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La revoca amministrativa del regime detentivo speciale tra involuzio- involuzio-ne legislativa e giurisprudenza adeguatrice

APPLICAZIONE, PROROGA E REVOCA DEL REGIME DETENTIVO SPECIALE

7. La revoca amministrativa del regime detentivo speciale tra involuzio- involuzio-ne legislativa e giurisprudenza adeguatrice

Con la novella legislativa del 2002, l'art. 41-bis ord. penit. era stato inter-polato, tra l'altro, mediante l'introduzione del comma 2-ter il quale disponeva: «se anche prima della scadenza risultano venute meno le condizioni che hanno deter-minato l'adozione o la proroga del provvedimento di cui al comma 2, il Ministro della giustizia procede, anche d'ufficio, alla revoca con decreto motivato. Il prov-vedimento che non accoglie l'istanza presentata dal detenuto, dall'internato o dal difensore è reclamabile ai sensi dei commi 2-quinquies e 2-sexies. In caso di man-cata adozione del provvedimento a seguito di istanza del detenuto, dell'internato o del difensore, la stessa si intende non accolta decorsi trenta giorni dalla sua pre-sentazione».

Vista con gli occhi dei “posteri”, tale disposizione, che pur non mancava di suscitare critiche in dottrina182, aveva l'indubbio merito di regolare il potere di au-totutela amministrativa concernente la revoca del decreto ministeriale nonché il procedimento giurisdizionale avverso l'eventuale diniego, espresso o tacito che fosse. La riforma del 2009, in maniera scarsamente intellegibile, ha abrogato il comma 2-ter sopra citato sicché, allo stato attuale, non è normativamente prevista alcuna disciplina concernente la possibilità di “ritiro” del provvedimento di so-spensione delle ordinarie regole trattamentali.

Numerose sono le riserve manifestate dagli interpreti sulla bontà dell'inter-vento legislativo in argomento. Si è infatti osservato come, a seguito della novella, il regime speciale si atteggi in modo assai pregiudizievole per i soggetti ad esso bedue interamente».

(182) Per alcuni rilievi in tal senso v. ampiamente A. BERNASCONI, op. cit., p. 300 e s.; D. PETRINI, Il regime di “carcere duro” diventa definitivo, cit., p. 245 e s. Sulla criticità della previ-sione del silenzio-diniego ministeriale cfr. L. BRESCIANI, Sulle istanze per revocare i

provvedimen-ti. L'ombra del «silenzio-diniego» ministeriale, in Guida dir., 2003, f. 1, p. 34 e s.; G. LA GRECA,

Una “stabilizzazione” per uscire dall'emergenza, in Dir. pen. proc., 2003, p. 420 il quale

eviden-ziava come in caso di silenzio-diniego restassero ignote le ragioni del mancato accoglimento dell'i-stanza non potendo il detenuto disporre della motivazione del relativo provvedimento di segno ne-gativo.

sottoposti finendo per creare seri dubbi di legittimità costituzionale, specie in rela-zione all'art. 27 commi 2 e 3 Cost. posto che la mancata possibilità di revoca an-drebbe a violare la presunzione di non colpevolezza per gli imputati e, più in ge-nerale, determinerebbe una lesione del principio di umanità della pena183. Inoltre, l'interpolazione del 2009 lascerebbe intendere la volontà del legislatore di cristal-lizzare la posizione del detenuto sottoposto al 41-bis184 non senza portare a situa-zioni paradossali tali per cui anche chi decidesse di collaborare con la giustizia, facendo così venire meno nei suoi confronti le esigenze di prevenzione, non po-trebbe ottenere la revoca di un regime speciale che invece proprio sulla base di si-mili esigenze si giustifica185.

A porre “rimedio” a tale inaccettabile vuoto normativo è intervenuta la giurisprudenza che, «richiamando quella evanescente formula della “interpretazio-ne costituzionalmente orientata”», ha riesumato il potere di revoca ministeriale186, un potere che per la verità già una parte della dottrina aveva considerato mai sopi-to187.

(183) Per queste considerazioni v. M. F. CORTESI, Il nuovo regime, cit., p. 909 e s. Peraltro, il dottor Vincenzo Macrì, dopo l'abrogazione del comma 2-ter, riteneva probabile sul punto un inter-vento della Corte costituzionale. Per questa considerazione v. Commissione parlamentare

d'inchie-sta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, Audizione del procuratore aggiunto della Direzione Nazionale Antimafia, dottor Vincenzo Macrì, sul regime de-tentivo speciale previsto dall'articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975 n. 354, cit, p. 9.

(184) In questo senso si esprime L. CESARIS, sub art. 41-bis ord. penit., 2015, cit., p. 481. Nella medesima direzione sembra orientarsi anche F. RESTA, La nuova disciplina dell'art. 41-bis ord.

pe-nit., in Giur. merito, 2009, p. 2687.

(185) Sugli effetti irragionevoli e controproducenti che l'impossibilità di revocare il “carcere duro” a chi intraprende un percorso di collaborazione con la giustizia v. ampiamente P. CORVI,

Trattamento penitenziario e criminalità organizzata, cit., p. 229. Cfr. anche F. FIORENTIN, Carcere

duro: mano pesante sui colloqui, cit., p. 75.

(186) Così B. BOCCHINI, Revoca anticipata del regime differenziato: “la logica dello

strumento” tra involuzioni normative e giurisprudenza adeguatrice, in G. it., 2013, p. 1924.

L'Au-trice sottolinea con accento critico come la giurisprudenza, riesumando il potere di revoca ministe-riale, abbia “corretto il tiro” del legislatore in un sistema ove «i giudici dovrebbero avere il monopolio degli strumenti penali, ma se qualcuno deve o meno essere punito, difendersi e come, do -vrebbe rimanere privilegio riservato alle sole norme giuridiche». E quindi, «in una sorta di caos sovversivo in cui l'ordine dei poteri legislativo e giudiziario si mescola incomprensibilmente, sta di fatto che la revoca anticipata ministeriale non dovrebbe più esistere». In quest'ottica, precisa la me-desima Autrice, pur uscendo vittoriosi i diritti dei detenuti ed i loro strumenti di tutela, viene meno «la certezza della regola e della sua applicazione che dovrebbe, tuttavia, rappresentare la base di un Paese che grida all'équitable del processo anche esecutivo».

(187) Infatti, già all'indomani della riforma del 2009, vi era chi affermava che «anche alla luce del nuovo testo non pare, in ogni caso, giustificata una eventuale inerzia del ministro nel momento in cui siano acquisiti elementi tali da rendere evidente la sopravvenuta carenza dei presupposti che

Invero, la Cassazione, superando un suo precedente arresto188, ha ritenuto ammissibile il reclamo avverso l'implicito diniego di revoca del provvedimento di sottoposizione al regime differenziato189: constatata la natura di rimedio generale riconosciuta (per consolidata giurisprudenza costituzionale190) allo strumento di-sciplinato dall'art. 14-ter ord. penit., ha sottolineato che «venuta meno la previsio-ne speciale [di cui all'art. 41-bis comma 2-ter ord. penit.] si riespande, pertanto, quella generale, senza che si determini, sul piano dei diritti dei detenuti, un vuoto di tutela»191. Ha inoltre ritenuto, la Suprema Corte, che «l'ammissibilità del recla-mo nella materia in esame dia attuazione alle finalità generali ed ai principi ispira-tori della disciplina a tutela del cittadino di fronte alla Pubblica Amministrazione, introdotti per il procedimento amministrativo dall'art. 21-quinquies, comma 1, del-la legge n. 241 del 1990 con del-la previsione deldel-la revoca del provvedimento a fronte del maturare di un mutamento della situazione di fatto o di una nuova valutazione dell'interesse pubblico», sottostanti l'adozione del provvedimento medesimo192.

La soluzione “di compromesso” adottata dalla Corte ha positivamente per-avevano giustificato l'applicazione del “carcere duro”». Così F. FIORENTIN, Carcere duro: mano

pesante sui colloqui, cit., p. 75. Nella stessa direzione v. A. DELLA BELLA, Il regime detentivo

spe-ciale di cui all'art. 41-bis ord. penit., cit., p. 445; P. CORVI, Trattamento penitenziario e criminalità

organizzata, cit., p. 230. Peraltro, già prima della riforma del 2009, l'introduzione del comma 2-ter

era stata considerata pleonastica da S. ARDITA, Il nuovo regime dell'art. 41-bis, cit., p. 12 in quanto nulla aggiungeva rispetto alla disciplina generale sulla revoca degli atti amministrativi.

(188) Cass., Sez. I, 18 settembre 2009, n. 41567, Gionta, in CED Cass., n. 245046 secondo cui «l'art. 41 bis, comma 2 ter, introdotto con L.23 dicembre 2002, n. 279, che prevedeva la revoca del decreto per il venire meno delle condizioni che avevano determinato l'adozione o la proroga del provvedimento e la possibilità di impugnazione del provvedimento ministeriale sul silenzio o sul rigetto della istanza di revoca, è stato abrogato dalla L. 15 luglio 2009, n. 94, art. 2, comma 25, pubblicata nella G.U. del 24.7.2009 n. 170, che ha riscritto la disciplina del regime differenziato, per cui non vi è ora più possibilità di chiedere la revoca anticipata del decreto emesso ai sensi del-l'art. 41 bis, né di impugnazione del silenzio su una istanza presentata in tal senso». Sulla base di tali osservazioni, la Corte ha quindi precisato che l'eventuale istanza di revoca del regime differen-ziato, pur ritualmente presentata, non può più essere presa in considerazione, in virtù del principio “tempus regit actum”, ma può essere valutata, ricorrendone le condizioni, come reclamo contro il decreto ministeriale di sottoposizione al regime di detenzione speciale».

(189) Cass., Sez. I, 25 febbraio 2011, n. 18021, Mangiaracina, in CED Cass., n. 250272; Cass., Sez. I, 9 novembre 2012, n. 47919, Attanasio, inedita.

(190) In questo senso cfr. Corte cost., sent. 28 luglio 1993, n. 349, in www.giurcost.org; Corte cost., sent. 23 novembre 1993, n. 410, in www.giurcost.org; Corte cost., sent. 18 ottobre 1996, n. 351, in www.giurcost.org; Corte cost., sent. 26 ottobre 2009, n. 266, in www.giurcost.org; Corte cost., sent. 23 novembre 1993, n. 410, in www.giurcost.org; Corte cost., sent. 28 maggio 2010, n. 190, in www.giurcost.org.

(191) Così Cass., Sez. I, 25 febbraio 2011, n. 18021, Mangiaracina, cit. (192) In questi termini Cass., Sez. I, 9 novembre 2012, n. 47919, Attanasio, cit.

messo di scongiurare parte degli effetti negativi che l'intervento legislativo del 2009 avrebbe potuto produrre a danno tanto dell'istituto del “carcere duro” quanto soprattutto dei diritti del detenuto. Tuttavia, per ammettere l'esistenza di un potere/dovere dell'autorità amministrativa di revocare il decreto ministeriale qua-lora siano venute meno le condizioni che ne avevano determinato illo tempore l'a-dozione o la proroga, non sembra necessario “scomodare”, come pure è stato fat-to, la disciplina contenuta nel suddetto art. 21-quinquies comma 1 – disciplina che peraltro, specie a seguito delle recenti riforme, sembra prediligere un'impostazio-ne tendente alla conservazioun'impostazio-ne degli atti amministrativi, mal conciliandosi quindi con provvedimenti che, come quello di sospensione delle ordinarie regole del trat-tamento penitenziario, finiscono per gravare sui diritti fondamentali della perso-na193 – potendosi, per converso, fare riferimento al più generale principio di legali-tà cui deve informarsi l'operato della pubblica amministrazione. Ed infatti, venen-done meno i presupposti e le finalità, la protrazione del regime speciale a carico del soggetto in vinculis, e quindi la (conseguente) compressione delle posizioni giuridiche di cui il medesimo è titolare, finiscono per diventare illegittime194, de-terminando in capo al Ministro della giustizia195 l'obbligo di ritirare (ex officio o su sollecitazione dell'interessato) un provvedimento divenuto ingiustamente limitati-(193) Attualmente, a seguito delle modifiche apportate dal D.L. 12 settembre 2014 n. 133, con-vertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, l'art. 21-quinquies comma 1 l. 241/90 statuisce: «Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell'adozione del provvedimento o, salvo che per i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, di nuova valutazio-ne dell'interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell'organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. La revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la re-voca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l'amministrazione ha l'ob-bligo di provvedere al loro indennizzo.

(194) Mutatis mutandis potrebbero richiamarsi le parole della Consulta là dove hanno lucida-mente evidenziato che «non possono […] disporsi misure che per il loro contenuto non siano ri-conducibili alla concreta esigenza di tutelare l'ordine e la sicurezza, o siano palesemente inidonee o incongrue rispetto alle esigenze di ordine e di sicurezza che motivano il provvedimento. Man-cando tale congruità, infatti, le misure in questione non risponderebbero più al fine per il quale la legge consente che esse siano adottate, ma acquisterebbero un significato diverso, divenendo in-giustificate deroghe all'ordinario regime carcerario, con una portata puramente afflittiva non ricon-ducibile alla funzione attribuita dalla legge al provvedimento ministeriale». Così Corte cost., sent. 18 ottobre 1996, n. 351, cit.

(195) Peraltro, in sede di revoca del decreto ministeriale, il Guardasigilli, in virtù del principio del contrarius actus, dovrà seguire la medesima procedura prevista per l'adozione del provvedi-mento.

vo dei diritti riconosciuti dall'ordinamento al detenuto196.

Ad ogni modo, pare corretto affermare che, nonostante l'abrogazione del comma 2-ter, la possibilità di revoca anticipata del “carcere duro” sia da ritenersi tuttora esistente, sicché il Guardasigilli, nell'esercizio del suo potere di autotutela amministrativa, può annullare il decreto di sospensione delle ordinarie regole del trattamento qualora venga rilevata la mancanza ab origine dei presupposti neces-sari ovvero può revocare il medesimo nel caso in cui le esigenze di prevenzione, inizialmente sussistenti, siano successivamente venute meno197. Ne consegue che il provvedimento ministeriale perde efficacia ex tunc nel primo caso ed ex nunc nel secondo, al pari di quanto avviene in materia di misure di prevenzione198.

In ossequio ai fondamentali principi sanciti dagli artt. 24 e 113 Cost.199 e a quanto asserito dalla Suprema Corte nelle pronunce sopra richiamate, il detenuto, di fronte all'eventuale silenzio-diniego dell'amministrazione in ordine alla sua ri-(196) In dottrina, sembra orientarsi in questa direzione G. M. NAPOLI, Il regime penitenziario, cit., p. 227.

(197) P. CORVI, Trattamento penitenziario e criminalità organizzata, cit., p. 230; S. ARDITA, Il

regime detentivo speciale, cit., p. 132 e s. il quale sottolinea condivisibilmente che, prima

dell'eser-cizio del suddetto potere di autotutela, è opportuno che il Ministro consulti gli organi investigativi competenti per l'istruttoria.

(198) Per la distinzione tra revoca con efficacia ex tunc e revoca con efficacia ex nunc delle mi-sure di prevenzione v. Cass., Sez. I, 1 giugno 2006, n. 21858, in CED Cass., n. 234704 nonché Cass., Sez. I, 13 marzo 2000, n. 5978, in Cass. pen., 2001, p. 2487 secondo cui «la revoca o l'an-nullamento del decreto di sottoposizione ad una misura di prevenzione soltanto se pronunciati per motivi di legittimità operano “ex tunc”, cioè dal momento dell'emanazione della misura, mentre se conseguono a sopraggiunte situazioni che fanno venire meno la pericolosità sociale del prevenuto hanno efficacia “ex nunc”, cioè dall'emanazione del provvedimento di revoca». In dottrina v. per tutti P. V. MOLINARI, Alcune riflessioni sugli effetti ex tunc od ex nunc della revoca delle misure di

prevenzione, in Cass. pen., 1995, p. 384. Se la dicotomia tra revoca ex tunc e revoca ex nunc è

ipo-tizzabile anche in tema di “carcere duro” come qui prospettato, allora se ne devono dedurre impor-tanti conseguenze. Infatti, si pensi al caso in cui, in costanza di applicazione della disciplina extra

ordinem, un soggetto (ad esempio un agente di polizia penitenziaria) sia stato incriminato per il

reato di cui all'art. 391-bis cod. pen. per aver consentito ad un detenuto sottoposto al regime spe-ciale di comunicare con altri in elusione delle prescrizioni all'uopo imposte. Data questa situazio-ne, qualora il decreto ministeriale fosse successivamente annullato con effetto retroattivo (quindi in caso di revoca ex tunc), che ne sarebbe della suddetta incriminazione? A rigore, applicando il principio di diritto elaborato dalla Cassazione in materia di misure di prevenzione, se ne dovrebbe concludere per «l'immediata declaratoria della insussistenza del fatto ai sensi dell'art. 129 c.p.p. in relazione all'art. 609 c.p.p. comma 2». Invero, se la revoca produce l'effetto della caducazione ora per allora delle prescrizioni imposte dal Ministro della giustizia, come se non fossero mai esistite, di conseguenza non è in radice possibile configurare la loro elusione. In questi termini, seppur con le dovute differenze, si è pronunciata la Suprema Corte in riferimento alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza. V. per tutte Cass., Sez. I, 11 novembre 2008, n. 44601, in Cass. pen., 2009, p. 3599.

chiesta di revoca, potrà tutelare in via giurisdizionale la propria posizione sogget-tiva interponendo reclamo al giudice territorialmente competente. È tuttavia in questa prospettiva che si possono scorgere le maggiori criticità prodotte dall'abro-gazione del vecchio comma 2-ter. Infatti, se a pronunciarsi sul reclamo avverso il provvedimento che dispone l'applicazione o la proroga del regime detentivo spe-ciale è oggi competente il tribunale di sorveglianza di Roma in ragione del dispo-sto di cui all'art. 41-bis comma 2-quinquies ord. penit., così come novellato dal le-gislatore del 2009, resta da capire, nel silenzio della legge, a quale giudice spetti la competenza a decidere nella differente ipotesi di reclamo contro il diniego mini-steriale. In altri termini, il problema è quello di stabilire se in quest'ultimo caso trovi applicazione il principio generale del locus custodiae previsto dall'art. 677 comma 1 cod. proc. pen. – in virtù del quale a conoscere le materie attribuite alla magistratura di sorveglianza è l'omonimo tribunale che ha giurisdizione sull'istitu-to di pena in cui si trova l'interessasull'istitu-to all'atsull'istitu-to della richiesta, della proposta o dell'i-nizio di ufficio del procedimento – ovvero se anche per la decisione sul reclamo contro il diniego ministeriale sia competente il giudice capitolino200.

Sul punto, mentre la giurisprudenza di merito ha inizialmente optato la pri-ma ipotesi201, la Cassazione ha statuito che «essendo stata introdotta dalla L. n. 94 del 2009 la competenza del Tribunale di sorveglianza di Roma a decidere sul re-clamo avverso i provvedimenti del Ministro della Giustizia che dispongono l'ap-plicazione o la proroga del regime detentivo speciale di cui all'art. 41 bis, deve ri-(200) Si noti che tale problema non si sarebbe verificato se l'anzidetta riforma non avesse priva-to l'art. 41-bis ord. penit. del suo comma 2-ter poiché quest'ultimo, in punpriva-to di tutela giurisdiziona-le, operava un rinvio al disposto dei commi 2-quinquies e 2-sexies rendendo uniforme la disciplina dei rimedi impugnatori tanto in caso di reclamo avverso il provvedimento che dispone l'applica-zione o la proroga del regime detentivo speciale quanto nell'ipotesi di reclamo contro il diniego ministeriale.

(201) In tal senso v. Trib. Sorv. Roma, 25 ottobre 2010, n. 4671, in Guida dir., 2011, p. 67.

Con-tra, in dottrina, A. CISTERNA, Al giudice del luogo in cui si trova il carcere il compito di verificare

se esistono le condizioni, in Guida dir., 2011, f. 9, p. 68 secondo cui tale soluzione è «capace di

mettere in discussione uno dei punti qualificanti della riforma del “carcere duro”, ossia l'attribuzione esclusiva al tribunale di sorveglianza di Roma della decisiol'attribuzione sui reclami avverso i decreti im -positivi o di proroga della sospensione delle regole ordinarie di trattamento carcerario». Il medesi-mo Autore evidenzia infatti che se il giudice del reclamedesi-mo ex art. 41-bis ord. penit. è il tribunale di sorveglianza capitolino, non si vede come il giudice del reclamo ex art. 14-ter ord. penit. possa es-sere altro e ben distinto dal primo: «è il principio di immutabilità del giudice della cognizione e del trattamento a esigere piuttosto che la competenza non sia frantumata».

tenersi che anche il rigetto, per silenzio rifiuto, della richiesta di revoca anticipata del provvedimento ministeriale debba rientrare nella competenza del predetto Tri-bunale di sorveglianza, poiché nel giudizio di impugnazione avente ad oggetto il rigetto della richiesta di revoca anticipata del provvedimento che ha applicato o prorogato il regime speciale di detenzione si deve verificare, esattamente come nel giudizio di impugnazione avente ad oggetto il provvedimento che ha disposto la proroga, se sussistono ancora i presupposti» per il mantenimento del “carcere duro”202.

Tale pronuncia non sembra qui potersi condividere appieno. A ben vedere, infatti, nel lodevole intento di garantire la coerenza e l'uniformità di un sistema che si trova a dover fare i conti con una scelta legislativa non certo idilliaca, la Su-prema Corte pare abbia informato la propria decisione al brocardo ubi eadem

ra-tio, ibi eadem legis disposira-tio, in applicazione del quale – parafrasando la

Cassa-zione – se l'oggetto del giudizio è il medesimo (sussistenza dei presupposti per il mantenimento del regime speciale), medesimo deve essere anche il giudice com-petente (tribunale di sorveglianza di Roma). Sennonché, pur non negando la bontà del risultato ottenuto, vale a dire la coerenza del diritto, deve constatarsi come i mezzi impiegati per raggiungerlo, ed in particolare l'utilizzo del ragionamento per

analogia legis, trovino in questa sede un ostacolo insormontabile sul loro

cammi-no. Invero, la disposizione attributiva della competenza in capo al giudice di sor-veglianza capitolino a decidere sui reclami avverso i provvedimenti che dispongo-no l'applicazione o la proroga del “carcere duro”, recando «una vistosa deroga al criterio del locus custodiae»203, non è passibile di applicazione analogica atteso che, a mente dell'art. 14 delle preleggi, «le leggi […] che fanno eccezione a regole generali […] non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati»204. Di con-(202) In questi termini Cass., Sez. I, 18 settembre 2012, n. 39863, confl. in proc. Iacolare, in

CED Cass., n. 253288. Contra, in dottrina, G. M. NAPOLI, Il regime penitenziario, cit., p. 227.

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