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EQUIVOCI GASTRONOMICI

La cucina parmigiana e non da oggi ha un’alta considerazione per la sua qualità e tipicità, ma anche di noto-rietà che le derivano ancora da alcuni equivoci che in fondo le sono giovati, almeno come popolarità.

Un equivoco antico, la torta parmesana, e un altro moderno la par-migiana di melanzana e altre verdure.

Torta parmesana.

La torta parmesane (a volte storpiata in parnesanam) è un “pezzo forte” della gastronomia medievale, già descritta in quello che può essere con-siderato il primo trattato di cucina ita-liana, il Liber di coquina della prima metà del XIII secolo (circa 1240).

Un libro che, come fa rilevare Anna Martellotti28, è evidentemente da riportare ad un programma di ricerca scientifica del grande imperatore Fede-rico II, stupor mundi.

Si tratta di una complessa e fa-stosa composizione gastronomica a ba-se di polli, carni di maiale, prosciutto, formaggio, uova ed altri alimenti, a lo-ro volta preparati e confezionati sotto forma di ravioli bianchi e verdi ed in-saccati, pasta cotta sul testo e poi bolli-ta, erbe aromatiche, mandorle, datteri, spezie, zafferano ed altro.

Il tutto serve a confezionare un pasticcio a più piani, almeno sei, ognu-no costituito da una sfoglia di pasta e da uno strato con una delle predette preparazioni: in uno strato le carni di pollo, in un altro salsicce e formaggio e via dicendo. Il tutto é infine coperto da uno strato di pasta e, dopo essere cotto tra due testi con sopra e sotto delle bra-ci, é presentato coram domino cum magna pompa.

Non si esclude che questa opu-lenta costruzione gastronomica sia stata preparata anche in qualche palazzo di Parma, ma non in misura tale da poter darle il suo nome.

Allora, in tutto questo, Parma cosa c’entra?

Dal punto di vista della gastro-nomia quasi certamente nulla, ma non per quanto interessa la forma e la strut-tura.

Infatti la costruzione di una torta rotonda a più strati ricorda la parma, il leggero scudo rotondo della cavalleria, che secondo le più recenti

28 Martellotti A. – I Ricettari di Federi-co II – Leo S. Olschki Editore, Firenze,

zioni ha contributo a dare alla città il nome che oggi ancora porta, in quanto i Romani fondando questa colonia volle-ro che fosse uno scudo contvolle-ro le popo-lazioni liguri non ancora sottomesse.

Diversamente dal pesante e ret-tangolare scudo metallico della fanteri-a, lo scudo della cavalleria era rotondo e costituito da più strati di duro cuoio, di solito ottenuto dalla pelle dei cin-ghiali, abbondanti in tutta Italia ed an-che nei territori settentrionali e parmi-giani.

È comunque indubbio che la de-nominazione di parmesana di una fa-stosa e importante preparazione gastro-nomica ha contribuito a diffondere un’idea di una cucina parmigiana d’alto livello.

Parmigiana di melanzane e altre verdure.

E cosa dire allora delle diverse parmigiane di verdure, iniziando da quella di melanzane?

Anche in questo caso l’etimologia non è facile.

La parmigiana per eccellenza è oggi quella di melanzane, ma sempre più di frequente il termine è anche rife-rito a preparazioni a base di ortaggi af-fettati e disposti come le scalette di una finestra persiana per formare strati al-ternati con altri ingredienti.

Il dizionario Devoto-Oli defini-sce il termine come segue: "cucinare alla maniera dei Parmigiani, ovverosia degli abitanti della città di Parma, vuol dire cucinare vegetali a strati".

La stessa etimologia è proposta dal "Dizionario etimologico" Cortelaz-zo-Zolli, che fa risalire la comparsa del termine parmisciana, riferito alla pie-tanza di melanzane fritte cotte al forno,

a prima del 1440 in S. Prudenziani.

I parmigiani però sanno che nel passato non vi erano ricette di parmi-giane di verdure e tanto meno di me-lanzane.

In modo più corretto, il termine parmigiana deriverebbe invece dalla parola siciliana parmiciana, con cui sono chiamate le liste di legno che compongono una finestra persiana, forma richiamata dalla disposizione a strati sovrapposti delle fette di melan-zana fritte29.

Vi é anche da dire che il termine più corretto sembra essere quello di palmigiana, riferendosi alla palma del-la mano posto a livello delle sopracci-glia per riparare la vista dai cocenti raggi del sole.

È comunque da rimarcare il fatto che in molti libri di cucina stampati tra il 1600 ed il 1800, tra i quali quelli del Corrado e del Cavalcanti, la locuzione

"alla parmigiana" è adoperata per indi-care la presenza del tipico formaggio nelle ricette, valga l'esempio delle ven-totto ricette "alla parmigiana" illustrate nel Cuoco Galante, tutte caratterizzate dalla presenza del formaggio parmigia-no.

L’assonanza tra il termine par-miciana delle finestre e quello del for-maggio parmigiano può avere agevola-to l’uso di quest’ultimo o di altri for-maggi?

Non si può escludere, soprattutto quando ha potuto valorizzare un ortag-gio, la melanzana, di dubbia se non di cattiva fama, tanto che vi era un’etimologia, oggi peraltro molto di-scussa, di malum insanum o frutto che

29 Anna Pomar - La cucina tradizionale

rende folli.

Non si dimentichi che la melanzana è una solanacea originaria del continente asiatico e introdotta in Europa probabilmente ad opera di mer-canti arabi nel basso medioevo.

Come altri vegetali appartenenti alla famiglia delle solanacee, è stata per lungo tempo accompagnata da cattiva fama e per questa ragione la sua diffu-sione in Europa ebbe inizio solo a par-tire dal XVIII secolo, periodo in cui comincia a diventare di uso comune nelle mense del popolo prima e della nobiltà poi.

A livello popolare la melanzana sarebbe entrata nelle miscele di vegeta-li delle taverne (o cauponae, bettole equivoche e di cattiva reputazione, fre-quentate anche da malfattori e prostitu-te, una circostanza di cui si è trovata traccia nei graffiti rinvenuti tra le loro rovine) presenti nei porti mediterranei, prima di tutti in quelli siciliani, dove tali miscele e dal luogo di preparazione prendevano il nome di caponata (ancor oggi caponata di melanzane).

La prima ricetta riconducibile in certa misura a quella oggi conosciuta come parmigiana è nel trattato Il Cuoco Galante di Vincenzo Corrado, autore di origine pugliese che tra il XVIII e il XIX secolo, prestò servizio nelle casate napoletane.

Nell’unica ricetta dedicata alle melanzane (petronciani o petonciani) l’autore suggerisce la possibilità di prepararle alla maniera di zucche, pa-stinache (sorta di carote) e pomodori.

Per trovare la prima ricetta delle melanzane alla parmigiana a noi fami-liare bisogna aspettare il 1837, quando Ippolito Cavalcanti duca di Buonvicino dà alle stampe la sua opera più

impor-tante, la "Cucina teorico pratica", dove per le Melanzane alla parmigiana vie-ne detto vie-nella ediziovie-ne del 1839 (ap-pendice): …e le farai friggere; e poi le disporrai in una teglia a strato a strato con il formaggio, basilico e brodo di stufato o con salsa di pomodoro; e co-perte le farai stufare.

Anche in questo caso l’uso del termine “parmigiana” o “parmigiana”

riferito al tipo di struttura a listelle del piatto, soprattutto quando viene usato del formaggio, ha favorito alla diffu-sione dell’idea di una buona cucina parmigiana.

FORCHETTA DI GALLINA, UN MITO SCOMPARSO

Parlare in punta di forchetta, mentre la Regina Margherita mangia il pollo con le dita, un animale che la na-tura ha dotato di una particolare for-chetta, occasione di un passato e ora dimenticato rito profetico, di cui ho an-tico e al tempo stesso vivo ricordo.

Una bella confusione, forse, che esige una sia pur breve spiegazione per un tipo di profezia o previsione, ora re-sa inutile dalle nuove tecnologie e dalla sempre più rara presenza in tavola di un pollo o gallina intera da sezionare e spolpare.

Il termine forchetta, diminutivo di forca, dal latino furca, indica un og-getto formato da un manico e due o più rebbi.

Usata per infilzare il cibo, l'uso in tavola della forchetta é d'origine ita-liana e relativamente recente, durante il Rinascimento.

Fino a tempi abbastanza recenti, avere a tavola le posate e in particolare la forchetta era uso delle classi abbienti e signorili.

La gente comune usava le mani, e anche quando le posate si diffusero quasi come oggi il popolo continuò a considerare l'uso delle posate un'inutile fatica, oltre che una sciocca esibizione.

Dalla tavola il concetto si estese gene-ricamente al comportamento e al lin-guaggio.

Con significato metaforico,

"buona forchetta" é una persona che consuma pasti abbondanti, mentre

"parla in punta di forchetta" indica una persona affettata e dai modi ricercati.

L'accrescitivo "forchettone" indica un pubblico dipendente che approfitta del-la sua carica per trarre illeciti profitti, ma forchetta o forcella é anche un osso.

Nel petto dei polli e degli altri uccelli, le ossa che nei mammiferi sono le clavicole si uniscono tra loro attra-verso una interclavicola, per formare l’osso a forcella, detto anche forchetta.

Un termine, quest'ultimo, che forse può anche derivare dal linguaggio della tavola, dove un tempo, con le di-ta, si praticava un rito di previsione del sesso di un nascituro, quando non esi-steva la diagnostica per immagini e so-pratutto l'ecografia.

Nel rito del passato, l’osso a for-cella, composto dalle due clavicole, u-nite insieme nella parte più caudale, era impugnato ad una delle due estremità dalla donna gravida, e all’altra estremi-tà da un'alta persona che si prestava al rito, spesso il marito.

Una terza persona esercitava una pressione sulla parte centrale, tale da spezzare l’osso in due parti.

Se il pezzo rotto con la parte terminale più lunga restava tra le mani della donna incinta si presagiva che stava per arrivare al mondo una fem-mina.

Questo perché la parte terminale dell’osso a forcella era paragonato all’indumento utilizzato dalle massaie per coprirsi dalla vita in giù durante i lavori in cucina. Per questo si esclama-va C’è rimast ‘o mantesin (gli è rima-sto il grembiule”).

La previsione terminava sempre con l’espressione Crisce sante, sane e libbere, Maronna mia (cresci santo, sa-no e libero Madonna mia) dove per li-bero s’intendeva senza malformazioni e problemi mentali.

Che poi la previsione non si av-verasse, entrava nel gioco stesso delle fatalità e comunque non scalfiva la gio-ia festività di un pranzo allietato da un pollo, una gallina o, ancor meglio, da un grasso cappone.

Un rito di scarsa se non nulla at-tendibilità, come tutti i riti analoghi, ma sempre molto piacevoli per suscita-re discorsi conviviali.

Anche nei miei ricordi d'infan-zia, siamo prima della seconda Guerra Mondiale, é ben vivo il rito della rottu-ra della forchetta della gallina o più rottu- ra-ramente del cappone, portato in tavola e sezionato da mio padre, anche con l'aiuto di un particolare, potente tipo di forbici denominate trinciapolli, neces-sarie per animali con ossa grosse e ro-buste, ben diverse da quelle degli attua-li animaattua-li.

Parlare di ossa di pollo é oggi quasi un'anomalia e pochi conoscono oggi l'anatomia dei polli e delle galline, che un tempo era ben nota e quasi una scienza degli scalchi che dominavano i banchetti rinascimentali.

Una precisa conoscenza della anatomia degli animali mangerecci fa-ceva parte delle preziose conoscenze delle donne di cucina e padrone di ca-sa, e anche dei capifamiglia che non di-sdegnavano, anzi ambivano esercitare a tavola il loro segno di comando che si esprimeva nel tagliare l'animale bollito o arrostito, facendo la giusta distribu-zione delle parti e quando a mensa vi era una coppia di familiari in attesa di un erede, era quasi un obbligo che l'os-so denominato forchetta fosse loro as-segnata per un rito divinatorio sul sesso del nascituro.

Oggi le ossa sono scomparse dalla tavola, nonostante la loro impor-tanza per dare al brodo un giusto e ap-prezzato aroma e sapore, oltre che per testimoniare la vita e quindi la qualità dell'animale.

Fu a tavola, quando nel lontano millenovecentoquarantacinque man-giammo le galline del pollaio di guerra, che scoprimmo le numerose fratture ossee di una gallina che si era fortuno-samente salvata dai bombardamenti degli alleati e che nonostante queste ci aveva regalato molte uova.

Erano però galline rustiche, di un tempo irrimediabilmente passato, e non delle attuali galline distrutte da una mostruosa produzione di uova,

mante-nute sempre in gabbia!