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Riflessioni a margine: il tramonto del “titolo di reato” alla luce delle esigenze di prevenzione

I PRESUPPOSTI APPLICATIVI DEL REGIME DETENTIVO SPECIALE

9. Riflessioni a margine: il tramonto del “titolo di reato” alla luce delle esigenze di prevenzione

La disamina delle disposizioni concernenti i presupposti applicativi del “carcere duro” ha messo in mostra notevoli problemi di interpretazione ed aporie pratiche di non poco conto che ci lasciano un panorama normativo non certo idil-liaco, talvolta stridente con diversi presidi costituzionali e difficilmente armoniz-zabile, da un punto di vista sistematico, con l'art. 4-bis ord. penit. che, del regime detentivo speciale, rappresenta, per così dire, “l'anticamera”. Senza tornare in pie-no su questi aspetti, che si spera abbiapie-no trovato adeguata trattazione nelle pagine precedenti, e prima di abbandonare il discorso relativo ai destinatari della discipli-na extra ordinem, si impongono alcune considerazioni vertenti su quello che po-tremmo definire come lo svilimento del titolo di reato in luogo della sempre mag-gior pregnanza delle esigenze di prevenzione.

Invero, il ruolo dei titula iuris, a parere di chi scrive, sembra aver perso importanza nel campo dei presupposti applicativi e, di tale conseguenza, sarebbe-ro principalmente responsabili non meno di tre fattori: l'eccessivo numesarebbe-ro di reati giustificativi, l'interpretazione sostanzialistica del metodo mafioso e dell'agevola-zione dell'organizzadell'agevola-zione nonché l'inscindibilità del cumulo di pena. Quanto al primo fattore, si può osservare, innanzitutto, come l'(irrefrenabile) “inflazione quantitativa” dei delitti presupposto – spesso arricchiti con fattispecie criminose che hanno poco a che vedere con una grave minaccia all'ordine ed alla sicurezza pubblica144 – ne comporti una chiara “deflazione qualitativa”, facendo calare il (143) L'art. 417 cod. pen., al pari di quanto deve ritenersi per l'art. 71 D.lgs. 6 settembre 2011 n. 159, non prevede una presunzione iuris et de iure di pericolosità sociale (istituto espunto dall'ordi-namento ad opera della legge 10 ottobre 1986 n. 663) bensì «una presunzione semplice, desunta dalle caratteristiche del sodalizio criminoso e dalla persistenza nel tempo del vincolo malavitoso, che può essere superata quando siano acquisiti elementi idonei ad escludere in concreto la sussi-stenza della pericolosità». Per converso, operando la citata presunzione iuris tantum, non è richie-sto l'accertamento in concreto della suddetta pericolosità del soggetto. In querichie-sto senso v., per tutte, Cass., Sez. V, 8 luglio 2015, n. 38108, Perri, in CED Cass., n. 265006.

(144) Del resto, la presunzione circa il mantenimento dei legami associativi – su cui, come vedremo, si basa l'istituto – non appare dotata di un valido substrato empirico con riferimento a mol -te della ipo-tesi criminose prese in considerazione dall'art. 4-bis comma 1 ord. penit. e quindi, di

ri-tasso di pericolosità necessario per l'adozione di una misura di rigore come il regi-me detentivo speciale. Invero, cambiando prospettiva, potremmo dire che, se l'ap-plicazione del 41-bis è legittimata solo da situazioni normativamente identificabili come di grande allarme sociale, la continua interpolazione del novero dei reati giustificativi, da un lato, fa sì che il presupposto formale perda il suo ruolo di indi-ce di pericolosità, finendo per eroderne la capacità di sindi-cernimento dei destinatari; dall'altro, deteriora il carattere di specialità di un istituto che per definizione è, e deve rimanere, speciale.

Anche il secondo dei fattori di cui sopra comporta lo svilimento del titolo di reato in quanto, in presenza di un delitto commesso con modalità o finalità ma-fiose, quel che conta ai fini dell'applicazione del regime speciale non è la figura

criminis oggetto di imputazione o di condanna, ma è la sussumibilità del fatto

concreto all'interno dell'alveo della metodologia o dell'agevolazione mafiosa. In tal caso, quindi, si potrà procedere alla sospensione delle ordinarie regole del trat-tamento in maniera del tutto indipendente rispetto alla natura formale dell'“adde-bito”, avendo unicamente riguardo alle caratteristiche sostanziali della condotta delinquenziale ad esso sottesa, così come valutate dall'amministrazione peniten-ziaria.

La funzione dei titula iuris di prestarsi ad indicatori di pericolosità del de-tenuto è drasticamente obliterata anche dall'ultimo dei fattori summenzionati. In-vero, il principio di inscindibilità del cumulo di pena consente l'applicazione della disciplina extra ordinem ad un soggetto che ha interamente scontato la sanzione irrogata per il reato ostativo: in tal caso, il “carcere duro” non è più giustificato dalla fattispecie criminosa a cui la pena in espiazione si riferisce ma solo dall'esi-genza preventiva generata dalla persistente capacità di collegamento del soggetto

in vinculis con un'associazione criminale operante sul territorio. In quest'ottica il

titolo della detenzione costituisce, per un verso, «solo la “porta” che conduce

al-flesso, dall'art. 41-bis comma 2 ord. penit. Infatti, se per i reati riconducibili alla criminalità orga-nizzata o a quella terroristica l'assunto circa la permanenza del vincolo associativo in costanza di detenzione è fondato, non altrettanto può dirsi in rapporto ad altre figurae criminis. Per queste con-siderazioni v. A. DELLA BELLA, Il regime detentivo speciale ex art. 41-bis comma 2 o.p.: alla

l'applicazione del regime»145 e, per l'altro, una variabile irrilevante e del tutto indi-pendente in ordine alla permanenza dei presupposti per il mantenimento del mede-simo146.

Come si può quindi notare, ciò che è decisivo ai fini della possibilità di sottoporre il detenuto al 41-bis è pressoché unicamente il suo legame con la

socie-tas sceleris di provenienza, vale a dire la sua potenziale capacità di recare

nocu-mento all'ordine e alla sicurezza pubblica, impartendo ordini o direttive da dentro la cella. D'altronde, le esigenze di prevenzione a cui l'istituto è chiamato ad offrire tutela vengono inevitabilmente ad attribuire un ruolo decisivo non tanto al passato criminale del soggetto quanto, piuttosto, alla sua attuale e costante pericolosità.

Orbene, sarebbe assai erroneo subordinare l'applicazione del “carcere duro” unicamente alla figura criminis legittimante la detenzione poiché, come ha affermato al Consulta, «non vi è […] una categoria di detenuti, individuati a

prio-ri in base al titolo di reato, sottoposti ad un regime differenziato: ma solo singoli

detenuti, condannati o imputati per delitti di criminalità organizzata, che l'ammini-strazione ritenga, motivatamente e sotto il controllo de[l] Tribunal[e] di sorve-glianza, in grado di partecipare, attraverso i loro collegamenti interni ed esterni, alle organizzazioni criminali e alle loro attività»147. Nondimeno, sembra altrettanto da respingere l'opposta tendenza a svincolare il 41-bis dalla natura formale del-l'addebito, attirando l'istituto nell'area delle misure di prevenzione – come propu-gnato da una parte della dottrina e dall'amministrazione penitenziaria stessa148 –, laddove il Giudice delle leggi149 ha, invece, qualificato il regime speciale come una particolare modalità di esecuzione della pena150.

Le istanze di difesa sociale che si intende perseguire non possono infatti legittimare soluzioni problematiche come quelle, sopra analizzate, relative

all'in-(145) Così S. ARDITA, La riforma dell'art. 41-bis, cit., p. 740. (146) S. ARDITA, La riforma dell'art. 41-bis, cit., p. 739.

(147) Testualmente Corte cost., sent. 5 dicembre 1997, n. 376, cit.

(148) Cfr. V. MACRÌ, op. cit., p. 12; S. ARDITA, Il regime detentivo speciale, cit., p. 81 e s. Nei singoli decreti ministeriali si legge che il regime differenziato «costituisce una misura di preven-zione».

(149) Corte cost., sent. 28 luglio 1993, n. 349, in www.giurcost.org.

(150) Per queste considerazioni A. DELLA BELLA, Il regime detentivo speciale ex art. 41-bis

scindibilità del cumulo o all'impostazione sostanzialistica della metodologia o del-l'agevolazione mafiosa, né possono giustificare, specie in ottica sistemica, la pur astratta applicabilità della disciplina extra ordinem a detenuti per reati estranei al mondo della (macro) criminalità organizzata, come, ad esempio, il delitto di vio-lenza sessuale di gruppo ex art. 609-octies cod. pen.

Per queste ragioni, si ritiene opportuno riadattare il “carcere duro” ai detta-mi della Corte costituzionale, lasciando all'amdetta-ministrazione il solo l'apprezzamen-to circa l'attuale pericolosità sociale del detenul'apprezzamen-to e la sussistenza delle situazioni “ambientali” di grave minaccia per l'ordine e la sicurezza pubblica, salva quindi la competenza del giudice di cognizione in ordine alla valutazione ed alla qualifica-zione giuridica della condotta criminosa posta in essere dal soggetto in vinculis. Allo stesso modo, pare condivisibile la già citata proposta avanzata dagli Stati ge-nerali dell'esecuzione penale volta ad abrogare il divieto di scioglimento del cu-mulo in quanto, così facendo, il 41-bis verrebbe ad essere ricucito sul titolo di rea-to, scongiurando i seri dubbi di costituzionalità che l'attuale previsione non manca di suscitare.

Da ultimo, sembra apprezzabile, in punto di coerenza, un'operazione di

re-styling che, abbandonando l'individuazione per relationem dei delitti-presupposto,

accolga un catalogo ad hoc di titula iuris che tengano in debito conto l'esprit del regime speciale, circoscrivendone l'applicazione a fattispecie criminose implicanti la partecipazione, o quantomeno la contiguità, del soggetto in vinculis ad un'asso-ciazione criminale capace di recare serio nocumento all'ordine sociale.

Capitolo IV

APPLICAZIONE, PROROGA E REVOCA

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