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Gli internati al 41-bis: il difficile rapporto tra regime speciale e misu- misu-re di sicumisu-rezza

I PRESUPPOSTI APPLICATIVI DEL REGIME DETENTIVO SPECIALE

8. Gli internati al 41-bis: il difficile rapporto tra regime speciale e misu- misu-re di sicumisu-rezza

Considerato lo specifico riferimento, operato dall'art. 41-bis comma 2 ord. penit., agli internati, il “carcere duro” può essere applicato anche nei confronti di coloro che sono sottoposti ad una misura di sicurezza personale detentiva134.

(133) Per le affinità tra l'art. 275 comma 3 cod. proc. pen. e l'art. 41-bis comma 2 ord. penit. v. S. ARDITA, Il nuovo regime dell'art. 41-bis, cit., p. 10 e s.

(134) Il numero degli internati sottoposti al regime detentivo speciale compre da sempre una percentuale molto bassa rispetto al totale dei soggetti cui è applicata la disciplina extra ordinem. Al

Tale disposizione suscita, da sempre, notevoli perplessità tra gli interpreti. In primo luogo, infatti, è difficile comprendere come la pericolosità sociale che qualifica l'internato, assegnato a colonia agricola o a casa di lavoro, oppure rico-verato in una R.E.M.S., possa essere coniugata con i ben differenti parametri del-l'art. 41-bis comma 2 ord. penit.135.

In secondo luogo, è stato osservato in dottrina che l'accertamento, da parte del magistrato di sorveglianza136, circa la permanenza della suddetta pericolosità finisce inevitabilmente per incidere sulla sussistenza dei presupposti stabiliti ex

lege per l'applicazione del regime speciale: invero, qualora venga accertato che «è

probabile che [il soggetto] commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reati»137, ben difficilmente – in sede di controllo del decreto ministeriale – si potrà escludere l'attuale capacità del medesimo di mantenere collegamenti con il crimi-ne organizzato138.

Infine, s'è dato atto della circostanza per cui l'indeterminatezza in ordine alla durata delle misure di sicurezza, per le quali la legge fissa soltanto un

mini-mum, lasciando al magistrato di sorveglianza la decisione sul loro termine139, «ren-dicembre 2015 il loro numero era di 4 su 729 vale a dire lo 0,549% delle persone al 41-bis. V.

Se-nato della Repubblica. XVII Legislatura. Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, Rapporto, cit., p. 50.

(135) A. BERNASCONI, L'emergenza diviene norma, cit., p. 293 e s. Il medesimo Autore eviden-zia come i problemi di natura disciplinare e la pericolosità peniteneviden-ziaria posti da tali soggetti pos-sano essere affrontati, rispettivamente, dall'apparato sanzionatorio e dal regime di sorveglianza particolare. In senso critico rispetto alla possibilità di applicare il “carcere duro” anche agli inter -nati v. altresì L. CESARIS, sub art. 41-bis ord. penit., 2015, cit., p. 445; P. CORVI, op. cit., p. 127; M. MARGARITELLI, op. cit., p. 763; A. DI GIOVANNI, Il “carcere duro” alla prova dei fatti, cit., p. 71; EAD., Ordinamento penitenziario, la riforma non è solo 41bis, cit., p. 9; F. RESTA, La nuova

disci-plina dell'art. 41-bis ord. penit., in Giur. merito, 2009, p. 2681, nt. 2.

(136) Invero, è il magistrato di sorveglianza che, in forza del combinato disposto degli artt. 69 ord. penit. e 679 cod. proc. pen. «sovraintende all'esecuzione delle misure di sicurezza personali». Inoltre, a mente dell'art. 69 ord. penit. «provvede al riesame della pericolosità ai sensi del primo e secondo comma dell'articolo 208 del codice penale, nonché all'applicazione, esecuzione, trasfor-mazione o revoca, anche anticipata, delle misure di sicurezza». Sulle competenze del magistrato di sorveglianza in materia di misure di sicurezza personali v. ampiamente M. RUARO, La

magistratu-ra di sorveglianza, Milano, 2009, p. 68 e ss.

(137) È questa la definizione di “pericolosità sociale” che l'art. 203 cod. pen. detta «ai fini della legge penale». Tale articolo precisa inoltre, al secondo comma, che «la qualità di persona social-mente pericolosa si desume dalle circostanze indicate nell'articolo 133 [cod. pen.]».

(138) Per questa considerazione v. M. MARGARITELLI, op. cit., p. 763.

(139) Dispone l'art. 207 cod. pen. che «le misure di sicurezza non possono essere revocate se le persone ad esse sottoposte non hanno cessato di essere socialmente pericolose».

de di fatto procrastinabile sine die la sospensione delle normali regole di tratta-mento»140. Per la verità, sotto quest'ultimo profilo, la situazione è recentemente mutata giacché, ai sensi dell'art. 1 comma 1-ter del D.L. 31 marzo 2014 n. 52 così come convertito in legge 30 maggio 2014 n. 81, si prevede che «le misure di sicu-rezza detentive provvisorie o definitive, compreso il ricovero nelle residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza, non possono durare oltre il tempo stabilito per la pena detentiva prevista per il reato commesso, avuto riguardo alla previsio-ne edittale massima».

Valutati tuttavia i persistenti problemi posti dalla scelta compiuta dal legi-slatore di estendere il campo operativo del “carcere duro” anche agli internati, non rimane che ipotizzare, quale plausibile ratio della disposizione normativa, quella di non precludere a priori la possibilità di applicare l'istituto de quo anche ad essi, fatta salva la necessità di un apprezzamento corredato, caso per caso, da esaustiva motivazione141. Non mancano, infatti, nel nostro ordinamento disposizioni che consentono l'adozione di misure di sicurezza nei confronti di soggetti appartenenti al mondo della criminalità organizzata. Si pensi all'art. 71 D.lgs. 6 settembre 2011 n. 159 (cd. codice antimafia) il quale prevede che qualora i reati ivi contemplati – tra i quali compaiono anche il delitto di associazione mafiosa ed altre figurae

cri-minis legittimanti la sospensione delle ordinarie regole trattamentali – siano

com-messi da persona sottoposta con provvedimento definitivo ad una misura di pre-venzione personale, durante il periodo previsto di applicazione e sino a tre anni dal momento in cui ne è cessata l'esecuzione, «alla pena è aggiunta una misura di sicurezza detentiva». A tale disposizione fa eco l'art. 417 cod. pen. il quale statui-sce che nel caso di condanna per i reati di cui agli artt. 416 e 416-bis cod. pen.142

(140) In questi termini v. nuovamente M. MARGARITELLI, op. cit., p. 763.

(141) Per questa considerazioni v. testualmente A. BERNASCONI, L'emergenza diviene norma, cit., p. 294. In senso adesivo cfr. G. M. NAPOLI, op. cit., p. 217, nt. 6; P. CORVI, op. cit., p. 128.

(142) Detta disposizione normativa, richiamando «i delitti preveduti dai due articoli precedenti», sembra apparentemente riferirsi, dopo l'introduzione dell'art. 416-ter cod. pen., alle fattispecie cri-minose previste agli artt. 416-bis e, appunto, 416-ter cod. pen. In realtà, la communis opinio della dottrina ritiene che, nonostante l'interpolazione dell'articolo da ultimo citato, il rinvio operato dal-l'art. 417 cod. pen. vada tutt'ora riferito alle fattispecie di cui agli artt. 416 e 416-bis cod. pen. così come previsto a seguito della legge 23 dicembre 1982 n. 936. Sul punto v. per tutti A. BARAZZETTA, sub art. 417 cod. pen., in E. DOLCINI, G. MARINUCCI (a cura di), Codice penale commentato, vol. II, Milano, 2011, p. 4353 e ss.

«è sempre ordinata una misura di sicurezza»143.

9. Riflessioni a margine: il tramonto del “titolo di reato” alla luce delle

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