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TIGELLE E LASAGNE DI FEDERICO II

Le tigelle, o più precisamente le crescentine cotte tra due tigelle, sono ritenute una tipica preparazione povera della montagna modenese, come ben dimostra anche la recente pubblicazio-ne di Sandro Bellei intitolata La Divina Tigella & altre delizie della Tradizione

(Edizioni CDL, Finale Emilia, Modena, 2005). Od almeno così pare, poiché le tigelle non compaiono nei ricettari bor-ghesi o nobili del passato, un’assenza che tuttavia oggi è sfatata da un ritro-vamento bibliografico che dà alle

tigel-le una nuova, importante ed “imperia-le” origine e connotazione.

L’impasto di farina, acqua e sale, con eventuale aggiunta di grasso, dopo lievitazione, in forma di piccoli e mor-bidi dischi, erano cotte accanto al fuoco del camino in mezzo a rotonde pietre refrattarie, che si chiamano tigelle, una

denominazione che deriva

dall’antichissimo etimo teg, dal quale sono originate molte parole: dal latino tegere o coprire fino alla nostra tegola.

Le tigelle surriscaldate vicino al fuoco erano impilate due a due ed in mezzo, spesso separate da una foglia di casta-gno che offriva aroma e manteneva una certa umidità, si poneva la pasta da cuocere. Le più antiche tigelle portava-no incise immagini, spesso un disco so-lare più o meno stilizzato od elaborato, simbolo di vita e di fecondità. Oggi le tigelle sono di materiale refrattario, ma un tempo erano di pietra, come sulle case di montagna i tetti erano coperti con tegole di pietra, ora anche queste di terra cotta. La pasta cotta tra le tigelle ancor oggi si mangia farcite di una gran varietà d’ingredienti: dalle tigelle clas-siche con ciccioli, pesto e grana, salumi diversi, si è passati alle tigelle sfiziose, vegetariane ed anche dolci, come ben illustra il citato libro di Sandro Bellei.

Che le tigelle siano antiche lo dimostra la già citata denominazione, ma oggi sappiamo che almeno sette-centocinquanta anni fa erano graditis-sime anche ai nobili signori e tra questi perfino all’Imperatore Federico II (1194 – 1251), guerriero, filosofo, scienziato e gastronomo tanto da essere definito Stupor mundi. Il rapporto tra le tigelle e Federico II è stato recentemen-te rivelato dalla pubblicazione da parrecentemen-te d’Anna Martellotti dei Ricettari di

Fe-derico II – Dal “Meridionale” al “Liber de coquina” (Leo S. Olschki, 2005). Si tratta di quattro manoscritti tra loro strettamente collegati, il primo dei qua-li è della prima metà del XIII secolo, più probabilmente del 1240, e nella quale vi è la quasi completa certezza della mano o per lo meno della super-visione di Federico II. Nelle tre versio-ni latine dei codici (per la loro origine, due detti Parigini – A e B - e Vaticano) vi è una stessa ricetta delle tigelle, che con minime varianti più o meno recita come segue.

De torta defoliata (o de foliata) – Ad faciendum tortam foliatam recipe farinam distemperatam cum aqua cali-da et misce lardum minutum incisum sale apposito et pone in tiella calefac-tam, alliam tiellam desuper apponen-do. (Martellotti A., l. c. pag. 275).

In un latino di facile compren-sione, la ricetta di una Torta sfogliata (in fogli), prescrive d’impastare la fari-na con acqua calda aggiungendo lardo tritato e sale, poi cuocere tra due tigelle (tiella) calde. Che si tratti delle ancora attuali tigelle, come sopra descritte, non vi è quindi alcun dubbio. Quel che è interessante è capire come e perché le tigelle siano capitate nel ricettario di

Anche se siamo nel campo delle ipotesi è la seconda evenienza che pare più probabile, ma vediamo perché.

I ricettari a noi pervenuti, e che derivano dal citato intervento di Fede-rico II, sono l’espressione di un primo ricettario che certamente seguiva l’imperatore nei suoi continui

sposta-menti e durante i quali raccoglieva og-getti d’ogni genere, ma anche appunta-va notizie di tipo scientifico sugli

ani-mali, sulla medicina e

sull’alimentazione. Da qui nasce anche il suo interesse per la cucina e la ga-stronomia, come é stato ben analizzato e descritto da Anna Martellotti.

Federico II ebbe l’avventura, o la disavventura, di soggiornare con il suo esercito nella pianura padana, dove il 18 febbraio 1248, dopo un lungo asse-dio fu clamorosamente sconfitto dai parmigiani. Come racconta Salimbene de Adam, il suo tesoro cadde in mano ai parmigiani, che vi trovarono vasel-lame d’oro e d’argento, gioielli, perle, pietre preziose e splendidi indumenti di seta e di porpora e la sua corona impe-riale, decorata a sbalzo ed incastonata di pietre preziose “grande come una pentola”. In questa per lui triste eve-nienza, è quasi certo che dovette accon-tentarsi di cibi più poveri di quelli ai quali era abituato e qui, con ogni pro-babilità, conobbe anche le tigelle, ma non solo. Infatti, sempre nello stesso ricettario, vi è una precisa descrizione delle lasagne più o meno come ancora si fanno a Bologna, anche se condite soltanto con formaggio e senza carne, che mise nel suo ricettario.

Venendo alle lasagne, nel ricetta-rio di Federico II vi sono due versioni, molto simili, delle lasagne, ed una di queste recita come segue. (De lasanis o De lassanis – in Martellotti, pag. 253 – 254).

De lasanis – Ad lasanas accipe pastam fermentatam et fac tortellum ita tenuem sicut poteris deinde divide eum

per partes quadratas ad quantitatem trium digitorum postea habeas aquam bullientem salsatam et pone ibi ad co-quendum predictas lasanas et quando erunt fortiter decocte accipe caseum gractatum et si volueris potes simul ponere bonas species pulverizatas et pulveriza cum istis super cissorium po-stea fac desuper unum lectum de lasa-nis et iterum pulveriza et desuper alium lectum et pulveriza et fac usque cisso-rium vel scutella sit plena postea co-mede cum uno punctorio ligneo acci-piendo.

È facile comprendere come lasa-gne di pasta sottile, quadrate e di tre di-ta di lato, ben cotte in acqua saladi-ta, so-no messe a strati con formaggio grattu-giato ed eventuali spezie, facendo dei

“letti” ed mangiate con una specie di forchetta di legno.

Tornando alle tigelle ed alle la-sagne di Federico II possiamo immagi-narcelo nel suo campo militare che, dopo aver perduto il suo tesoro e la sua corona, “grande come una pentola” si sia consolato con tigelle calde, mangia-te probabilmenmangia-te con un qualche buon salume (diverse sono le ricette che ha messo nel suo ricettario), per poi passa-re ad una buona ed ampia scodella di lasagne, il tutto certamente annaffiato con abbondanti coppe di buon vino.

Una consolazione che lo convinse ad appuntare la ricetta delle tigelle e delle lasagne, diffondendole nelle bibliote-che di tutta Europa e tramandandole ai posteri, dando a noi la possibilità di dimostrare che non solo le tigelle sono antichissime, ma sono un cibo imperia-le, come pure le lasagne.