Salame all’aglio mantovano o salsiccia piccante di diverse regioni dell’Italia meridionale fanno parte delle tradizioni regionali italiane, due delle più importanti aromatizzazioni salu-miere, peraltro comuni all’uso delle piante aromatiche nelle cucine italiane.
Quando inizia l’uso degli aromi nella alimentazione umana?
Diverse ricerche e continui ag-giornamenti indicano che la ricerca di sapori particolari é antica e con ogni probabilità ha radici preumana.
Anche agli animali che non han-no una cucina, infatti, piacciohan-no aromi e sapori particolari e la cosiddetta “erba gatta” (Nepeta cataria, dal profumo di menta, e la Valeriana) sono un esem-pio).
La passione gastronomica ha o-rigini lontane
Anche gli uomini preistorici so-no attenti a ciò che mettoso-no in bocca. Il cibo deve essere gustoso, gratificare il palato e allettare le papille gustative.
Molte ricette tradizionali medi-terranee, soprattutto se comprendono alimenti ritenuti pesanti, iniziano con la classica frase “preparate un battuto d’aglio e cipolla”, con aggiunta spesso d’altri odori come il timo, il rosmarino ecc.
In modo analogo molti prodotti salumieri tradizionali contengono aro-mi naturali, come l'aglio, il pepe e sen-za dimenticare la mortadella bolognese il cui nome sembra derivi da myrtatum in quanto l'impasto di carne era condito con mirto ed altre spezie.
L’aggiunta d’aromi naturali nella dieta ne accresce la digeribilità e mi-gliora la nutrizione.
Da sottolineare l’efficace azione anticolesterolica degli aromi naturali, che deve far riconsiderare non tanto la validità, quanto le motivazioni della dieta mediterranea, ricca d’aromi natu-rali, presenti sia nei piatti a base di ve-getali (dagli spaghetti all'aglio, alla pizza con l'origano), ma anche di carni preparate con aromi (cipolla, aglio, ti-mo ecc.).
Infine è da precisare che la diffu-sa credenza che taluni aromi, come la cipolla e soprattutto l'aglio, siano diffi-cili da digerire perché ci si sente addos-so il loro odore, è completamente erra-ta.
La loro permanenza non è dovu-ta a una scarsa o lendovu-ta digestione, ma al loro assorbimento e azione nei diversi organi interni, ad iniziare dal fegato.
Nel medioevo tra le spezie di cui é documentato l'uso si possono ricorda-re il pepe ed altricorda-re spezie d’origine o-rientale (cannella, chiodi di garofano, noce moscata, zenzero, comino, zaffe-rano), oppure le erbe aromatiche pro-dotte negli orti casalinghi: timo, mag-giorana, salvia, anice, rosmarino, prez-zemolo, coriandolo, ma soprattutto l'a-glio.
Sono migliaia d’anni che l'uomo usa le piante aromatiche nella sua ali-mentazione, cercandole anche nei paesi più lontani e pagando a caro prezzo, spezie, aromi o più semplicemente de-gli odori, come sono comunemente chiamati nella cucina tradizionale
a-glio, cipolla, prezzemolo e tanti altri vegetali.
Aromi nei salumi
La diffusione delle spezie nella alimentazione risponde a diverse utili-tà.
Le spezie non sono soltanto im-portanti per la conservazione delle cu-cine tradizionali, ricche di valori cultu-rali, e per avere alimenti di buon gusto, ma possono anche sostituire, almeno in parte, il sale (cloruro di sodio o sale marino). La sostituzione del sale con spezie (tipico è il caso del peperoncino) è molto utile per le persone che devono seguire una dieta povera di sale.
Molte spezie sono dotate d’interessanti attività farmaco-fisiologiche ed aiutano la digestione e l'utilizzo degli alimenti che, per questo, divengono più digeribili.
Le spezie sono spesso di origine lontana e sono prodotte in paesi dove le condizioni igieniche sono deficitarie.
Le spezie possono essere perico-lose sotto il profilo infettivo o per tos-sine prodotte da muffe che possono colpirle?
Per quanto riguarda le infezioni che le spezie possono trasmettere va detto che si tratta di un rischio preva-lentemente teorico.
Comunque in diversi paesi di produzione le spezie vengono disinfet-tate con l'uso di radiazioni ionizzanti, che non alterano le loro caratteristiche gastronomiche.
Le tossine (micotossine) presenti nelle spezie sono sotto controllo e si constata che molte spezie d'importa-zione hanno minime quantità di nume-rose micotossine, ma con le normali condizioni di uso non si raggiungono livelli di rischio.
Sono i pistacchi che hanno le maggiori contaminazioni e per questo sono sotto particolare attenzione di controllo.
Una buona conservazione delle spezie, in contenitori a perfetta tenuta, in ambienti non troppo caldi (preferi-bilmente non in cucina e soprattutto sopra la stufa o fornelli) assicura una perfetta conservazione, efficacia ga-stronomica e sicurezza alimentare.
Oltre quanto è stato dimostrato per singoli aromi o spezie, molto inte-ressanti sono le ricerche sperimentali relative alle associazioni d’aromi natu-rali (anche sotto forma d’oli essenziali, ma sempre naturali), di tipo tradiziona-le e di più largo uso nella cucina e nella preparazione di salumi, ad esempio d’aglio e cipolla o solo d’aglio, cipolla, timo e tormentilla.
Benefici effetti delle spezie e a-romi
É soltanto una questione di sapore o d’odore che si potrebbe ottenere an-che con composti artificiali, o vi è qualche cosa di diverso?
La vanillina sintetica è uguale alla vaniglia naturale?
Oggi precise indagini confermano che gli aromi artificiali non hanno le stesse caratteristiche nutrizionali di quelli naturali.
Gli aromi artificiali sono certa-mente meno utili di quelli naturali, ini-ziando dal fatto che sono sprovvisti d’azione antibiotica.
Perché l'uomo ha utilizzato nella sua alimentazione le spezie, spesso in associazione, cercandole nei paesi lon-tani e pagandole anche profumatamen-te?
Certamente perché n’aveva visto i vantaggi, oggi confermati dalla ricerca scientifica.
Un’alimentazione senza aromi na-turali ha scarso valore e quest’affermazione ha sempre maggiori conferme.
Le associazioni ora indicate, somministrate con i normali alimenti, come risulta da lavori sperimentali e da alcune recenti rassegne scientifiche, in paragone ad alimentazioni senza aromi o contenenti aromi artificiali, hanno dimostrato le seguenti attività farmaco-fisiologiche.
Regolazione della digestione;
Agevolazione dell'assorbimento dei principi nutritivi;
Riduzione della proliferazione dei batteri e delle muffe con stabilizza-zione della flora microbica del trat-to intestinale;
Influenze sul metabolismo che si svolgono attraverso: a) azione anti-ossidante; b) attività sul metaboli-smo intermedio; c) sul fegato con stimolazione del metabolismo con particolare riferimento alle sue atti-vità antitossiche; d) effetto anaboli-co; e) aumento nel sangue delle pro-teine, del glucosio, del fosforo; f) diminuzione della glicolisi muscola-re e conseguente risparmio d’energia; g) diminuzione nel san-gue del colesterolo totale e aumento del colesterolo HDL.
BALSAMICO
Balsamico e molti giustamente pensano a un particolare aceto, ma an-che a un farmaco o a un cosmetico per capelli.
L’aggettivo balsamico, si trova in àmbiti diversi, di tipo magico - reli-gioso, terapeutico, cosmetico, alimen-tare e anche come mezzo d’imbalsamazione e, non ultimo, anche in sensi figurati.
L’uso del termine balsamo e bal-samico in alimentazione é raro e relati-vamente recente, e conferisce al cibo particolare dignità a valore, com’é per l’aceto balsamico, che trae le sue origi-ni storicamente accertate dal Palazzo Ducale e di Modena e dalle case patri-zie del Ducato.
All'interno di quelli che oggi so-no definiti gli Antichi Domini Estensi si interveniva sugli aceti prodotti nelle
case per renderli più gradevoli, me-diante aromatizzazioni con droghe, li-quirizie, rosmarino, rose, vaniglia, op-pure producendoli con differenti mate-rie prime (trebbiano, moscato...) o pro-cedure, creando nei secoli una diffusa fama per gli "aceti alla modenese", di-venuti famosi.
Nei registri delle cantine del Pa-lazzo Ducale di Modena, situate a Ru-biera, compare per la prima volta nel 1747 l’aggettivo balsamico. Nel 1834 la definizione di balsamico é ulterior-mente arricchita, per cui gli aceti pre-senti a Corte sono suddivisi in aceto fi-no, mezzo balsamico e balsamico.
Nel 1862, quando avviene il pas-saggio al neonato Regno d’Italia, nel Palazzo Ducale di Modena vi sono ace-ti di otto diversi ace-tipi: fino, semibalsa-mico, quasi balsasemibalsa-mico, balsasemibalsa-mico,
no-strano, nostrano fino, nostrano ordina-rio, comune.
Per testimoniare della rarità dell’aceto balsamico, nell’acetaia dell’ultimo Duca di Modena vi sono 113 litri circa di aceto balsamico so-praffino, 300 litri circa di aceto semi-balsamico e ben 5550 litri circa di ace-to comune.,
Non va inoltre dimenticato che nel passato il carattere “balsamico” era attribuito anche alla sua produzione in botti (vascelli) di legno particolare e soprattutto ginepro, e che per un certo periodo a balsamico si accostava il termine naturale, molto probabilmente per porre l’accento che non era stato ot-tenuto con aggiunte estranee al mosto cotto.
Infatti, la denominazione di bal-samico é attribuita a un prodotto di na-turale fermentazione del mosto d’uva cotto e ne qualifica il particolare pre-gio.
Ogni cultura umana ha sviluppa-to alimenti e soprattutsviluppa-to liquidi fermen-tati, in particolare ricchi di alcole, di acido acetico o di acido lattico.
Con la fermentazione acetica si é ottenuta un’innumerevole diversità di aceti e nella cultura mediterranea so-prattutto dal succo dell’uva e dal vino.
Nell’antica Roma l’uva aveva tre destinazioni: mosto, vino e aceto.
Il primo usato come dolcificante in sostituzione del raro miele, il secon-do come bevanda inebriante e il terzo, l’aceto, come dissetante e conservante.
Gli aceti, di facile conservazio-ne, sono usati come conservati alimen-tari, mezzi di modificazione degli ali-menti, condimenti e componenti di be-vande.
L’aceto é un alimento di grande diffusione, anche e soprattutto popola-re, potendo essere ottenuto anche da vini di scarsa qualità o corrotti, e da al-tri vegetali di scarso pregio.
Nella vasta diversità degli ali-menti vegetali fermentati un posto par-ticolare ha la fermentazione del mosto di uva cotto.
Il mosto d’uva, fin dall’antichità é noto e usato come dolcificante e, per prolungare la sua conservazione, fin dal medioevo é sottoposto a un’ebollizione fino a un terzo o un quarto del volume iniziale e il concen-trato é usato anche per la conservazio-ne di altri alimenti.
Al mosto cotto potevano essere aggiunte spezie, la più comune delle quali il seme della senape, per il suo gusto piccante. Da qui la preparazione della mostarda, un termine peraltro di-scusso ma che potrebbe rifarsi a mu-stum ardens o mosto piccante.
Gli aceti sono la conseguenza di una fermentazione e quello balsamico é ottenuto da un processo che comprende due fermentazioni, seguite da una lun-ga maturazione e invecchiamento, che danno origine a modificazioni delle proprietà chimico-fisiche dell'aceto, fi-no alla formazione acidi umici, e fa-cendo raggiungere un equilibrio fra le sostanze fisse e volatili, ciò che gli as-saggiatori chiamano "armonia matura ed amalgamata" del prodotto.
La composizione finale dell'ace-to balsamico varia e dipende da vari fattori, quali il tipo di mosto, la modali-tà di cottura, la temperatura di fermen-tazione ed ossidazione, ed altri ancora.
Circa la denominazione degli a-ceti bisogna fare le seguenti distinzioni di acquisizione e uso comune.
Con l’uso della particella “di”
s’identifica l’origine della materia: ace-to di vino, aceace-to di mele, aceace-to di ba-nana ecc. ecc.
Con l’uso della particella “al”
s’indicano le aggiunte: aceto al limone, aceto al lampone, aceto al sorbo ecc).
Con indicazioni di fantasia s’indicano aceti con diverse aggiunte, ad esempio aceto dei quattro ladri (ag-giunta di spezie, aglio ecc.).
Per quanto riguarda la denomi-nazione di aceto balsamico bisogna ri-levare che il comune sentire del pub-blico, che lo riporta a un alimento
deri-vato dal mosto d’uva fermentato, con speciali caratteristiche e attività biolo-giche, organolettiche e simboliche, col-legate anche alla sua naturalità.
Per questo, la qualifica di balsa-mico, ben definita anche a livello di normativa, non ha diritto di essere usa-ta per aceti che siano susa-tati ottenuti con aggiunte che ne modificano le caratte-ristiche fisico-chimiche e organoletti-che e organoletti-che possano ingannare il consu-matore facendogli credere che il pro-dotto denominato balsamico sia stato ottenuto solo con la naturale fermenta-zione del mosto d’uva.