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CUCINA DEI MONASTERI

Cucina dei monasteri, un mito antico che si perpetua.

Antico, quando il popolo medie-vale immaginava i monasteri come il luogo dove il cibo non mancava, e ave-va ragione.

Mito moderno, di chi ritiene che la cucina dei monasteri, durante il me-dioevo, sia stata se non l'unica, la prin-cipale via di conservazione delle tradi-zioni della cucina antica, dimenticando il ruolo della cucina nobile, ad esempio descritta nei ricettari attribuiti a Federi-co II, e la cucina della nascente bor-ghesia.

Un mito, perché i monasteri non sono gli eremiti, i cenobiti e i conventi e non é possibile identificare un'unica cucina per comunità religiose diverse anche per regole, e con cucine che cambiano con i luoghi e si modificano nel corso dei molti secoli del medioe-vo.

Un mito perché poco sappiamo di queste cucine, lasciando ampio spa-zio all'immaginaspa-zione che si può co-struire su singoli documenti.

Un fatto é abbastanza chiaro, quello che il rapporto dei monaci con il

nerazioni dottrinali, ha rigidi regola-menti.

Secondo i valori simbolici cri-stiani, il convento é il luogo dove il piacere alimentare cede alla regola che la ricerca della perfezione spirituale passa attraverso una stretta disciplina alimentare, ridotta al minimo, nella quale il cibarsi arriva alla negazione, con le astinenze e i digiuni per mortifi-care il corpo e innalzare lo spirito.

Non manca tuttavia chi ricorda che il Signore pretende misericordia e non sacrificio, come tramanda un me-moriale scritto l’1 agosto 1246 nella Legenda Trium Sociorumm.

”Avvenne che una notte dor-mendo li frati, gridò forte uno delli fra-ti e disse: Io muoio di fame. Et Levan-dosi il beato Francesco subito fè porre la mensa, et come huomo di charità et discrezione mangiò con lui, acciocchè lui non si vergognasse mangiar solo, et di sua volontà. Et etiandio tutti gli altri mangiarono. Et poiché hebbero man-giato, disse il beato Francesco ai frati:

Frati miei, cosi dico a voi, che ciascu-no consideri sua natura et dia al suo corpo la necessità sua acciocchè possa

perchio mangiare, che ne noce al cor-po et all’anima, noi siamo tenuti a guardare; cosi etiandio dalla soper-chia astinentia; perciochè il Signore vuole la misericordia et non il sacrifi-cio”.

Diversi sono i motivi per ritenere che la cucina italiana e europea, e le regole della tavola, hanno una non se-condaria origine nei monasteri e nelle abbazie medioevali dove ospitano le prime comunità che hanno anche una la funzione di ospedale e di ricovero e in questa prospettiva si occupano del sen-so e dello scopo dei cibi.

Al modello culturale barbarico di cibi, cucine e tavola ricche, abbondanti e con uno sfarzo che deve magnificare la ricchezza e la potenza del signore e della sua casata, si contrappone quello religioso della privazione alimentare.

Privazione non é assenza, ma vo-lontaria astensione di ciò che si possie-de.

Per questo, non é un paradosso che il mondo monastico ha grande at-tenzione al cibo, alla sua produzione e reperimento, a un’oculata organizza-zione e gestione del regime alimentare e la privazione presuppone la disponi-bilità dei beni di cui privarsi, con la lo-ro destinazione ad altri fini e soprattut-to diventando un mezzo di dominio del proprio corpo e delle sue passioni.

Scopo della rinuncia al cibo, il più semplice ed immediato, é la morti-ficazione del corpo che, con la sua ma-terialità, ostacola l’elevazione dello spirito verso Dio.

Senza dubbio importante é la cu-cina dei monasteri medievali, e la rela-tiva educazione alla tavola, perché si occupano del senso e dello scopo dei cibi e della loro funzione salutare,

svolgendo anche funzioni di ospedale e di ricovero, fornendo assistenza, consi-glio e aiuto ai poveri, ai viandanti e ai malati.

Per questo i monasteri in tutte le loro forme hanno dispense ben fornite dalle proprietà terriere e dalle decime e tributi che sono loro pagati.

Inoltre i monasteri hanno conti-nui rapporti con le famiglie nobili nelle quali eredita solo il primogenito e gli altri spesso entrano nella vita monasti-ca, dove sono rallegrati anche con il ci-bo.

Nei monasteri la nobiltà fornisce abati e badesse, mentre la cura dei campi, delle cantine e delle stalle é dei monaci e delle monache che provvedo-no a cucinare con ricette e indicazioni dietetiche trasmesse oralmente o tra-scritte da vecchi manoscritti.

Nascono così le prime raccolte di ricette, o meglio brevi appunti, op-pure lettere, con testi non sempre fa-cilmente comprensibili e interpretabili.

I monasteri, nei loro ricoveri e ospizi, dovendo dedicarsi anche alla cura degli ammalati, hanno sempre una sia pur piccola farmacia dove conser-vano spezie esotiche e erbe medicinali locali, coltivate nell'orto e nell'erbario del monastero o convento.

Attraverso i monasteri, le erbe aromatiche e le conoscenze dei loro ef-fetti salutari entrano progressivamente nella cucina quotidiana e alla fine si crea la consuetudine di condire i cibi con queste erbe.

Alimento base dei monasteri é una pappa o polenta di farine, grani di piccoli cereali (miglio e scagliola) e le-guminose (lenticchie, fave, ceci, lupi-ni), erede della puls e delle pultes ro-mane.

In generale, tenendo anche conto dello stile di vita attiva dei monaci, che seguono il precetto ora et labora, e che non vi é un riscaldamento dei locali, la loro dieta oggi appare pesante e sostan-ziosa, il grasso e il lardo sono abbon-danti, non mancano i legumi, le verze, i cavoli e le rape, tutti ingredienti impor-tanti.

Le carni soprattutto d'animali selvatici sono alla base della cucina nobile medievale, ma nei monasteri, se non bandita è rara. Quando é presente, la carne proviene da piccoli allevamen-ti e i boschi forniscono quelli dei maiali selvatici o cinghiali ed é soprattutto

de-stinata agli ammalati e

all’alimentazione degli ospiti e pelle-grini, esonerati dalle diete ferree e di-giuni imposti dal calendario

Non mancano le carni conservate con il sale, secondo metodi già noti agli Etruschi e ai Romani. Gli insaccati più diffusi sono i cervellati che contengono cervello, fegato e interiora, spesso me-scolati a formaggio, e i prosciutti con-servati con l’affumicatura delle cappe della cucina.

Importante nella dieta dei mona-steri é il pesce, quasi esclusivamente d'acqua dolce, che ha un valore simbo-lico e é permesso nei numerosi giorni d'astinenza dalle carni, circa centocin-quanta l'anno.

Nei territori adatti alla coltiva-zione della vite, nelle cantine dei mo-naci si producono molti vini e tra questi quello da messa.

I buoni vini che si trovano sulle tavole dei monasteri finiscono anche su quelle dei benestanti, mentre nella vita quotidiana del popolo il vino é annac-quato e aspro, in parte trasformato in aceto.

Per correggere i vini difettosi non mancano quelli cotti o speziati. Il vino é considerato un alimento e com-pare nella dieta giornaliera nella misura anche di uno, due e più litri a testa.

Raramente in Italia, ma quasi sempre nell'Europa centrale e setten-trionale più che vino i monasteri pro-ducono birra e sidro.

Nei monasteri, nelle occasioni importanti il pane é arricchito con frut-ta secca, miele e anche spezie, in quan-to la cucina medievale predilige il gu-sto dolce-salato e piccante.

Una tradizione che dà origine ai dolce al miele, il pane di pere, ai dolce di frutta e al panpepato.

Di norma i monaci mangiano due volte il giorno, ma il mercoledì e venerdì una sola volta. A questa restri-zione di parziale digiuno si accompa-gnano anche le restrizioni qualitative dei cibi, prima tra tutte quella della carne.

Il digiuno si estende anche a in-teri periodi dell’anno: la Quaresima, la seconda metà di Settembre (digiuno regularis) e l’Avvento.

In alcuni periodi dell’anno come Natale, Pasqua e la Pentecoste, i mona-ci ricevono un maggior numero di piat-ti.

Tutte queste restrizioni, riguar-davano soltanto i monaci, ma non é che i contadini e la popolazione comune, per non parlare dei poveri, abbiano un'alimentazione buona e abbondante, e si devono accontentare di polente di piccoli cereali e leguminose, rape, ca-voli e altri vegetali cotti nell'acqua e pane.

Il pane é di mistura, una focaccia di farina integrale macinata grossola-namente di farro, segale, orzo, avena e

mangiata solo a volte con il latte, for-maggio o uova.

Le fette di pane sono utilizzate anche come una specie di piatto per pietanze e per assorbire i cibi liquidi.

Le feste sono celebrate anche a tavola e in un monastero un menù del XII secolo vede come primi piatti pap-pa di miglio, brodo speziato con verdu-re, zuppa di uccelli con zenzero, noce moscata e pepe. Seguono le carni con lombo di cervo, fagiano di monte, per-nici, tortore con prugne arrosto e i pe-sci con lamprede, temoli e luccio con chiodi di garofano, cannella e brodo al pepe. Infine mele cotogne con miele, melone con menta, vino e pepe.

Nei monasteri e conventi il cibo é consumato in comune, nel refettorio, una sala riservata allo scopo, in silenzio e spesso ascoltando una lettura edifi-cante, con funzione di ricordare i pre-cetti spirituali, dietetici e comporta-mentali connessi al cibo. Un ambiente non di rado decorato con affreschi in tema con il cibo, l'Ultima Cena evange-lica in primo luogo.

Durante il medioevo e anche successivamente, i monasteri sono luo-go di scambio di informazioni e di con-tatto tra classi aristocratiche e popolari,

anche per quanto riguarda il cibo e la cucina.

In questi luoghi d'innalzamento dello spirito e di digiuni, sono stati tra-scritti e conservati libri di medici a che trattano anche di cucina, perché il cibo é visto soprattutto nei suoi aspetti salu-tistici curativi e preventivi.

Attraverso i rapporti tra religiosi e popolani, tra coloro che lavorano nel-le abbazie e nei monasteri e coloro che li conducono, nei ceti popolari inizia a farsi strada la cultura del cibo e delle ricette, un termine comune alla medici-na e alla cucimedici-na.

In questo modo si spiega la dif-fusione tra il popolo, poco incline alla lavorazione delle pietanze, di comples-si piatti dei giorni di festa.

Sono i frati e le monache che forniscono le ricette, i monaci raccol-gono e scrivono le semplici ricette che dei contadini e dei popolani facevano.

Pur senza enfatizzare il ruolo della cucina dei monasteri, le molte condizioni ora accennate, portano a credere anzi ad affermare che la cucina dei cibi e la relativa educazione a tavo-la hanno avuto un importante impulso tra le mura dei monasteri e delle abba-zie.