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L'applicazione del regime detentivo speciale quale prerogativa del Ministro della giustizia

APPLICAZIONE, PROROGA E REVOCA DEL REGIME DETENTIVO SPECIALE

1. L'applicazione del regime detentivo speciale quale prerogativa del Ministro della giustizia

L'applicazione del regime detentivo speciale, sin dalla sua introduzione, ri-sulta appannaggio del potere esecutivo giacché, a mente dell'art. 41-bis comma

2-bis ord. penit., il provvedimento di sospensione delle regole del trattamento

peni-tenziario «è adottato con decreto motivato del Ministro della giustizia, anche su ri-chiesta del Ministro dell'interno»1.

Tale statuizione normativa, forte degli insegnamenti della Corte costituzio-nale consolidatisi nel senso di escludere che l'attribuzione di tale potere ad una branchia dell'esecutivo possa rappresentare un vulnus al presidio della riserva di giurisdizione sancito all'art. 13 Cost., è passata indenne ai vari interventi di rifor-ma che nei suoi quasi cinque lustri di vita hanno colpito l'art. 41-bis comrifor-ma 2 ord. penit. Invero, la Consulta, già nel 1993, evidenziando che l'amministrazione peni-tenziaria – di cui il Guardasigilli rappresenta il vertice – «può adottare provvedi-menti in ordine alle modalità di esecuzione della pena (rectius: della detenzione), che non eccedono il sacrificio della libertà personale già potenzialmente imposto (1) Va detto che con decreto dell'allora Ministro di grazia e di giustizia datato 15 settembre 1992 venne conferita al Direttore generale ed al Vice Direttore generale del Dipartimento dell'ammini-strazione penitenziaria la delega all'applicazione del “carcere duro”. Detto decreto è tuttavia cadu-to nell'oblio nel corso del 1993 sicché oggi la prerogativa in esame resta appannaggio esclusivo del Guardasigilli salva la possibilità – ammessa in giurisprudenza – che il decreto di sospensione delle regole trattamentali sia sottoscritto, in via d'urgenza, da parte del Sottosegretario di Stato, ciò non integrando difetto assoluto di attribuzione (con conseguente nullità del provvedimento), bensì vi-zio di incompetenza che determina annullabilità dell'atto medesimo, sanabile a seguito di successi-va consuccessi-valida da parte del Ministro. Cfr. in tal senso Cass., Sez. I, 28 maggio 2014, n. 46017, Falso-ne, in CED Cass., n. 261268.

al detenuto con la sentenza di condanna», ebbe ad affermare la compatibilità del-l'istituto de quo con il principio consacrato dalla Carta fondamentale2.

La scelta di affidare al responsabile del Dicastero della giustizia l'applica-zione del “carcere duro” si spiega con la necessità di armonizzare la gestione logi-stico-funzionale del regime in relazione alla ricettività delle strutture3. Trattandosi cioè di «individuare un organo centrale in grado di regolare il flusso e la consi-stenza del numero dei detenuti da assegnare al regime speciale, in modo da deter-minare una quota massima di soggetti rispetto ai quali possa essere attuata la di-sciplina extra ordinem, garantendo che per tutti sussistano criteri oggettivi ed omogenei di pericolosità che ne giustificano l'ammissione», si è ritenuto che sol-tanto il Guardasigilli possa assolvere a tale funzione, costituendo egli il vertice dell'amministrazione carceraria4.

Nondimeno, parte cospicua della dottrina non ha mancato di manifestare critiche a questa impostazione, atteso che in ambito penitenziario il Ministro della giustizia dispiega ordinariamente la sua attività in aderenza ai canoni della riedu-cazione e del reinserimento sociale dettati dall'art. 27 Cost.5, mentre la funzione

(2) V. in tal senso Corte cost., sent. 28 luglio 1993, n. 349, in www.giurcost.org.

(3) Cfr. S. ARDITA, Problematiche di prevenzione e valutazioni di legittimità nell'applicazione

del regime detentivo speciale dell'art. 41-bis dell'ord. pen., in Rass. penit. crim., 2004, f. 3, p. 42.

(4) In questi termini S. ARDITA, La funzione di prevenzione antimafia quale presupposto e limite

costituzionale dell'istituto del regime detentivo speciale, in M. BARILLARO (a cura di), Terrorismo e

crimini contro lo stato. Legislazione attuale e azioni di contrasto, Milano, 2005, p. 147 e s.; ID.,

Problematiche di prevenzione, cit., p. 42. V. anche ID., L'attività del ministero della giustizia nella

fase di applicazione dell'istituto. Problemi originari e derivati alla luce dell'elaborazione giuri-sprudenziale. Ipotesi di modifiche normative allo studio del ministero, in Consiglio superiore della magistratura, Incontro di studio dal titolo: Il regime speciale di cui all'art. 41 bis dell'ordinamen-to penitenziario: confrondell'ordinamen-to sulle questioni aperte, Roma, 2007, reperibile al sidell'ordinamen-to www.csm.it, p. 3

secondo cui la scelta di affidare l'applicazione del “carcere duro” «muove essenzialmente da ragio-ni di natura orgaragio-nizzativa. Il regime speciale […] reca con sé anche la costituzione di un circuito, ed è dunque evidente come tale circuito comporti la necessità di prevedere una dimensione numerica dei soggetti ascrittivi che sia compatibile con le strutture e le risorse esistenti. Del pari si è ri -tenuto utile concentrare nella competenza di un soggetto unitario il criterio oggettivo di determina-zione dei presupposti minimi per l'applicadetermina-zione del regime speciale. Nell'individuadetermina-zione della competenza ministeriale, le ragioni connesse alla necessità di garantire omogenee condizioni di ac-cesso si sono dunque legate ad altre ragioni di natura logistica ed organizzativa».

(5) P. CORVI, Trattamento penitenziario e criminalità organizzata, Padova, 2010, p. 142; S. ARDITA, Problematiche di prevenzione, cit., p. 42 e s.; ID., La funzione di prevenzione antimafia, cit., p. 148 ove l'Autore, da un lato, precisa come, di regola, dopo la sentenza definitiva di condan-na si chiuda la fase di repressione dei fenomeni criminosi posto che all'esecuzione della pecondan-na è at-tribuita una funzione “ricostruttiva” dell'esperienza personale ed umana del detenuto; dall'altro lato, evidenzia come le uniche competenze dell'amministrazione penitenziaria in materia di sicu-rezza siano quelle interne agli istituti. Di conseguenza, la scelta di attribuire al Guardasigilli il

po-propria del 41-bis è ispirata ai differenti obiettivi della prevenzione e del contrasto alla delinquenza organizzata. Ciò presuppone la costante osservazione del termo-metro della pericolosità (sociale) del detenuto e delle associazioni criminali ope-ranti sul territorio, per cui risulta decisiva la conoscenza diretta delle fonti investi-gative e di polizia che possano fornire elementi utili in tal senso6.

D'altronde, posto che «l'agire mafioso dei singoli e il vincolo associativo che li avvince nella organizzazione sono […] fondati su di un modo di intendere e di vivere il patto associativo che non prevede il carattere della temporaneità del rapporto criminale»7, occorre che le situazioni di fatto che costituiscono il presup-posto del “carcere duro” «[siano] oggetto di una attenzione costante e di un inter-vento specifico di analisi e di investigazione, per acquisire correttamente ed effi-cacemente gli indici rivelatori della sussistenza delle condizioni richieste dalla legge per l'applicazione e, soprattutto, per la proroga del decreto ex art. 41-bis del-l'ordinamento penitenziario»8.

Proprio su questo versante si appalesano le criticità della scelta di aver conferito ad un organo dell'esecutivo la competenza a disporre il regime differen-ziato, specie se si considera che, de iure condito, il potere di iniziativa è ricono-sciuto soltanto al Ministro dell'interno e non anche alle autorità giudiziarie requi-renti, sebbene le stesse siano depositarie delle conoscenze attinenti le circostanze fattuali che giustificano l'applicazione del suddetto regime9. Vero è che nella pras-si, di regola, è lo stesso pubblico ministero a chiedere l'intervento ablatorio del

tere di sospendere le regole del trattamento in funzione di indici esterni e di questioni che attengo-no alla sicurezza pubblica attengo-non risulta conforme ai suoi tradizionali fini istituzionali.

(6) In questi termini S. ARDITA, La funzione di prevenzione antimafia, cit., p. 148; S. ARDITA, Il

nuovo regime dell'art. 41-bis dell'ordinamento penitenziario, in Cass. pen., 2003, p. 10.

(7) In questi termini v. Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della criminalità

organizzata mafiosa o similare, Relazione annuale approvata dalla Commissione nella seduta 30

luglio 2003, doc. XXIII n. 3, p. 444, reperibile al sito www.senato.it.

(8) Così Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata

ma-fiosa o similare, Relazione al Parlamento sulle questioni emerse in sede di applicazione della nuo-va normatinuo-va in tema di regime carcerario speciale previsto dall’articolo 41-bis dell’ordinamento penitenziario (legge 26 luglio 1975 n. 354, modificata dalla legge 23 dicembre 2002, n. 279)

ap-provata dalla Commissione nella seduta del 8 marzo 2005, doc. XXIII n. 13, p. 28, reperibile al sito www.senato.it.

Guardasigilli10: ciononostante, si può osservare che, se la «richiesta» eventual-mente effettuata dal titolare del Dicastero dell'interno, costituendo un formale atto di iniziativa, determina in capo al Ministro della giustizia l'obbligo di procedere, non altrettanto può dirsi con riferimento alla mera sollecitazione da parte degli or-gani inquirenti11.

V'è da dire che nel corso degli anni non è mancata, tanto in dottrina quanto in Parlamento, l'esortazione ad un profondo restyling delle disposizioni circa la competenza ad applicare il “carcere duro”. In particolare, in occasione della rifor-ma del 2002 erano state prospettate almeno due soluzioni alternative alla “via mi-nisteriale” volte ad attribuire la prerogativa de qua l'una al Dipartimento dell'am-ministrazione penitenziaria12, l'altra all'autorità giudiziaria13. Mentre la prima non ha riscontrato particolari fortune, venendo, anzi, osteggiata da autorevoli voci dot-trinali14 e dalla Commissione parlamentare antimafia15, la seconda è stata più volte (10) Così Senato della Repubblica. XVII Legislatura. Commissione straordinaria per la tutela e

la promozione dei diritti umani, Rapporto sul Regime Detentivo Speciale. Indagine Conoscitiva

sul 41-bis (aprile 2016), p. 24, reperibile al sito www.senato.it. Sul punto v. anche P. CORVI, op.

cit., p. 142; S. ARDITA, Il regime detentivo speciale 41 bis, Milano, 2007, p. 116 e s.

(11) Sulla differenza tra veri e propria atti di iniziativa e mere sollecitazioni v. P. M. VIPIANA, I

procedimenti amministrativi: la disciplina attuale ed i suoi aspetti problematici, Assago, 2012 p.

81.

(12) Per questa proposta v. Senato della Repubblica. XIV Legislatura. Relazione al disegno di legge recante «Norme in materia di applicazione ai detenuti del regime di massima sicurezza», stampato n. 1440, p. 2, reperibile al sito www.senato.it ove, tra l'altro, si può leggere che «il venir meno del carattere emergenziale e precario dell'istituto consente di far cessare l'attuale atipica competenza diretta del Ministro della giustizia, organo politico, ad emettere il provvedimento ap-plicativo, e ricondurla invece più propriamente all'autorità di gestione amministrativa ordinaria-mente competente per materia, ovvero al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria».

(13) In tal senso v. Camera dei Deputati. XIV Legislatura. I Commissione (Affari costituzionali), Parere al disegno di legge C. 3288, giovedì 5 dicembre 2002, reperibile al sito

www.camera.it ove venne evidenziata «l'opportunità di prevedere che l'adozione dei provvedimenti

applicativi delle misure previste dal nuovo articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario [fosse] affidata all'autorità giudiziaria anziché all'autorità amministrativa, al fine di un più ragionevole bi-lanciamento dei principi costituzionali in materia di libertà personale e di garanzie giurisdizionali e quelli di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica».

(14) V. MACRÌ, Art. 41 bis, 2° comma, O.P., in Consiglio superiore della magistratura, Incontro

di studio dal titolo: Il regime speciale di cui all'art. 41 bis dell'ordinamento penitenziario: con-fronto sulle questioni aperte, Roma, 2007, p. 9, nt. 7, reperibile al sito www.csm.it.

(15) Cfr. Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata

ma-fiosa o similare, Relazione annuale, cit., p. 448 secondo cui «l'ipotesi della competenza riservata

unicamente al Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria non pare prospettiva condivisibile perché trattasi comunque di un organo amministrativo strettamente dipendente dal Ministro della giustizia e pertanto, una sua esclusiva competenza, in un settore così delicato, potrebbe avere uni-camente l'effetto di porre fuori dal processo di accertamento di responsabilità, non meramente

tec-invocata – prima e dopo la riforma – specie da chi vede nell'applicazione del regi-me speciale un'incisione dello status libertatis del detenuto incompatibile con la riserva di giurisdizione sancita in materia di limitazioni della libertà personale dal-l'art. 13 Cost. Invero, nonostante “l'assoluzione” della Consulta, una parte cospi-cua degli interpreti conserva nutrite perplessità circa l'impostazione su cui si fonda il 41-bis poiché, da un lato, l'istituto ha subito, negli anni, una decisa metamorfosi rispetto alla versione originaria in ordine alla quale si era pronunciato il Giudice delle leggi, perdendo, ad esempio, quel carattere di temporaneità ed eccezionalità che lo contraddistingueva e facendo, con ciò, dubitare della possibilità di ritenere ancora valida la giurisprudenza costituzionale formatasi sul “vecchio” secondo comma; dall'altro, è discutibile sostenere che le modalità del trattamento a cui è soggetto il detenuto sottoposto alla disciplina extra ordinem non siano idonee ad incidere sulla libertà personale del medesimo16.

niche, proprio il massimo organo dotato di responsabilità politica. L'attribuzione al Ministro della competenza di cui si discute, appare necessaria, inoltre, in considerazione dell'importanza del regi-me speciale di detenzione, ed anche sotto il profilo della sua incidenza sui diritti di libertà, giacché esso è destinato a finalità generali di tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza dei cittadini. Sif -fatte caratteristiche rendono ancora più evidente la necessità dell'assunzione di responsabilità da parte del vertice dell'amministrazione della giustizia, cioè del Ministro, in ordine alle politiche ap-plicative in materia di regime penitenziario differenziato, con la eventuale possibilità di controllo del Parlamento. Sotto questo profilo è auspicabile che il Ministro riferisca annualmente al Parla-mento in ordine all'applicazione del regime speciale di detenzione». Sull'«assunzione di piena re-sponsabilità politica da parte del Ministro» – seppur con riferimento alla sospensione delle regole del trattamento disciplinata (a suo tempo) dall'art. 90 ord. penit. – v. R. MERANI, Il rapporto con il

sistema penitenziario. I vari circuiti penitenziari: a) la sicurezza accentuata, in CSM Quaderni,

80, 1995, p. 278.

(16) In tal senso v. M. RUOTOLO, Quando l'emergenza diventa quotidiana. Commento alle

modi-fiche agli artt. 4-bis e 41-bis dell'ordinamento penitenziario, in Studium iuris, 2003, p. 427. In

chiave critica in merito alla competenza ministeriale si esprimono anche N. DE RIENZO, Il regime

sospensivo previsto dal secondo comma dell'art. 41-bis dell'ordinamento penitenziario: una rilet-tura del sistema della sicurezza, in A. PRESUTTI (a cura di), Criminalità organizzata e politiche

pe-nitenziarie, Milano, 1994, p. 102 e s.; F. P. C. IOVINO, Osservazioni sulla recente riforma

dell'ordi-namento penitenziario, in Cass. pen., 1993, p. 1260; A. PENNISI, Diritti del detenuto e tutela

giuri-sdizionale, Torino, 2002, p. 176 e s.; M. RUOTOLO, Diritti dei detenuti e Costituzione, Torino, 2002, p. 219; G. FRIGO, La deroga a regole generali impoverisce il sistema, in Guida dir., 2003, f. 1, p. 43; L. FILIPPI, La “novella” penitenziaria del 2002: la proposta dell'Unione delle camere penali e

una “controriforma” che urta con la Costituzione e con la Convenzione europea, in Cass. pen.,

2003, p. 30 e s.; M. PAVARINI, Il “carcere duro” tra efficacia e legittimità. Opinioni a confronto, in

Criminalia, 2007, p. 268; M. F. CORTESI, L'inasprimento del trattamento penitenziario, in Dir. pen.

proc., 2009, p. 1080; L. BRESCIANI, Commento al comma 25 dell'art. 2 legge 15 luglio 2009, n. 94, in G. DE FRANCESCO, A. GARGANI, D. MANZIONE, A. PERTICI (a cura di), Commentario al

“pacchet-to sicurezza” l. 15 luglio 2009 n. 94, Torino, 2011, p. 284 e s.; T. PADOVANI, L'ennesimo intervento

legislativo eterogeneo che non è in grado di risolvere i reali problemi, in Guida dir., 2009, f. 33, p.

Sta di fatto che le novelle del 2002 prima e del 2009 dopo hanno confer-mato l'originaria prerogativa ministeriale segnando «il definitivo tramonto degli aneliti alla giurisdizionalizzazione auspicati in dottrina»17.

Nonostante non siano mancate le opinioni favorevoli rispetto alla scelta di affidare al Guardasigilli il potere sospensivo delle regole del trattamento peniten-ziario18, pare doversi preferire un riassetto delle competenze, tracciato in prospetti-va de iure condendo da un'autorevole parte degli interpreti, secondo cui sarebbe opportuno attribuire all'autorità giudiziaria la prerogativa in ordine all'applicazio-ne del regime speciale, lasciando al Ministro della giustizia – dominus dell'ammi-nistrazione penitenziaria, in grado di armonizzare il flusso dei detenuti differen-ziati in relazione alla ricettività degli istituti – ed agli organi investigativi – depo-sitari delle informazioni e delle conoscenze circa la pericolosità dei soggetti in

vinculis, lo stato di “salute” dell'associazione criminale di riferimento e il ruolo

ri-vestito dai primi all'interno della seconda – il potere di iniziativa19.

Peraltro, assegnando ad un giudice la competenza a disporre la sospensio-ne delle regole del trattamento penitenziario si ammetterebbe la possibilità di sot-toporre lo stesso regime differenziato ad un controllo giurisdizionale ex ante (in sede di applicazione) e non solo ex post (in sede di reclamo) come invece, de iure

condito, avviene oggi20.

del giudice: d'altronde, scrive l'Autore, «lo sapeva persino Alfredo Rocco, che, nel suo regolamen-to, al giudice affidò appunto la decisione di destinare al carcere di rigore, versione antica (ma non meno terribile) dell'art. 41-bis».

(17) In questi termini C. FIORIO, La stabilizzazione delle “carceri-fortezza”: modifiche in tema

di ordinamento penitenziario, in O. MAZZA, F. VIGANÒ (a cura di), Il “pacchetto sicurezza” 2009

(Commento al d.l. 23 febbraio 2009, n. 11 conv. in legge 23 aprile 2009, n. 38 e alla legge 15 lu -glio 2009, n. 94), Torino, 2009, p. 405.

(18) Cfr. V. MACRÌ, op. cit., p. 9; D. PETRINI, Il regime di “carcere duro” diventa definitivo, in L.

p., 2003, p. 243; A. MARTINI, Commento all'art. 19 D.L. 8/6/1992, in L. p., 1993, p. 214; A. BERNASCONI, L'emergenza diviene norma: un ambíto e discutibile traguardo per il regime ex art.

41-bis comma 2 ord. penit., in G. DI CHIARA (a cura di), Il processo penale tra politiche della

sicu-rezza e nuovi garantismi, Torino, 2003, p. 293, nt. 16: «la sicusicu-rezza penitenziaria – scrive l'Autore

– è materia tradizionalmente connessa al governo del carcere e non può, per sua natura, che essere affidata alla competenza dell'amministrazione centrale, l'unica a poter disporre di una visione d'in-sieme sul meccanismo dei trasferimenti e sul livello di custodialità dei singoli istituti presenti sul territorio nazionale».

(19) Per queste considerazioni in prospettiva de iure condendo v. P. CORVI, op. cit., p. 143. Cfr. anche S. ARDITA, Il nuovo regime dell'art. 41-bis, cit., p. 12.

(20) V. sul punto M. F. CORTESI, Il nuovo regime di detenzione differenziato ai sensi dell'art. 41-bis L. N. 354/1975, in F. RAMACCI, G. SPANGHER (a cura di), Il sistema della sicurezza pubblica.

Nondimeno, resterebbe da capire a quale giudice attribuire tale funzione. Dovendosi escludere dalla “lista dei candidati” la magistratura di sorveglianza, es-sendo quest'ultima «adibita a funzioni di controllo»21, parte della dottrina ha indi-viduato nel giudice delle misure cautelari ex art. 279 cod. proc. pen. l'organo cui andrebbe affidato non solo il potere di applicare la misura ma anche quello di de-cidere sull'eventuale impugnazione del provvedimento applicativo22. Tuttavia, tale soluzione, ad avviso di chi scrive, postula necessariamente la pendenza di un pro-cedimento penale a carico del detenuto visto l'inequivocabile riferimento operato dall'art. 279 cod. proc. pen. al «giudice che procede» ovvero al «giudice per le in-dagini preliminari», riferimento che renderebbe problematica l'ipotesi in cui l'ap-plicazione e (più verosimilmente) la proroga del regime dovessero intervenire in un momento successivo alla chiusura del procedimento. Pertanto qui si ritiene pre-feribile una soluzione diversa: invero il suddetto potere sospensivo potrebbe esse-re attribuito, per l'affinità tra le due materie, all'autorità giudiziaria competente per l'applicazione delle misure di prevenzione personali di cui agli artt. 4 e ss. del cd. codice antimafia (D.lgs. 6 settembre 2011 n. 159) e segnatamente al «Tribunale del capoluogo della provincia in cui la persona dimora» (art. 5). In questo modo verrebbe, tra l'altro, garantita al detenuto la possibilità di fruire di tre gradi di giu-dizio – anziché di due come avviene ora – secondo quanto disposto dall'art. 10 del D.lgs. 159/11.

Commento alla legge 15 luglio 2009, n. 94 (disciplina in materi di sicurezza pubblica), aggiornato dalle novità introdotte dalla “Legge finanziaria 2010”, dal d.l. 4 febbraio 2010, n. 4 e dal Proto -collo “mille occhi sulle città” dell'11 febbraio 2010, Milano, 2010, p. 903.

(21) Così A. BERNASCONI, op. cit., p. 293. Nella medesima direzione v. A. DELLA BELLA, Il

regi-me detentivo speciale di cui all'art. 41-bis ord. penit., in S. CORBETTA, A. DELLA BELLA, G. L. GATTA (a cura di), Sistema penale e “sicurezza pubblica”: le riforme del 2009. L. 15 luglio 2009,

n. 94 e d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, conv. con modif., dalla L. 23 aprile 2009, n. 38, Milano, 2009

p. 462 secondo cui «nel nostro ordinamento, [il tribunale di sorveglianza] è l'organo chiamato ad adeguare la pena al percorso rieducativo del condannato, a valutare cioè le caratteristiche della per-sonalità del detenuto e il grado di risposta dello stesso al trattamento». Secondo l'Autrice, del tutto diverse sarebbero invece le decisioni in materia di regime speciale ove «si discute sui legami tra detenuto e associazione di appartenenza». A riprova di questa caratteristica della magistratura di sorveglianza v. ampiamente M. RUARO, La magistratura di sorveglianza, Milano, 2009, p. 6 e ss.

2. L'istruttoria ministeriale finalizzata all'applicazione del regime:

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