Percorso di ricerca
Riquadro 3.2 Caratteristiche del mondo clinico associate al modello biomedico
V. Livello ideologico Tale livello comprende le differenti concezioni filosofiche e religiose, la propria visione della vita, del mondo, ecc Il Ramadan, per esempio, è cari-
4.1 Migrazione e salute
Come ha messo in evidenza Pierre Bourdieu riferendosi agli studi di Sayad, la migra- zione è «un fatto sociale totale», intendendo con ciò «che ogni elemento, ogni aspetto, ogni sfera e ogni rappresentazione dell’assetto economico, sociale, politico, culturale e religioso sono coinvolti in tale esperienza umana. È per questo che le migrazioni svol- gono una straordinaria “funzione specchio”, sono cioè rivelatrici delle più profonde contraddizioni di una società, della sua organizzazione politica e delle sue relazioni con le altre società»1. Sempre riferendosi agli scritti di Sayad, Bourdieu descrive il migrante come un «a-topos, un curioso ibrido privo di posto, uno spostato nel duplice senso di incongruente e di inopportuno, intrappolato in quel settore ibrido dello spazio sociale in posizione intermedia tra essere sociale e non-essere. Né cittadino, né straniero, né dalla parte dello Stesso né dalla parte dell’Altro»2
.
Secondo l’analisi di Santerini3, dalle parole di Sayad emerge un’idea di emigrazione- immigrazione non come progetto di vita, ma piuttosto come un’ossessione, una via di fuga da tentare, un modo di sfuggire a un’esistenza disperata o bloccata: «la Francia ci entra fin dentro le ossa. Una volta che te lo sei messo in testa è finita, non ti esce più dalla mente»4. I racconti dei migrant writers descrivono l’anticipazione fantastica della meta desiderata, il «paese della felicità» di cui parla Sayad, un mito alimentato dai mass media e dai racconti di chi è già partito. Sempre le voci dei migranti narrano del disin- canto di fronte alla realtà del paese d’immigrazione, che non rispecchia le aspettative
1 A. Sayad, La doppia assenza. Dalle illusioni dell’emigrato alle sofferenze dell’immigrato, (trad. it) Raf-
faello Cortina, Milano 2002, p. X. [Tit or. La double absence: des illusions de l’émigré aux souffrances
de l’immigré, Seuil, Paris 1999].
2
Ivi, p. XI.
3
M. Santerini, Intercultura, op. cit., p. 138.
70
sognate e desiderate5. Questa disillusione, però, viene spesso taciuta: l’immigrato na- sconde la verità quando torna per un breve periodo al paese d’origine, ostentando anzi la sua piccola ricchezza, duramente guadagnata. In tale ostentazione-dissimulazione si rea- lizza la menzogna, che serve a rassicurare la famiglia, a “salvare la faccia” davanti ai compaesani, a illudere se stessi. Dalla doppia appartenenza del migrante (al paese di provenienza e a quello d’immigrazione) nasce il senso di estraneità, descritto come una maledizione dell’immigrato: «basta che noi ci troviamo in un posto e Dio subito ci ren- de più dolce quell’altro posto. Appena sceso, sbarcato in patria, arriva l’oblio. Poi si ri- comincia tutto e si riparte verso la Francia, come se non fosse successo nulla»6. Si vive come sospesi, non solo per la precarietà della sistemazione, ma per i sentimenti contra- stanti di affetto e nostalgia. Da tale descrizione del percorso del migrante, si intuisce come l’esperienza migratoria sia un’esperienza che comporta un notevole investimento di energie e che può provocare sentimenti di disagio e sensazioni di perdità dell’identità e dei punti di riferimento consueti. A tal proposito, fin dal XVII secolo numerosi studi si sono occupati del disagio psichico dei migranti, appellandolo come nostalgia.
4.1.1 Nostalgia e disagio psichico
Secondo la ricostruzione di De Micco7, la parola nostalgia venne coniata nel 1688 dal medico svizzero Johannes Hofer, per tradurre il termine heimwet (il dolore della casa), che indicava un grave stato di debilitazione psicofisica che coglieva in particolare i gio- vani soldati di ventura svizzeri che lasciavano le loro valli natie per migrare in tutta Eu- ropa in cerca di fortuna. Tale stato patologico era così grave che spesso portava a morire i soggetti colpiti e nessun intervento medico valeva a ridare loro le forze e la salute, a meno che non li si riportasse verso casa. Fin dalla sua apparizione sulla scena medica, quindi, la nostalgia si presenta come una malattia che, pur compromettendo gravemente lo stato fisico del soggetto, non viene curata da rimedi fisici, ma si risolve solo con mu- tamenti sul piano delle condizioni di vita, utilizzando cioè strumenti che consentono una visione più ampia e un’integrazione più profonda dell’individuo nell’ambiente in cui vi- ve e opera.
5 S. Methani, M. Fortunato, Immigrato, Teoria, Roma-Napoli 1990. 6
A. Sayad, La doppia assenza, op. cit., p. 32.
7
V. De Micco, La frontiera mobile: migrazioni e sanità in una prospettiva transculturale, in V. De Mic- co (a cura di) Le culture della salute, Liguori Editore, Napoli 2002, pp. 18-19.
71
Michele Risso8 sottolineava già trent’anni fa come il processo di “acculturazione” si traducesse a livello individuale in un processo conflittuale permanente e come il dolo- roso processo di adattamento e di trasformazione personale non fosse mai compiuto una volta per tutte ma si riproducesse quotidinamente. Occorre quindi tener presente come, anche nelle migrazioni in cui la cosiddetta integrazione sembra riuscita, il rischio per la salute dei migranti si mantenga alto e come irrisolte difficoltà di adattamento rimaste si- lenti a lungo possano manifestarsi proprio quando il progetto migratorio sembra essersi stabilizzato.
Mariangela Giusti propone la figura del labirinto (raccolta dalle voci dei migranti) per rappresentare l’esperienza migratoria: «per chi emigra dalla propria terra per diri- gersi verso altri luoghi, i nuovi territori, così ovvi e conosciuti per chi già li abita, ap- paiono come labirinti. Il percorso del labirinto rappresenta simbolicamente una serie di esperienze fisiche o psichiche difficili che portano chi le percorre ad arrivare fino al centro, dove può avvenire l’incontro con una realtà altra: un nuovo lavoro, una nuova vita, gli altri»9. Come mette bene in evidenza l’autrice10, vi sono dei fattori costanti ap- partenenti all’esistenza quotidiana, che caratterizzano il rischio a cui sono esposte molte famiglie immigrate o i singoli individui (uomini e donne): cambia il rapporto col tempo; cambiano i riferimenti con i luoghi; cambiano le relazioni fra i vari membri della fami- glia; cambiano i rapporti con il mondo della vita.
Anche Portera, in una ricerca compiuta in Germania11, individua alcune conseguenze negative dell’emigrazione a livello psichico e, in base alla definizione di eventi critici di Filipp12, considera l’emigrazione come evento critico o stressante della vita. Tuttavia, sottolinea lo studioso, bisogna evitare di considerare l’esperienza migratoria solamente come un rischio; la sua ricerca dimostra infatti che, fornendo ai migranti il sopporto e- ducativo-psicologico e istituzionale necessario, la migrazione si rivela un percorso posi- tivo e arricchente.
8 Cfr. a tal riguardo: D. Frigessi, M. Risso, A mezza parete. Emigrazione, nostalgia, malattia mentale. Ei-
naudi, Torino 1982.
9
M. Giusti, Pedagogia interculturale, op.cit., p. 58.
10 Ivi, p. 34.
11 A. Portera, Tesori sommersi, op. cit..
12 Secondo Filipp, citato in Portera, si tratta di «eventi che subentrano nella vita di una persona [...], carat-
terizzati da un cambiamento della situazione di vita (sociale) e che necessitano di risposta da parte della persona mediante adeguati comportamenti adattivi». S.H. Filipp, Grundprobleme der Erforschung kriti-
scher Lebenserei-gnisse und ihrer Effekte, in Id. (hrg.), Kritische Lebensereignisse, Psychologie Verlags-
72