• Non ci sono risultati.

Di fatto, in ambulatorio viene considerato quasi esclusivamente il problema della barriera linguistica, nel senso che il resto dei problemi, seppur intuito, viene trala-

Percorso di ricerca

Riquadro 3.2 Caratteristiche del mondo clinico associate al modello biomedico

C. Griglia delle interviste di gruppo con donne provenienti da Cina, Marocco e Sri Lanka

4. Di fatto, in ambulatorio viene considerato quasi esclusivamente il problema della barriera linguistica, nel senso che il resto dei problemi, seppur intuito, viene trala-

sciato per mancanza di tempo e per questioni di priorità.

5. La dimensione soggettiva/culturale viene presa in considerazione solo se è causa di conflitti o di incomprensioni evidenti.

6. Nell’ambito delle interazioni ambulatoriali la mediatrice linguistico-culturale svolge essenzialmente un lavoro di interpretariato.

7. In alcuni casi, soprattutto quando manca la competenza linguistica o quando c’è una grossa sfasatura culturale e/o d’istruzione fra medico e paziente, le donne ricevono meno informazioni (si crea in tal modo il presupposto per una disuguaglianza socia- le).

150

Nel complesso, dall’analisi dei colloqui di controllo della gravidanza emerge un’immagine di relazione medico-paziente (italiana o straniera che sia) asimmetrica, di- rettiva e unidimensionale.

La complementarità delle interazioni e la punteggiatura delle stesse rivelano il rap- porto di subordinazione della paziente nei confronti del medico. Il punto di vista medico non è messo in discussione e prevale su quello della paziente (che rimane celato). La paziente accetta tale tipo di interazione, adeguandosi alle modalità proposte dal medico e il suo punto di vista non emerge quasi mai nelle interazioni in ambulatorio.

La comunicazione nelle visite ambulatoriali è ferma al livello della situazione1, per- tanto non comprende la messa in discussione delle cornici di riferimento degli interlocu- tori ed è funzionale alla trasmissione di determinati contenuti.

Il lavoro di traduzione assegnato alla mediatrice in ambulatorio, per quanto impor- tante, svilisce la potenziale ricchezza del suo ruolo. La mediatrice potrebbe infatti agire da fattore di cambiamento della relazione ma, nella realtà dei fatti, si adatta al modello esistente. Il suo ruolo è volto al superamento dell’incomprensione linguistica e alla promozione dell’“educazione alla salute”. In tal modo essa rischia di svolgere una fun- zione di prolungamento dello sguardo medico anziché di ponte fra le due parti.

8.1.1 Punto di vista medico

I medici costruiscono dei casi. Analizzano dei problemi. Trattano gli stati di salu- te/malattia. Reificano/oggettivizzano ciò che studiano. Ne fanno un’astrazione. E porta- no questo abito mentale nell’interazione con la paziente. Di conseguenza, la dimensione personale non viene considerata. Complici di questa omissione di riconoscimento, oltre alla forma mentis data dalla formazione ricevuta, sono la mancanza di tempo a disposi- zione (legata all’organizzazione di tipo aziendale, centrata sui princìpi dell’efficienza e della produttività) e le interferenze ambientali.

L’obiettivo del medico, nell’ambito delle visite di controllo della gravidanza, è quello di riconoscere e distinguere la situazione di gravidanza patologica da quella fisiologica. Infatti, se il medico riconosce subito la patologia, può intervenire per garantire il miglio- re stato di salute possibile per la donna e il feto. Il pensiero del medico è volto dunque all’evitare il peggio, al preservare il più possibile la salute.

Gli strumenti che il medico adopera per raggiungere il suo obiettivo sono:

1

151

‐ il controllo dei parametri organici (esami e controlli sul corpo);

‐ l’osservazione della donna per cogliere eventuali segnali di malessere.

In tale discorso entra in gioco la concezione di salute che il medico ha fatto propria e l’approccio epistemologico da cui deriva. Secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, salute è uno «stato di completo benessere fisico, psichico e so- ciale e non semplice assenza di malattia». Da tale definizione, si può desumere come anche l’analisi della dimensione soggettiva sia fondamentale per garantire il benessere della persona. E in effetti, l’importanza di considerare gli aspetti culturali, soggettivi e sociali è riconosciuta da alcuni medici con cui ho interagito, nonchè dalla letteratura scientifica sull’argomento2

. Tuttavia, nella prassi lavorativa la priorità viene data all’osservazione dei parametri biologici. Di conseguenza, nel caso in cui la situazione contingente richieda di diminuire la quantità di tempo da dedicare alla paziente, gli a- spetti soggettivi, culturali e sociali sono i primi ad essere esclusi dal raggio di osserva- zione del medico. Purtroppo tale condizione si verifica spesso nelle mattinate in cui la quantità di donne da visitare è eccessiva rispetto al tempo a disposizione. Tale circo- stanza mette in luce una disfunzionalità a livello organizzativo che va senz’altro appro- fondita in vista di un miglioramento delle prassi lavorative.

Come si è potuto appurare dai colloqui e dalle interviste, i medici avvertono la fatica di compiere il percorso di accompagnamento alla gravidanza con alcune donne immi- grate. La criticità della relazione è data da vari livelli di incomprensione3, fra i quali il meno grave è quello linguistico (risolvibile con il servizio di mediazione). L’affaticamento maggiore deriva dai livelli che Morrone ha definito: prelinguistico (es. timore di non riuscire a esprimere una sensazione), metalinguistico (es. significato attri- buito all’AIDS), culturale (es. accesso ritardato ai controlli in gravidanza; incompren- sione di fronte al numero elevato di esami) e ideologico (es. Ramadan).

La maggior parte delle visite a cui ho partecipato sono state condotte da giovani spe- cializzande, molto attente a svolgere i controlli, a prescrivere gli esami, a programmare gli appuntamenti e a documentare le informazioni. La loro inesperienza e la paura di sbagliare le porta a concentrarsi, più dei medici esperti, sugli aspetti procedurali e sulla

2 Secondo Moro, «la dimensione culturale è una componente di ogni azione di prevenzione e di cura, per

le donne migranti ma anche per le altre: ogni donna, ogni genitore ha una cultura, che diventa semplice- mente invisibile quando è già condivisa con i professionisti della cura» (M.R. Moro, D. Neuman, I. Réal,

Maternità in esilio, op. cit., p. 159).

3

Cfr. livelli di confusione della comunicazione a pp. 62-64 (A. Morrone, Salute e società multiculturale, op. cit.).

152

dimensione biologica controllata mediante gli esami. Così facendo, talvolta non si ren- dono conto o non riescono a prendersi carico dello stato emotivo della paziente. Proba- bilmente, la dimensione soggettiva delle pazienti viene tralasciata anche per paura di non riuscire ad affrontare e gestire i vissuti che comporta. Come scrive Ivo Lizzola, so- no soprattutto i medici giovani i più indifesi nei confronti della sofferenza di cui è porta- tore il paziente, a causa di una mancata elaborazione della propria paura e della man- canza di interrogazione su di essa4.

La non considerazione della dimensione relazionale e dei vissuti porta quindi alla lu- ce una fragilità da parte dei medici rispetto alla dimensione emozionale del proprio la- voro e una mancanza di strumenti per affrontare tali aspetti. I medici, sostiene Lizzola, paiono presi da quella che Luigina Mortari chiama «concentrazione interna»5:

l’incontro e la comunicazione con i colleghi, con l’altro ruolo professionale [...] sono spesso “pe- rimetrati” dalle reti di conoscenza pre-definite e già disponibili, da esercizi di ruoli assunti, da reti di significato consolidate e “chiuse dentro”. [...] Si segna così una soglia difficile da valicare. E ci si riduce a una comunicazione di servizio, a funzionalità, a mansionari e adempimenti previsti dai protocolli: che dovrebbero proteggere e garantire mentre non di rado lasciano esposti, isolati, tesi6.

Per la relazione terapeutica invece, è decisiva l’integrazione fra i saperi medici e la di- mensione soggettiva della relazione, con le sue implicazioni emotive, nonché l’orizzonte di senso che muove i protagonisti dell’incontro7

. 8.1.2 Punto di vista delle donne

La donna gravida non è una paziente in quanto non è malata. È una donna sana, in uno stato fisiologico particolare. Cosa comporta tale stato? Per la donna comporta la neces- sita di essere accudita e protetta. La nascita del filone di studi sullo stress in gravidanza8 dimostra che l’esperienza della gestazione genera dei vissuti che richiedono l’attivazione di un sostegno. Inoltre, i vari studi che si sono occupati della gravidanza

4 I. Lizzola, L’educazione nell’ombra. Educare e curare nella fragilità, Carocci, Roma 2009, p. 100. 5 “Concentrazione interna” è imporre all’altro una griglia epistemica che costringe l’altro dentro i disposi-

tivi della nostra mente (L. Mortari, “Verso un’epistemologia femminile”, in Studium Educationis, numero monografico Genere e Educazione, 2, 2003, pp. 365-80).

6

I. Lizzola, L’educazione nell’ombra, op. cit., p. 111.

7 Ivi, p. 112.

8 Cfr. ad esempio P. A. Gellera, D. Kernsa, C. M. Klierb, “Anxiety following miscarriage and the subse-

quent pregnancy. A review of the literature and future directions” in Journal of Psychosomatic Research, 56, 2004, pp. 35–45; D. K. Creedy, I. M. Shochet, J. Horsfall, “Childbirth and the Development of Acute Trauma. Symptoms: Incidence and Contributing Factors” in Birth, 27, 2000, pp. 104-111; J. E. Soet, G. A. Brack, C. DiIorio, “Prevalence and Predictors of Women’s Experience of Psychological Trauma Dur- ing Childbirth” in Birth, 30, 2003, pp. 36-46.

153

nella migrazione hanno portato alla luce i vissuti di disagio a cui può andare incontro la donna, che, se non compresi e presi in carico, possono portare all’aumento della soffe- renza e ripercuotersi sulla relazione genitoriale9.

Le donne intervistate mostrano sofferenza per il fatto di non riuscire a farsi compren- dere e ad esprimere le proprie sensazioni. Inoltre, avvertono la mancanza di informazio- ni sulla loro gravidanza e si sentono prive di punti di riferimento. I vissuti di isolamento, smarrimento e frustrazione emersi dalla interviste di gruppo e dai racconti delle media- trici, confermano i dati della letteratura scientifica, in particolare per ciò che riguarda la vulnerabilità delle donne migranti in gravidanza e la loro necessità di trovare, nei servi- zi, un sostegno che vada al di là del controllo organico10.

L’incontro dei medici con donne provenienti da altri paesi e portatrici di una diffe- rente culturalità fa emergere la rilevanza di elementi che normalmente vengono rimossi o tralasciati, come la rilevanza della dimensione soggettiva e culturale e la necessità di garantire alle donne ascolto e sostegno. Appare inoltre evidente la necessità di ripensare l’organizzazione dei servizi.

8.2 Spunti di riflessione e proposte operative

Il panorama delineato reclama la necessità di sviluppare percorsi di riflessione intorno a vari temi e su livelli differenti, con l’obiettivo di favorire il miglioramento del servizio, così da agevolare il lavoro del personale sanitario e fornire risposte più adeguate ai bi- sogni di cura delle donne (immigrate) in gravidanza.

In particolar modo occorre interrogarsi sulle seguenti questioni:

 lo sguardo della cultura centrata sulla cartella e l’opportunità di attivare un dialogo con altre prospettive;

 il principio aziendalistico dell’efficienza applicato al sistema sanitario;  la struttura e la modalità di conduzione delle visite;

 le routine organizzative e l’organizzazione gerarchica dei rapporti di lavoro;

9 Cfr. M. R. Moro, D. Neuman, I. Réal, Maternità in esilio..., op. cit.; M. Dotti, S. Luci, Donne in cammi-

no..., op. cit.; P. Brolo, M. C. Gemmi, F. Mahri, M. Manghi, L. Panna, M. Sparano, S. Suyen, Le emozio- ni e la cura della nascita...,op. cit.; P. Villano, B. Zani, “Essere donne e immigrate...”, op. cit.; L. Chino-

si, Gruppi di mamme straniere nella migrazione..., op. cit.; A. M. Di Vita, M. Errante, M. Vinciguerra, “La grossesse dans une perspective transculturelle...”, op. cit..

154

 i processi di formazione alla professione medica.

Si auspica lo sviluppo di tale riflessione a vari livelli: il livello delle prassi, il livello organizzativo e il livello culturale.