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Percorso di ricerca

Riquadro 3.2 Caratteristiche del mondo clinico associate al modello biomedico

V. Livello ideologico Tale livello comprende le differenti concezioni filosofiche e religiose, la propria visione della vita, del mondo, ecc Il Ramadan, per esempio, è cari-

4.4 Pratiche di mediazione

Un elemento facilitante nella relazione fra operatori e donne migranti è rappresentato dalle pratiche di mediazione, messe in atto soprattutto attraverso la persona del mediato- re linguistico-culturale.

Paola Dusi definisce il percorso migratorio e la famiglia come «i luoghi abitati dalla mediazione», specialmente in relazione al ruolo delle figure femminili. Secondo l’autrice, nella mediazione è indispensabile agire su più livelli – personale, familiare e simbolico-culturale – e intraprendere «un grande lavoro di ricerca, di sperimentazione, di affinamento del linguaggio e del metodo, da aprire ai segni e ai significati che cia- scun soggetto attribuisce ai modelli culturali e relazionali in gioco, per essere in grado di sostenere le nuove famiglie che nel quotidiano si misurano con la conflittualità e la diversità della vita, nell’affrontare al meglio il processo di cambiamento reale e simbo- lico da cui sono attraversate»41.

Le pratiche di mediazione, viste in quest’ottica, dovrebbero accomunare tutti coloro che lavorano con i migranti e non essere delegate esclusivamente alla figura professio- nale del mediatore linguistico-culturale. Tuttavia, è opportuno fare riferimento a tale fi- gura e a come è stata descritta, per delineare le caratteristiche principali della media- zione.

Il ruolo del mediatore – a parere di Marta Castiglioni - è quello di rappresentare sia la comunità del paese ospitante, sia quella del paese di origine dell’utente: esso si pone come interfaccia fra questi due spazi, nel tentativo di creare un linguaggio condiviso tra gli attori della relazione [...]. Il me- diatore è colui che ricrea, con la sua presenza, una situazione di riconoscimento immediato nel pa- ziente, una sensazione di non doversi spiegare, di “stare a proprio agio”42 in un contesto in cui tutti

i segni riassumono un significato antico, conosciuto. È la possibilità di non doversi sempre spiega- re sulle cose che sembrano più naturali e meno comunicabili. Il mediatore è però anche quella fi- gura che, accanto a questa immagine di un mondo ritrovato, ne veicola un’altra, per cui è qualcuno che, pur provenendo da un mondo lontano, ha già fatto un’elaborazione del proprio percorso mi- gratorio e ha probabilmente trovato delle strade che percorre quotidianamente per mettere in co- municazione i due contesti culturali.43

clinica generazionale, Raffaello Cortina, Milano 2009, pp. 265-293; G. Profita, G. Ruvolo, V. Lo Mauro, Transiti psichici e culturali, Edizioni libreria Cortina, Milano 2007.

41 P. Dusi, La mediazione familiare in prospettiva interculturale, in A. Portera, P. Dusi (a cura di) Gestio-

ne dei conflitti e mediazione interculturale, Franco Angeli, Milano 2005, pp. 163-180.

42

R. Beneduce, Frontiere dell’identità e della memoria, Franco Angeli, Milano 1998.

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La mediazione linguistico-culturale assume quindi un importante ruolo di collega- mento fra i servizi e gli utenti stranieri e si caratterizza non solo come traduzione lingui- stica, ma anche come supporto alla decodificazione delle peculiarità presenti nelle cultu- re, nei linguaggi, nelle percezioni, per trovare le modalità migliori nell’affrontare le di- verse tematiche44. La presenza del mediatore, afferma Jabbar45, è essenziale non solo nel suo operare pratico e burocratico, ma soprattutto nella capacità di porsi come risorsa progettuale nella creazione e nella programmazione di servizi, nonché nella promozione di politiche di inserimento, considerando la complessità dei bisogni degli utenti, che ri- chiedono risposte articolate sul piano individuale, culturale e istituzionale46.

A parere di Dotti e Luci, è possibile individuare tre livelli nell’attività del mediatore:  orientativo/informativo: svolge una traduzione di informazioni utili agli utenti sull’accesso al servizio e fornisce agli operatori indicazioni sulle specificità cul- turali (o personali);

 linguistico/comunicativo: effettua una funzione di interpretariato per prevenire e gestire fraintendimenti, malintesi e blocchi relazionali;

 sociale: assume un ruolo di stimolo nel ri-orientamento e nell’arricchimento del servizio.

Per quanto riguarda la traduzione, è opportuno avere la consapevolezza che esiste sempre un livello di intraducibilità: «pur sapendo che non si dice mai la stessa cosa, si può dire quasi la stessa cosa»47. Il lavoro di traduzione del mediatore non è quello di trovare equivalenti significati tra le parole, ma quello di far capire il senso del discorso dell’utente e dell’operatore in relazione al contesto in cui interagiscono. “Dire quasi la stesa cosa” implica già un procedimento di mediazione/negoziazione. L’estensione del “quasi” dipende dai criteri che devono essere concordati preliminarmente tra operatore e mediatore (accordo di traduzione). Attraverso la traduzione si gioca infatti il loro rap- porto di fiducia. È importante, in tal senso, che tutti i contenuti espressi dall’operatore e dall’utente vengano tradotti. A seconda del contesto d’intervento, realizzare una tradu- zione “fedele e completa” assume tuttavia diverse connotazioni.

44 M. Dotti, S. Luci, Donne in cammino, op. cit., p. 25.

45 A. Jabbar, “Mediazione socioculturale e percorsi di cittadinanza”, in Animazione sociale, 2000, 146,

pp. 82-89.

46

A. Morlini, “Ipotesi per una progettazione di servizi in una logica di inserimento”, in Animazione socia-

le, 2003, 174, pp. 39-46.

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Durante la compilazione di una cartella clinica o la raccolta di un’anamnesi, il me- diatore può procedere alla traduzione del contenuto per rispondere alla domanda formu- lata dall’operatore, tralasciando i contenuti del paziente e tutto ciò che è ritenuto non funzionale al conseguimento dei dati necessari per la visita48. In altri ambiti è invece opportuna una “traduzione fedele e completa”; essa richiede che alle parole del paziente vengano aggiunte ulteriori spiegazioni, di tipo culturale; è necessario infatti tenere in considerazione che il valore emozionale delle parole e il comportamento non verbale dipendono dalla cultura e possono essere causa di fraintendimenti e incomprensioni, che potrebbero determinare errori diagnostici o terapeutici. Studi recenti hanno evidenziato come le difficoltà di comprensione linguistica, in ambito sanitario, possano essere la causa del verificarsi di eventi avversi49, tali da determinare anche pesanti conseguenze per la salute dei pazienti50. Il mediatore può aiutare il professionista a comprendere il modello di rappresentazione del corpo e di salute/malattia della persona che ha di fronte e ridurre in tal modo il rischio di fraintendimenti e incomprensioni.

Il ruolo del mediatore, quindi, è simile a quello del traghettatore: egli non deve sosti- tuirsi all’operatore o all’utente ma solo accompagnare i diversi significati da essi e- spressi. La neutralità è quindi un requisito fondamentale: il mediatore deve sapersi por- re in maniera equidistante fra utente e operatore, deve sospendere il giudizio verso gli interlocutori e agire da ponte tra le parti.

Nell’ambito dell’incontro di mediazione, anche la collocazione spaziale acquisisce un suo significato. Secondo Ida Castiglioni51, la disposizione delle sedie dovrebbe for- mare un triangolo e il mediatore dovrebbe collocarsi accanto al paziente, per bilanciare la situazione di disparità di potere in cui l’utente si trova. Inoltre, nel contratto di tradu- zione è necessario considerare il fattore tempo, poiché tradurre da una lingua all’altra e compiere in seguito l’operazione contraria allunga i tempi della visita.

48 M. Dotti, S. Luci, Donne in cammino, op. cit., p. 26. 49

È considerato avverso “un evento inatteso correlato al processo assistenziale che comporta un danno al paziente non intenzionale e indesiderabile”, Ministero della Salute, La sicurezza dei pazienti e la gestione del rischio clinico, Glossario, http://www.salute.gov.it/qualita/paginaInternaQualita.jsp?id=255&menu =sicurezza, Ottobre 2010.

50 C. Divi, R. G. Koss, S. P. Schmaltz, J. M. Loeb, “Language proficiency and adverse events US hospi-

tals: a pilot study” in International Journal for quality in Health Care, 2007, 19 (2), pp. 60-67.

51

I. Castiglioni, Uno sguardo da lontano. Riflessioni sull’esperienza di mediazione linguistico-culturale

nei servizi sanitari e socio-sanitari in L. Luatti (a cura di) Atlante della mediazione linguistico culturale,

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Tenendo conto delle aspettative riposte nella figura del mediatore e dei compiti che gli vengono attribuiti, la formazione alla mediazione dovrebbe prevedere non solo lo sviluppo di competenze di traduzione linguistica, ma anche di capacità relazionali, co- municative e di conoscenze sulla legislazione relativa al contesto sanitario e sociale, na- zionale e locale, sul rispetto della privacy e della deontologia professionale. Dovrebbe inoltre essere prevista una formazione specifica per l’operatore sanitario. Si tratta infatti di imparare a lavorare in una relazione triadica anziché diadica, che comporta necessa- riamente competenze diverse e richiede una gestione oculata di spazi, tempi e ruoli52.

52 Cfr. M. Fatahi, B. Mattsson, J. Hasanpoor, C. Skott, “Interpreters’experiences of general-practiotioner-

patient encounters”, in Scandinavian Journal of Primary Health Care, 2005, 23, pp. 159-163; N. Fatahi, M. Hellström, C. Skott, B. Mattsson, “General practitioners’ views on consultations with interpreters: A triad situation with complex issues”, in Scandinavian Journal of Primary Health Care, 2008, 26, pp. 40- 45.

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Capitolo quinto METODOLOGIA

La ricerca pedagogica è cosa complessa. Ciò deriva dal fatto che essa è finalizzata alla costruzione del sapere dell’educazione,

un sapere prassico che trova il suo senso nel riuscire a fornire indicazioni per orientare al meglio la prassi educativa1.