lingua, ma sparsi an-che in altri organi del corpo, dove svolgono differenti funzioni fisiologi-che.
Senza entrare in più dettagliati e complicati aspetti dei ricettori del gusto amaro e delle vie nervose interessate alla sua percezione e elaborazione sen-sitiva e mentale, bisogna ricordare che il gusto è il fattore che maggiormente influenza la scelta dei cibi.
In ogni individuo, la percezione dei sapori fondamentali e tra questi l'amaro, è legata anche a fattori geneti-ci.
Le correlazioni tra gusto e gene-tica sono un tema di ricerca molto mo-derno, che può far conoscere meglio anche l'origine e il mantenimento di tradizioni e culture alimentari.
Elementi base della cucina di un territorio e di un popolo, e la tipologia delle loro cucine, tendenzialmente dol-ce, salata, agrodoldol-ce, piccante ecc., si trovano spesso delimitati in areali ben precisi e non sono solo condizionati, come spesso si crede o si dice, dal cli-ma.
Ad esempio, l'introduzione in I-talia della melanzana, dal gusto amaro, in che modo ha avuto un successo ini-ziale solo in alcune aree e in particolare presso gli ebrei? Solo casualmente o anche per motivi genetici?
In modo analogo per altri ali-menti di gusto amaro e soprattutto il te, caffè e cioccolato.
Il peperoncino piccante, elemen-to che caratterizza diverse cucine dell'Italia meridionale, è apprezzato in aree relativamente ristrette e pone al-cuni interrogativi.
Una volta introdotto nella ali-mentazione, il peperoncino è stato ac-cettato solo dai calabresi perché geneti-camente predisposti ad apprezzarlo?
Che dire delle coltivazioni che le popolazioni in millenni di storia agrico-la hanno selezionato?
Abbiamo scelto, e quindi colti-vato, ciò che meglio cresceva nelle no-stre terre e ci siamo adeguati a man-giarlo, o abbiamo selezionato ciò che eravamo predisposti ad apprezzare?
Perché alcune cucine sono parti-colarmente dolci e altre meno?
È solo tradizione, spesso legata ai metodi di conservazione degli ali-menti, o esiste una componente biolo-gica in grado di spiegare almeno in par-te la diversa capacità di percepire i vari sapori?
Usando particolari test di perce-zione del gusto amaro, è possibile di-stinguere tre gruppi d’individui: quelli che hanno una percezione molto eleva-ta, quelli che percepiscono molto poco o per nulla l’amaro. Questa diversa ca-pacità percettiva è un tipico carattere genetico ereditario.
Studiando le popolazioni, si vede che la percentuale di coloro che non percepiscono il sapore amaro, secondo il test, varia da popolazione a popola-zione da un minimo del 3% nell’Africa occidentale a oltre il 40% in India. Nel-la popoNel-lazione italiana, il 30% è cNel-las- clas-sificato come incapace, mentre il 70%
percepisce bene il sapore amaro. Que-sta capacità percettiva diminuisce con l’età soprattutto nelle donne, che da adulte accettano cibi amari normalmen-te rifiutati da bambine.
Interessante é constatare che le persone più sensibili all’amaro non prediligono i cibi come le crucifere ric-chi in tiouree (cavoli, broccoli, cavolet-ti di Bruxelles, rape ecc.), quelli conte-nenti caffeina, chinino, isoumuloni (a-maro della birra), naringina (pompel-mi). Sono inoltre più sensibili alla per-cezione del piccante (irritante per effet-to di sostanze quali la capsaicina del chili, la piperina del pepe nero, e lo
zingerone presente nel ginger) e del grasso (distinguono meglio rispetto ai non sensibili al gusto amaro tra insalate con il 40% e il 10% di grassi) per una maggiore presenza di terminazioni del nervo trigemino sulla lingua e nel cavo orale.
La capacità di percepire l’amaro ha sicuramente delle implicazioni e conseguenze positive e negative.
In passato ha comportato sicu-ramente un importante vantaggio selet-tivo permettendo di evitare l’ingestione di cibi amari che spesso in natura sono tossici o velenosi.
Porta a eliminare dalla dieta cibi come le crucifere che, se introdotti in consistenti quantità, interagiscono con il metabolismo dello iodio producendo gozzo, una grave malattia della tiroide e a riprova di questa ipotesi va ricorda-to che i deficit tiroidei sono rari tra co-loro che sono sensibili al sapore amaro.
Tra i fattori negativi, induce a preferire diete povere in frutta e vege-tali, che può tradursi in una ridotta pre-venzione di tumori, specie quelli inte-stinali.
L'apprezzamento del gusto dell'amaro in media si associa a una massa corporea inferiore (un vantaggio in condizioni di scarsa disponibilità a-limentare) e comporta un numero per-centualmente inferiore di carie.
Se il gusto amaro é un gusto più apprezzato dagli adulti, molti se non moltissimi sono i suoi lati oscuri e gli aspetti misteriosi che attendono d'esse-re indagati e chiariti.