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Il presupposto funzionale: la sussistenza di collegamenti con un'as- un'as-sociazione criminale, terroristica o eversiva

I PRESUPPOSTI APPLICATIVI DEL REGIME DETENTIVO SPECIALE

5. Il presupposto funzionale: la sussistenza di collegamenti con un'as- un'as-sociazione criminale, terroristica o eversiva

La versione originaria dell'art. 41-bis comma 2 ord. penit. individuava l'u-nico requisito soggettivo di applicazione del regime speciale nella detenzione «per taluno dei delitti di cui al comma 1 dell'articolo 4-bis» ord. penit., non essendo esplicitamente richiesto alcun presupposto di natura funzionale.

Attesa questa impostazione normativa, tra gli interpreti si era sottolineato come la sospensione delle ordinarie regole del trattamento finisse per essere di-sposta in conseguenza di una particolare pericolosità sociale, desunta ex lege dal titolo di reato, in capo a quei soggetti che si trovavano in carcere per uno dei gravi delitti previsti all'articolo da ultimo menzionato86. Quindi, si sosteneva che l'ado-zione del provvedimento ministeriale fosse basata unicamente sulla figura

crimi-nis oggetto di condanna o di imputazione, prescindendo da elementi specifici ed

individualizzati che consentissero di mettere in collegamento le concrete esigenze di sicurezza pubblica ai singoli detenuti87.

In effetti, nella prassi, le direzioni degli istituti venivano invitate a fornire l'elenco di tutte le persone in vinculis per reati legittimanti l'applicazione del “car-cere duro”, segnalando un generico curriculum per ciascuno di essi: da tali elenchi venivano poi tratti «– con criteri che non possono che essere definiti misteriosi, (86) Era stato, infatti, avvertito il rischio di creare una sorta di «tipo normativo d'autore caratte-rizzato da elevata pericolosità». Così F. GIUNTA, Art. 1 l. 16.2.1995 n. 36, in L. p., 1996, p. 47. V. inoltre, nella medesima direzione, T. PADOVANI, Il regime di sorveglianza particolare: ordine e

si-curezza negli istituti penitenziari all'approdo della legalità, in V. GREVI (a cura di), L'ordinamento

penitenziario tra riforme ed emerganza (1986-93), Padova, 1994, p. 186; N. DE RIENZO, Il regime

sospensivo previsto dal secondo comma dell'art. 41-bis dell'ordinamento penitenziario: una rilet-tura del sistema della sicurezza, in A. PRESUTTI (a cura di), Criminalità organizzata e politiche

pe-nitenziarie, Milano, 1994, p. 114 e s.

(87) Cfr., in tal senso, v. N. DE RIENZO, op. cit., p. 117. L'Autore auspicava l'introduzione di «un criterio di collegamento realistico tra la misura e il suo destinatario» precisando che tale criterio avrebbe potuto rinvenirsi «tenendo conto sia dello scopo perseguito con la misura sospensiva che dei suoi oggettivi presupposti applicativi». Per analoghe considerazioni cfr. F. GIUNTA, op. cit., p. 55; L. BRESCIANI, Sulle istanze per revocare i provvedimenti. L'ombra del «silenzio-diniego»

mini-steriale, in Guida dir., 2003, f. 1, p. 34; P. GIORDANO, Un punto fermo nell'incerto metodo di

legi-ferare, in Guida dir., 2003, f. 1, p. 37; T. PADOVANI, Il regime di sorveglianza particolare, cit., p. 189; R. MERANI, Il rapporto con il sistema penitenziario. I vari circuiti penitenziari: a) la

sicurez-za accentuata, in CSM Quaderni, 80, 1995, p. 287 e s.; G. DI GENNARO, R. BREDA, G. LA GRECA,

Ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione, Milano, 1997, p. 206. Questi

ulti-mi Autori evidenziavano come il riferimento ai titoli di reato per l'applicazione del regime non fos-se coerente con il principio di individualizzazione della pena a cui è informato tutto l'ordinamento penitenziario.

ma che hanno tutta l'apparenza della decimazione – i protagonisti della nuova massima sicurezza»88.

Questi aspetti problematici non sono sfuggiti alla Corte costituzionale che, con un'importante sentenza interpretativa di rigetto, ha avuto modo di chiarire come il regime speciale sia fondato non già astrattamente sulla fattispecie crimi-nosa oggetto della condanna o dell'imputazione, ma sull'effettivo pericolo della permanenza di collegamenti, di cui i fatti di reato concretamente contestati costi-tuiscono solo una logica premessa89. Il Giudice delle leggi ha pertanto escluso l'il-legittimità costituzionale dell'art. 41-bis comma 2 ord. penit. sulla base della ne-cessità che, in sede di sospensione delle ordinarie regole trattamentali, l'ammini-strazione effettui una duplice valutazione concernente, da un lato, il titolo detenti-vo e, dall'altro, i legami del soggetto in vinculis con un'organizzazione criminale operante sul territorio.

Dal canto suo, il legislatore, mosso dalla «logica della chiarificazione»90, (88) Così R. MERANI, op. cit., p. 289. L'Autore ha evidenziato altresì (p. 287 e s.) come la norma fosse totalmente sfornita di dati di riferimento che consentissero di mettere in relazione le concrete esigenze di sicurezza pubblica con i singoli soggetti, aprendo, di conseguenza, la porta dell'arbi-trio. Invero, i motivi rilevanti ai fini dell'applicazione della norma venivano «individuati soltanto sotto un profilo quantitativo e non qualitativo. In tal senso [risultava] legittimato il richiamo a qualsiasi grave motivo di ordine pubblico anche se non direttamente inferibile alla situazione reale di un singolo detenuto. Certo [era] impensabile che si [arrivasse] ad utilizzare un qualcosa di asso-lutamente estraneo a situazioni che [potessero] interessare soggetti autori di reato – pensiamo ad una calamità naturale o ad una epidemia che abbia riflessi gravi sulla sicurezza collettiva. Ma non [era] impensabile che uno o più gravi fatti criminali, e più in generale una situazione precaria di ordine e sicurezza pubblica quale certamente possiamo riscontrare in alcune zone del Paese, [po-tessero] occasionare l'intervento reso possibile dalla norma in esame. E in realtà è quello che è ac-caduto. La lettura dei decreti ministeriali che si sono succeduti dopo il 20.7.1992, fanno infatti rife-rimento “all'azione sempre più diffusa, aggressiva e spietata della criminalità organizzata” ed agli eccidi di Capaci e di via D'Amelio. Da qui si fa conseguire, con una serie di ritenuto e considerato del tutto generica e stereotipata, una congerie di limitazioni al trattamento […] che è difficile ri -connettere a situazioni di emergenza esterna».

(89) Cfr. Corte cost., sent. 5 dicembre 1997, n. 376, in www.giurcost.org in cui si può leggere: «non vi è […] una categoria di detenuti, individuati a priori in base al titolo di reato, sottoposti ad un regime differenziato: ma solo singoli detenuti, condannati o imputati per delitti di criminalità organizzata, che l'amministrazione ritenga, motivatamente e sotto il controllo dei Tribunali di sor-veglianza, in grado di partecipare, attraverso i loro collegamenti interni ed esterni, alle organizza-zioni criminali e alle loro attività, e che per questa ragione sottopone – sempre motivatamente e col controllo giurisdizionale – a quelle sole restrizioni che siano concretamente idonee a prevenire tale pericolo, attraverso la soppressione o la riduzione delle opportunità che in tal senso discenderebbe-ro dall'applicazione del normale regime penitenziario».

(90) Testualmente A. DI GIOVANNI, Il “carcere duro” alla prova dei fatti. Una riforma nel

ri-spetto dei valori costituzionali, in Dir. e giust., 2002, f. 42, p. 71; EAD., Ordinamento

ha recepito e “codificato” il principio espresso dalla Consulta, affiancando al re-quisito “statico” rappresentato dalla detenzione per un reato giustificativo ovvero per un delitto commesso con metodo mafioso o finalizzato ad agevolare la

socie-tas sceleris, un presupposto “dinamico”, di carattere funzionale, il quale, da un

lato, esclude che il provvedimento ministeriale possa fondarsi sul “tipo d'autore” e dipendere da intollerabili automatismi91 e, dall'altro, ne subordina l'adozione al-l'accertamento in concreto della pericolosità del singolo detenuto92.

A tal proposito, in caso di prima applicazione del regime de quo – dell'ipo-tesi della proroga si parlerà ampiamente nel prosieguo del lavoro – si richiede che «vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un'asso-ciazione criminale, terroristica o eversiva»93. Va, tuttavia, osservato come parte della dottrina, traslando, in subiecta materia, il requisito funzionale previsto per la reiterazione del provvedimento, ritenga che il presupposto di cui trattasi vada indi-2003, f. 1, p. 9.

(91) V. in questa direzione L. BRESCIANI, op. cit., p. 34. In senso analogo A. LAUDATI, Una storia

infinita: il 41bis non merita censure di incostituzionalità, in Dir. e giust., 2003, f. 18, p. 95; S.

ARDITA, Il nuovo regime dell'art. 41-bis dell'ordinamento penitenziario, in Cass. pen., 2003, p. 9. A seguito della riforma del 2002, quindi, appare più sfumato quello che, nel testo originario del comma 2 dell'art. 41-bis ord. penit., appariva un secco automatismo: l'introduzione dell'accerta-mento di elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un'associazione criminale, terroristica o eversiva rappresenta «una incrinatura alla biunivocità tra gravità del reato e afflittivi-tà della detenzione». Cosi A. BERNASCONI, L'emergenza diviene norma: un ambíto e discutibile

traguardo per il regime ex art. 41-bis comma 2 ord. penit., in G. DI CHIARA (a cura di), Il processo

penale tra politiche della sicurezza e nuovi garantismi, Torino, 2003, p. 294 e s.

(92) D. PETRINI, Il regime di “carcere duro” diventa definitivo, in L. p., 2003, p. 242. Ferma re-stando, quindi, la necessità di valutare caso per caso la posizione del singolo detenuto, al fine di determinare se con riferimento a costui sussistano o meno le esigenze di prevenzione che legitti-mano l'applicazione del 41-bis, la Direzione Nazionale Antimafia, nel citato documento recante «Linee di orientamento sull'applicazione del regime speciale di detenzione ex art. 41 bis O.P. alla luce della giurisprudenza costituzionale», ha individuato le seguenti categorie di soggetti da privi-legiare nelle proposte di sottoposizione al regime differenziato: a) capi, organizzatori, promotori, dirigenti delle organizzazioni di cui all'art. 416-bis cod. pen. e 74 D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309; b) mandanti, organizzatori, finanziatori, dei reati di omicidio, strage, ecc., eseguiti avvalendosi del vincolo associativo; c) organizzatori dei reati di estorsione aggravata e di sequestro di persona a scopo di estorsione; d) esecutori dei reati sopra riferiti, quando però tale ruolo risulta esercitato con particolare continuità e professionalità; e) elementi di collegamento con settori deviati delle istitu-zioni, della massoneria, con organizzazioni eversive o terroristiche, con formazioni militari o poli-tiche straniere dedite ad attività di tipo eversivo o terroristico; f) elementi inseriti, con ruoli diretti-vi o comunque di rilievo, nel circuito del riciclaggio internazionale di profitti illeciti. Per queste in-dicazioni v. V. MACRÌ, op. cit., p. 20 e s.

(93) Il presupposto funzionale “codificato” nel 2002 «è stato ripreso dalla prassi amministrativa già adottata sotto il previgente sistema». Così S. ARDITA, Il nuovo regime dell'art. 41-bis, cit., p. 9; ID., Problematiche di prevenzione, cit., p. 3.

viduato non tanto nel “collegamento” bensì nella “capacità di collegamento” da intendersi come «dedizione assoluta e disponibilità incondizionata del detenuto verso l'associazione mafiosa operante all'esterno»94. Benché questa interpretazione abbia trovato fortuna in alcune pronunce dei giudici di merito95, la giurisprudenza di legittimità si è espressa in direzione opposta, chiarendo che, in sede di prima emissione del decreto, i più rigorosi criteri previsti dal comma 2 dell'art. 41-bis ord. penit. impongono «l'effettivo accertamento di elementi tali da far ritenere la sussistenza (ovvero la concreta esistenza di attualità) di collegamenti con un'asso-ciazione criminale» e non la «mera capacità (ovvero la potenziale attitudine) del detenuto di mantenere contatti»96.

Se è indubbio che l'onus probandi ricada sul Ministro della giustizia, oc-corre da subito osservare come costui, per via del suo ruolo istituzionale e del fat-to che la sua attività sia comunemente ispirata ai canoni della rieducazione e del reinserimento sociale97, difficilmente possieda la disponibilità di quelle informa-zioni utili a vagliare l'attuale legame tra il soggetto in vinculis e il sodalizio crimi-nale operante all'esterno del carcere. A questo proposito, l'art. 41-bis comma 2-bis ord. penit. si è fatto carico di regolare una fase istruttoria prodromica alla defini-zione del quadro “probatorio” relativo ai presupposti per l'applicadefini-zione del regime detentivo speciale98, delineando un particolare raccordo istituzionale che coinvol-ge il Guardasigilli e tutti gli organi investigativi e di polizia impegnati nell'azione di contrasto alla criminalità organizzata.

Quanto al grado di prova che deve essere raggiunto, la giurisprudenza di legittimità ritiene che la sussistenza del requisito funzionale non debba essere di-(94) Per queste considerazioni v. S. ARDITA, Il regime detentivo speciale, cit., p. 93. Parla di «ca-pacità di mantenere collegamenti» anche G. M. NAPOLI, op. cit., p. 221. Contra M. MARGARITELLI,

op. cit., p. 761.

(95) Cfr. Trib. sorv. Roma, 15 novembre 2005, citata da S. ARDITA, Il regime detentivo speciale, cit., p. 94.

(96) Così Cass., Sez. I, 7 dicembre 2007, n. 47445, inedita.

(97) P. CORVI, op. cit., p. 142; S. ARDITA, Problematiche di prevenzione, cit., p. 42 e s.; ID., La

funzione di prevenzione antimafia, cit., p. 148.

(98) S. ARDITA, Il nuovo regime dell'art. 41-bis, cit., p. 11; diffusamente F. GIUNCHEDI,

Esecu-zione e modalità di espiaEsecu-zione della pena, cit., p. 19 il quale evidenzia come quest'attività

istrutto-ria venga attivata, in chiave generale, per vagliare i gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica e, in chiave individuale, per valutare la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata.

mostrata in termini di certezza, essendo necessario e sufficiente che questa possa ragionevolmente ritenersi probabile sulla scorta dei dati conoscitivi di volta in volta acquisiti99. A fronte di questo orientamento della Suprema Corte, tuttavia, parte autorevole della dottrina ritiene auspicabile un'esegesi restrittiva della norma in questione tale che sia necessaria «la prova positiva oggettiva dei collegamenti, per spezzare il nesso tra pericolosità presunta derivante dal titolo di reato e ado-zione del procedimento»100.

Occorre ancora interrogarsi su quali fattori possano dirsi idonei ad esclude-re l'attualità del vincolo associativo ed in particolaesclude-re esclude-resta da capiesclude-re se, a tal fine, sia necessaria la collaborazione del soggetto in vinculis con le autorità di giustizia oppure se siano sufficienti condotte, per così dire, “meno radicali”. Va preliminar-mente osservato come la stessa questione si ponga anche con riferimento al divie-to di concessione dei benefici penitenziari e delle misure alternative alla detenzio-ne ai sensi dell'art. 4-bis ord. penit. il quale tuttavia, a differenza dell'art. 41-bis ord. penit., affronta espressamente il problema, prevedendo, da un lato (comma 1), che in caso di collaborazione “piena” ex art 58-ter la recisione dei legami con la criminalità organizzata sia presunta101 e, dall'altro lato (comma 1-bis), che in pre-(99) Cass., Sez. I, 28 settembre 2005, Emmanuello, in CED Cass, n. 232684; Cass., Sez. I, 29 ottobre 2004, P.G. in proc. Foriglio, CED Cass, n. 230136. Più di recente v. Cass., Sez. I, 7 maggio 2015, Caporrimo, in CED Cass, n. 263508. Ai fini dell'accertamento dei collegamenti tra il detenu-to e la criminalità organizzata, la Suprema Corte ha ritenudetenu-to valutabili a tal fine gli elementi rica-vati dalla pendenza di procedimenti per altri delitti di criminalità organizzata, come ricorre nel caso in cui Tizio, già condannato con sentenza irrevocabile per associazione a delinquere di stam-po mafioso, sia ora nuovamente sottostam-posto a procedimento penale per tale reato. La giurisprudenza è quindi orientata nell'escludere la necessità di un grado di prova che vada “al di là di ogni ragio-nevole dubbio”, diversamente da quanto invece richiesto per formulare un giudizio di responsabili-tà. In dottrina v. S. ARDITA, La costituzionalità del 41-bis e l'obbligo di motivazione della proroga, in Cass. pen., 2005, p. 1562; V. MACRÌ, op. cit., p. 12.

(100) Così L. CESARIS, sub art. 41-bis ord. penit., 2015, cit., p. 456; G. M. NAPOLI, op. cit., p. 221. Critico sul punto è anche G. FRIGO, La deroga a regole generali impoverisce il sistema, in

Guida dir., 2003, f. 1, p. 42 il quale ritiene che il presupposto funzionale in esame sia «ben lungi

dall'essere richiesto come oggetto di “prova”, bastando che «vi siano elementi tali da fare ritenere» i collegamenti stessi». L'Autore evidenzia come ciò possa portare a «impalpabili e soggettive valu-tazioni meramente indiziarie e congetturali, fonte di discriminazioni e […] possibile strumento di pressione». Pare inoltre corretto ritenere che l'accertamento dei collegamenti con la criminalità or-ganizzata debba essere particolarmente scrupoloso in riferimento a quei soggetti condannati o im-putati per reati diversi da quelli associativi. In tal direzione v. L. BLASI, L'articolo 41-bis comma

2° dell'ordinamento penitenziario: una rilettura alla luce della legge n. 279/02, in Rass. penit. crim., 2003, f. 1-2, p. 271.

(101) R. DEL COCO, op. cit., p. 201; P. CORVI, op. cit., p. 51. Secondo quest'ultima Autrice, la presunzione di rottura dei collegamenti con la criminalità organizzata, che deriva dall'aver

collabo-senza di collaborazione “attenuata”102 sia invece necessaria l'acquisizione di ele-menti tali da escludere l'attualità di collegaele-menti con questa forma di delinquenza.

Orbene, la soluzione normativa adottata dall'art. 4-bis ord. penit. pare non potersi estendere in materia di regime detentivo speciale per diverse ragioni. Anzi-tutto, l'art. 41-bis ord. penit. non opera alcun cenno all'atteggiamento delatorio del soggetto in vinculis103 sicché, adottando un'interpretazione letterale, l'esigenza di una condotta collaborativa verrebbe evidentemente esclusa. Inoltre, la questione dei collegamenti con il crimine organizzato è disciplinata dalle due disposizioni in questione – art. 4-bis e art. 41-bis ord. penit. – in modo tutt'altro che speculare in quanto il primo articolo, di fronte a determinate fattispecie delittuose, considera presunti i suddetti legami mentre il secondo, pur in presenza degli stessi reati, ne richiede l'accertamento in positivo104. Da ultimo, la necessità del “pentimento” è da respingere in virtù di un'interpretazione teleologica dell'art. 41-bis comma 2 ord. penit. dal momento che, se la funzione del “carcere duro” è quella di «impe-dire i collegamenti con l'associazione» (così recita lo stesso articolo)105, la sua ap-rato con la giustizia ai sensi dell'art. 58-ter ord. penit., si evince dal fatto che in questo caso, per superare le preclusioni di cui all'art. 4-bis comma 1 ord. penit., non sia richiesta l'acquisizione di elementi tali da escludere i collegamenti stessi.

(102) Per la distinzione tra collaborazione “piena” e collaborazione “attenuata” v. C. FIORIO,

Sempre nuove questioni di diritto penitenziario: la “collaborazione” come presupposto per i bene-fici, in G. cost., 1993, p. 2507.

(103) Sottolinea ciò P. CORVI, op. cit., p. 139.

(104) Ad avviso di chi scrive, anche in tema di collegamenti con la criminalità organizzata, gli artt. 4-bis e 41-bis ord. penit. mostrano uno scarso coordinamento reciproco in quanto, per come disciplinati, rischiano di dar luogo ad un'assurda situazione tale per cui il medesimo detenuto possa esser considerato, ai fini del divieto di concessione dei benefici penitenziari, in collegamento con l'associazione mafiosa – dal momento che non ha prestato alcuna forma di collaborazione – ma, al tempo stesso, possa non esserlo per ciò riguarda la sospensione delle regole di trattamento in quan-to non sono stati acquisiti elementi adeguati in tal senso. Questa conseguenza, pur potendo essere astrattamente giustificabile sul piano giuridico per via della diversa funzione dei due istituti o del diverso grado di restrizione della libertà personale che essi comportano, sul piano ontologico finisce per risolversi nell'assurdo paradosso che vede il medesimo soggetto, al tempo stesso, “collega -to e non collega-to” con la mafia. La contraddizione diventa ancora più forte se si considera che i legami con la criminalità organizzata, sottesi alle due norme, nonostante esplichino i loro effetti in ambito giuridico, non sono assolutamente fatti giuridici ma sono elementi gnoseologici (che po-tremmo anche definire pre-giuridici) la cui esistenza o inesistenza non dipende dall'applicazione del diritto ma va ricercata in rerum natura.

(105) Peraltro la Corte costituzionale stessa ha precisato che il regime speciale è volto «a far fronte a specifiche esigenze di ordine e sicurezza, essenzialmente discendenti dalla necessità di prevenire ed impedire i collegamenti fra detenuti appartenenti a organizzazioni criminali, nonché fra questi e gli appartenenti a tali organizzazioni ancora in libertà». Così Corte cost., sent. 5 dicem-bre 1997, n. 376, cit.

plicazione ad un soggetto che, pur non collaborando, ha reciso i suoi legami con la mafia costituisce un'evidente sviamento dell'istituto da quello che è il suo scopo “dichiarato”.

In definitiva pare pertanto doversi condividere la tesi di chi, da un lato, ri-tiene che la collaborazione “qualificata” con la giustizia sia un fattore di per sé sufficiente ad impedire la sospensione delle regole di trattamento e, dall'altro, nega che all'assenza della condotta de qua debba necessariamente essere ricollega-ta la sussistenza di legami con la criminalità organizzaricollega-ta, richiedendo, al contrario, ai fini dell'applicazione del regime speciale, un quid pluris il cui apprezzamento viene rimesso, in prima istanza, all'amministrazione e, in sede di vaglio, alla magi-stratura di sorveglianza106. L'opinione contraria, che vede nella collaborazione «l'unico strumento [a disposizione dell'affiliato] per segnare il distacco dall'orga-nizzazione mafiosa»107, si scontra, tra l'altro, con il dato letterale della norma in esame, la quale presuppone un accertamento di carattere positivo che, invece, ac-cogliendo la suddetta tesi, finirebbe surrettiziamente per diventare un accertamen-to in negativo, fondaaccertamen-to sulla “comoda” equazione «assenza di collaborazione uguale pericolosità del detenuto»108: la spiacevole conseguenza che ne scaturisce è quindi quella di basare l'adozione del provvedimento sospensivo su un evidente automatismo alla cui repulsione dovrebbe sempre informarsi uno strumento di ri-gore quale il regime detentivo speciale.

6. Il presupposto oggettivo: i gravi motivi di ordine e di sicurezza

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