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Assistenza alla gravidanza con donne di origine straniera

Percorso di ricerca

Riquadro 3.2 Caratteristiche del mondo clinico associate al modello biomedico

C. Griglia delle interviste di gruppo con donne provenienti da Cina, Marocco e Sri Lanka

6. MODALITÀ COMUNICATIVE DEI MEDICI Modalità ostacolant

7.2 Assistenza alla gravidanza con donne di origine straniera

Come la letteratura sull’argomento mette in evidenza, l’accesso ai controlli della gravi- danza o alle cure ginecologiche è spesso il primo momento in cui la donna immigrata si relaziona con i servizi della società di accoglienza5. Alcune autrici sottolineano che il periodo perinatale può comportare un accentuarsi del disagio vissuto dalla donna, so-

4 Come vedremo in seguito, nella maggior parte dei casi questa spiegazione non avviene e il medico passa

subito all’anamnesi.

5

Cfr. M. Castiglioni, Donne immigrate e uso dei servizi socio-sanitari, in R. Rizzi, A. I. Fasano (a cura di), Ospitare e curare. Dialogo interculturale ed esperienze cliniche con gli immigrati, Franco Angeli, Milano 2002, pp. 108-118.

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prattutto se avverte la mancanza la cerchia familiare e/o sociale di riferimento6. Di con- seguenza, l’importanza di tali servizi per le donne immigrate (ma il discorso vale anche per le autoctone) risiede non solo nella garanzia del loro benessere organico ma anche nella possibilità di ricevere ascolto e sostegno. Assicurare una qualità di assistenza tale da garantire al tempo stesso un accurato controllo dei parametri organici e un’attenzione alla persona non è facile e, come abbiamo sottolineato, nella costruzione del discorso medico prevale l’attenzione all’aspetto organico che, in alcuni casi, preclude l’apertura verso altre dimensioni.

7.2.1 Affluenza di donne immigrate in sala parto

Nel report di sala parto relativo all’anno 2008, redatto dal personale della clinica oste- trico-ginecologica dell’ospedale G. Rossi, si legge che la prevalenza delle donne immi- grate fra le partorienti corrisponde al 33,2%, con un incremento del 4% rispetto all’anno precedente7. Tali donne (in totale 656) provengono dall’Est europeo (229), dall’Africa subsahariana (115), dall’Africa settentrionale (107), dall’Asia (150) e dal Sud-America (55).

Non esiste un report simile riguardo all’affluenza nell’ambulatorio della gravidanza, ma, in base a quanto ho potuto osservare nei sei mesi di tirocinio, è ugualmente possibi- le sostenere l’alta percentuale delle donne di origine straniera: circa il 70% delle visite alle quali ho assistito hanno riguardato donne provenienti da altri paesi (vd. pp. 93-94). Inoltre, secondo ciò che è emerso dai colloqui con Zanconato, è un fatto che tante donne italiane preferiscono essere seguite privatamente8. In sala parto invece la situazione è differente, in quanto tutte le donne (o quasi) partoriscono in ospedale9.

6 Cfr. M.R. Moro, D. Neuman, I. Réal, Maternità in esilio, op. cit.; M. Dotti, S. Luci, Donne in cammino,

op. cit..

7 La prevalenza è il rapporto che intercorre fra il numero di eventi sanitari rilevati in una data popolazione

in un definito momento (o arco temporale) e il numero degli individui appartenenti alla data popolazione osservati nello stesso periodo.

8 La maggior affluenza di donne immigrate (rispetto alle autoctone) ai servizi pubblici è documentata in

letteratura: cfr. M. Tognetti Bordogna, Immigrazione e disuguaglianze di salute, in M. Tognetti Bordogna (a cura di) Disuguaglianze di salute e immigrazione, Franco Angeli, Milano 2008, pp. 70-86.

9 Occorre a tal proposito precisare che, in contrapposizione alla medicalizzazione della gravidanza avve-

nuta nell’ultimo mezzo secolo, recentemente si assiste a un rinnovato interesse (e a una tendenza) verso i parti in casa o in luoghi alternativi all’ospedale. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, i parti avvengono in ospedale.

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7.2.2 Servizio di mediazione linguistico-culturale

La massiccia affluenza di donne di origine straniera negli ambulatori e nei reparti affe- renti all’area materno-infantile (e non solo) ha portato all’attivazione di un servizio di mediazione liguistico-culturale (funzionante dal 2002) «allo scopo di favorire la comu- nicazione e l’abbattimento delle barriere linguistiche, sociali e culturali tra operatori e cittadini stranieri, facilitando in tal modo l’erogazione delle prestazioni»10

. Il pieghevole che illustra il servizio esplicita così le attività di mediazione:

 servizio di interpretariato linguistico e di mediazione socio culturale svolte nel corso dell’erogazione dei servizi sanitari, in presenza di operatore e cit- tadino straniero;

 attività di informazione, orientamento, accompagnamento rivolte ai citta- dini stranieri;

 attività di informazione, formazione, consulenza rivolte agli operatori;  produzione, in collaborazione con l’URP11, di materiale informativo pluri-

lingue.12

Il servizio è a disposizione del personale ospedaliero, che può richiedere la presenza della mediatrice quando ne avverte il bisogno.

Il fatto che il servizio sia a richiesta, significa che spetta al medico valutare caso per caso se sia necessario l’intervento della mediatrice e farne richiesta all’Ufficio relazioni con il pubblico, preposto alla gestione del servizio. È poi l’URP stesso a contattare la mediatrice per la visita successiva.

Il rischio della chiamata a richiesta è che il personale medico sottovaluti la necessità della mediazione e richieda la presenza della mediatrice solo quando la donna non co- nosce l’italiano (o non ha nessuno che possa fare da interprete) oppure quando scoppia il conflitto. Ciò accadeva regolarmente fino a pochi anni fa, afferma Christine (la me- diatrice dello Sri Lanka) durante l’intervista individuale, ma fortunatamente tale visione è leggermente mutata e recentemente le capita con maggior frequenza di essere contatta- ta nonostante la donna conosca l’italiano o sia accompagnata dal marito. Tuttavia, sotto-

10

Tratto dal pieghevole che illustra il servizio di mediazione linguistico-culturale.

11

La sigla URP sta per Ufficio Relazioni con il Pubblico.

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linea la mediatrice, ciò dipende in larga misura dalla sensibilità del medico e dalla sua consapevolezza e preparazione rispetto alle dinamiche interculturali.

In effetti, per quanto ho potuto osservare, il ruolo della mediatrice in ambulatorio è assimilabile a quello di un’interprete: ella traduce le domande e le indicazioni del me- dico, in modo che la donna possa comprenderle, e riporta alcune richieste della donna che altrimenti rimarrebbero inespresse.

PRESENTI: SP Elena – TIR; RIC. Coppia proveniente dalla Cina con MLC. Elena, smontata dalla notte, gestisce l’ambulatorio da sola, con una tirocinante.

La donna e la MLC sono sedute una in fianco all’altra. Il marito è in piedi dietro alla moglie. Elena e la tirocinante sono sedute dall’altra parte della scrivania. Io sono un po’ in disparte.

Elena dice alla MLC di chiedere alla donna se sta bene. La MLC traduce.

La donna viene invitata a stendersi sul lettino. (Elena da un lato studentessa dall’altro)

Elena spiega alla tirocinante come fare per sentire se la pancia va bene. (la MLC e il marito riman- gono ai loro posti)

Entra uno specializzando per chiedere una cosa a Elena. La donna torna a sedersi come prima.

Fissano il prox appuntamento; la MLC controlla l’agenda.

Elena prescrive gli esami e chiede alla MLC di spiegare cosa sono e quando deve farli. Il marito interviene (in cinese) per chiedere alla MLC una spiegazione.

La MLC risponde senza tradurre per Elena. (Visita L71, Diario di ricerca, 7 maggio 2009)

Come si evince dall’esempio riportato, nonostante la presenza della mediatrice, il contenuto dei colloqui non subisce cambiamenti e rimane centrato sul trattamento medi- co della gravidanza. Non si crea uno spazio per l’approfondimento dell’aspetto cultura- le, nè per l’espressione della soggettività della paziente.

Pur riconoscendo il valore del lavoro di intrepretariato, che costituisce una parte im- portante della mediazione, ritengo riduttivo limitare ad esso il ruolo della mediatrice in ambulatorio. Usufruire del servizio solo quando la donna o chi l’accompagna non cono- sce l’italiano significa sottovalutare i problemi di comprensione e ridurli alla barriera linguistica, senza considerare la più ampia dimensione culturale. Vuol dire inoltre non adoperare tutte le potenzialità della mediazione che, se fosse ben utilizzata, consentireb- be una relazione migliore con le pazienti, permettendo la comprensione delle dinamiche culturali e soggettive che accompagnano i vissuti e gli atteggiamenti personali. Al con- trario, l’uso superficiale del servizio comporta il rischio che le informazioni trasmesse alla donna si impoveriscano, che non si giunga alla conoscenza dei problemi reali e che

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la mediatrice non svolga una funzione-ponte ma una funzione di prolungamento dello sguardo medico.