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L'istruttoria ministeriale finalizzata all'applicazione del regime: coordinamento istituzionale e negazione del contraddittorio

APPLICAZIONE, PROROGA E REVOCA DEL REGIME DETENTIVO SPECIALE

2. L'istruttoria ministeriale finalizzata all'applicazione del regime: coordinamento istituzionale e negazione del contraddittorio

L'emissione del decreto applicativo del “carcere duro” viene preceduta da una fase istruttoria legislativamente determinata: ai sensi dell'art. 41-bis comma

2-bis ord. penit., infatti, il Ministro della giustizia adotta il provvedimento

sospensi-vo «sentito l'ufficio del pubblico ministero che procede alle indagini preliminari ovvero quello presso il giudice procedente e acquisita ogni altra necessaria infor-mazione presso la Direzione nazionale antimafia23, gli organi di polizia centrali e quelli specializzati nell'azione di contrasto alla criminalità organizzata, terroristica o eversiva24, nell'ambito delle rispettive competenze»25.

Dal punto di vista funzionale, questa fase di istruzione è evidentemente prodromica a delineare il quadro “probatorio” circa la sussistenza dei presupposti per l'applicazione del regime detentivo speciale e segnatamente – sotto il profilo oggettivo – dei «gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica» e – in chiave sogget-(23) Oggi non si parla più di «Direzione nazionale antimafia» bensì di «Direzione nazionale an-timafia e antiterrorismo» (v. art. 103 D.lgs. 159/11). Infatti, a seguito della recrudescenza di feno-meni criminali di derivazione fondamentalistico-religiosa ed, in particolare, degli attacchi terrori-stici di Parigi avvenuti nel gennaio 2015, il legislatore, mediante l'approvazione del D.L. 18 feb-braio 2015 n. 7 convertito con modificazioni dalla legge 17 aprile 2015 n. 43, ha attribuito al Pro-curatore nazionale antimafia, nonché all'omonima Direzione, la competenza di coordinamento e impulso investigativo anche in materia di terrorismo: di qui la nuova denominazione.

(24) Gli “organi di polizia centrali e specializzati” di cui ragiona l'art. 41-bis comma 2-bis ord. penit. sono stati individuati, nella prassi applicativa del “carcere duro”, nella Direzione Investigati-va Antimafia (D.I.A.), nella Direzione Centrale della Polizia Criminale del Ministero dell'interno, nel Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, nel Comando generale della Guardia di Finanza. Per queste indicazioni v. Senato della Repubblica. XVII Legislatura. Commissione straordinaria

per la tutela e la promozione dei diritti umani, Rapporto, cit., p. 25. Alla Direzione investigativa

antimafia, com'è noto, è attribuito, ai sensi dell'art. 108 D.lgs. 159/11, «il compito di assicurare lo svolgimento, in forma coordinata, delle attività di investigazione preventiva attinenti alla crimina-lità organizzata, nonché di effettuare indagini di polizia giudiziaria relative esclusivamente a delitti di associazione di tipo mafioso o comunque ricollegabili all'associazione medesima. Formano og-getto delle attività di investigazione preventiva della Direzione investigativa antimafia le connota-zioni strutturali, le articolaconnota-zioni e i collegamenti interni ed internazionali delle organizzaconnota-zioni cri-minali, gli obiettivi e le modalità operative di dette organizzazioni, nonché ogni altra forma di ma-nifestazione delittuosa alle stesse riconducibile ivi compreso il fenomeno delle estorsioni».

(25) Per amor di completezza, va detto che la disciplina legislativa della fase istruttoria finaliz-zata all'applicazione del regime speciale è stata introdotta con la riforma del 2002 e successiva-mente ritoccata in modo del tutto ininfluente in occasione della novella del 2009. Ciononostante, si noti che già durante la vigenza della versione originaria dell'art. 41-bis comma 2 ord. penit. il Mi-nistro della giustizia, in assenza di alcuna indicazione legislativa, aveva instaurato la prassi di in-terpellare le autorità giudiziarie procedenti, la Direzione nazionale antimafia nonché gli organismi centrali delle forze di polizia. In questi termini v. S. ARDITA, Il nuovo regime dell'art. 41-bis, cit., p. 11 e s.; S. ARDITA, Il regime detentivo speciale, cit., p. 117. Analogamente V. MACRÌ, op. cit., p. 18.

tiva – dei «collegamenti [del detenuto] con un'associazione criminale, terroristica o eversiva»26. Detto altrimenti, trattasi, da un lato, di verificare l'attuale operatività dell'associazione criminale di riferimento per il soggetto in vinculis, con particola-re riguardo alle attività delittuose poste in esseparticola-re, alla pparticola-resenza sul territorio ed alla potenzialità organizzativa del sodalizio; dall'altro lato, di accertare la pericolo-sità sociale del detenuto, precipuamente desumibile dalla posizione gerarchica ri-vestita dallo stesso all'interno della societas sceleris nonché dall'eventuale muta-mento del suo ruolo e del suo rapporto con quest'ultima27.

Al pari di quanto generalmente affermato in dottrina, ove si ritiene che la fase istruttoria costituisca «il cuore del procedimento amministrativo»28, può con-venirsi che anche il sistema di “raccordo istituzionale” delineato dall'art. 41-bis comma 2-bis ord. penit. rappresenti il momento centrale nell'iter di applicazione (e, come si vedrà, anche di proroga) del regime speciale. Infatti, la sottoposizione del detenuto al “carcere duro” in tanto è legittima, in quanto essa risulti giustifica-ta e necessigiustifica-tagiustifica-ta dal curriculum criminale del soggetto in vinculis, dalla sua perico-losità sociale, dal suo legame con il sodalizio mafioso e, quindi, dalla sua capacità di recare nocumento all'ordine e alla sicurezza pubblica pur dall'interno del carce-re29. Tuttavia, né il Guardasigilli né il Ministro dell'interno (a cui, come anticipato, è attribuita ex lege una funzione propositiva30) possiedono – per via del loro ruolo istituzionale – la disponibilità di quegli elementi gnoseologici, rientranti, invece, (26) In questa direzione v. P. CORVI, op. cit., p. 143; F. GIUNCHEDI, Esecuzione e modalità di

espiazione della pena, in Arch. pen. - Rivista Web, 2015, f. 1, p. 19. Nonché S. ARDITA, Il nuovo

re-gime dell'art. 41-bis, cit., p. 11.

(27) Con riferimento alla natura delle informazioni richieste, S. ARDITA, Il regime detentivo

spe-ciale, cit., p. 121 distingue tra quelle (di natura oggettiva) relative alla attuale operatività del

grup-po criminoso e quelle (di natura soggettiva) aventi ad oggetto le caratteristiche individuali del de-tenuto.

(28) Per questa espressione v. M. RAMAJOLI, Lo statuto del provvedimento amministrativo a

ven-t'anni dall'approvazione della legge n. 241/90, ovvero del nesso di strumentalità triangolare tra procedimento, atto e processo, in Dir. proc. amm., 2010, f. 2, p. 459 e ss.

(29) D. PETRINI, op. cit., p. 244 parla di «garanzia della stretta finalizzazione delle restrizioni al-l'obiettivo di impedire i contatti con l'organizzazione criminale esterna».

(30) È stato osservato come l'attribuzione del potere di iniziativa al titolare del Dicastero dell'in-terno accentui il significato e la rilevanza che si è inteso attribuire a situazioni emergenziali legate alla gestione dell'ordine e della sicurezza pubblica. In tal senso cfr. T. PADOVANI, Il regime di

sor-veglianza particolare: ordine e sicurezza negli istituti penitenziari all'approdo della legalità, in V.

GREVI (a cura di), L'ordinamento penitenziario tra riforme ed emergenza (1986-93), Padova, 1994, p. 185 e s.; N. DE RIENZO, op. cit., p. 113; V. MACRÌ, op. cit., p. 9; L. BRESCIANI, op. cit., p. 286.

nel bagaglio conoscitivo degli organi investigativi, necessari all'accertamento del-le suddette circostanze fattuali del-legittimanti la sospensione deldel-le regodel-le del tratta-mento penitenziario31. A tal fine, infatti, assumono decisiva rilevanza i risultati delle indagini in corso afferenti il gruppo criminale di appartenenza del detenuto (nei limiti consentiti dal segreto investigativo); gli esiti delle indagini patrimoniali – eventualmente sfociate nell'applicazione di una misura di prevenzione in rem – che, in base al tenore di vita familiare, facciano intendere il possibile finanziamen-to da parte della stessa organizzazione, il che è evidentemente sinfinanziamen-tomatico della persistenza di collegamenti tra il sodalizio ed il detenuto; ogni elemento, anche privo di rilevanza penale o processuale, come annotazioni o relazioni di servizio, in grado di rivelare i rapporti tra il soggetto in vinculis e la cosca di suo riferimen-to32.

Dal punto di vista procedimentale, come s'è anticipato, l'art. 41-bis ord. pe-nit. prevede che il Ministro della giustizia, ai fini dell'applicazione del regime de-tentivo speciale, acquisisca il parere del P.M. che procede alle indagini preliminari ovvero di quello presso il giudice procedente, nonché ogni altra informazione dal-la Direzione nazionale antimafia ed antiterrorismo e dagli organi di polizia.

Tale statuizione legislativa pone alcuni problemi di interpretazione che sono stati variamente affrontati dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Dalla lettura del testo normativo pare infatti emergere la discrasia tra la funzione consultiva de-mandata ai procuratori distrettuali e la funzione meramente informativa attribuita invece alla D.N.A.: in considerazione del potere di coordinamento investigativo a quest'ultima riservato nell'ambito delle indagini di mafia (ed oggi anche di terrori-smo)33, sarebbe tuttavia preferibile un'interpretazione estensiva della norma de

qua tale da riconoscere anche alla Direzione nazionale il più penetrante potere

(31) Cfr. S. ARDITA, Il nuovo regime dell'art. 41-bis, cit., p. 11.

(32) Per queste ed altre indicazioni v. S. ARDITA, Il regime detentivo speciale, cit., p. 120. Nella medesima direzione cfr. S. ARDITA, Il nuovo regime dell'art. 41-bis, cit., p. 10; P. CORVI, op. cit., p. 146 e s.

(33) In particolare, ai sensi dell'art. 371-bis comma 2 cod. proc. pen. «il Procuratore nazionale antimafia esercita funzioni di impulso nei confronti dei procuratori distrettuali al fine di rendere ef-fettivo il coordinamento delle attività di indagine, di garantire la funzionalità dell'impiego della po-lizia giudiziaria nelle sue diverse articolazioni e di assicurare la completezza e tempestività delle investigazioni».

consultivo34.

Nondimeno, nella prassi, questa distonia pare essersi appiattita, atteso che la giurisprudenza di legittimità sembrerebbe accreditare un orientamento teso a ri-conoscere l'equipollenza dei due “canali informativi”35. Invero, da un lato, secon-do la Cassazione non è configurabile alcuna nullità del decreto ministeriale appli-cativo del regime differenziato qualora il provvedimento sospensivo «sia emanato senza previa acquisizione di informazioni presso la D.N.A. e gli organi di Polizia centrali e specializzati perché non ritenute necessarie dal Ministro, in quanto nor-mativamente caratterizzata l'acquisizione di tali informazioni dalla “necessità”»36. Parimenti, dall'altro lato, la Suprema Corte ha più volte sottolineato come le sud-(34) Cfr. in questa direzione P. CORVI, op. cit., p. 144; S. ARDITA, Il regime detentivo speciale, cit., p. 118. Peraltro, evidenzia V. MACRÌ, op. cit., p. 19, l'attività informativa della Direzione na-zionale «è necessariamente più ampia di quella delle D.D.A., in quanto la D.N.A. sia per effetto della disponibilità della Banca Dati nazionale, sia per effetto dell'attività di coordinamento a lei propria, ha conoscenza dei dati riguardanti il detenuto su base nazionale e talvolta anche interna-zionale, ed è in grado pertanto di offrire al D.A.P. un quadro informativo più completo circa la sua pericolosità sociale». Comunque sia, è ineludibile l'impegno profuso dalla Direzione nazionale an-timafia ed antiterrorismo in subiecta materia. La Direzione Nazionale Anan-timafia e Antiterrorismo,

Relazione annuale sulle attività svolte dal Procuratore nazionale e dalla Direzione nazionale anti-mafia e antiterrorismo nonché sulle dinamiche e strategie della criminalità organizzata di tipo mafioso, Febbraio 2016 (periodo 1 luglio 2014 – 30 giugno 2015), p. 10 annovera tra le principali

attività da essa svolte i pareri ex art. 41-bis ord. penit. che, nel periodo compreso tra il primo luglio 2014 ed il 30 giugno 2015, sono stati 294 di cui 98 riferiti ai casi di prima applicazione del regime speciale e 196 ai casi di proroga dello stesso.

(35) Nonostante ciò, le informative fornite dalle varie D.D.A. non paiono sovrapponibili, sotto il profilo contenutistico, a quelle fornite dalla D.N.A. In particolare, «il ruolo delle D.D.A. in materia può essere definito di due tipi: propositivo ed informativo. Il primo consiste nella segnalazione al D.A.P. dell'arresto di detenuti di particolare pericolosità per il tipo di reati per i quali è stato con -dannato, ma più spesso per i quali è stato raggiunto da ordinanza di misura cautelare, per la perso-nalità dello stesso, per il ruolo di capo, organizzatore o promotore dell'associazione (di tipo mafio-so o finalizzata al traffico di mafio-sostanze stupefacenti), per il periodo di latitanza trascormafio-so prima della cattura, ecc. Il secondo consiste nelle informazioni fornite su richiesta del D.A.P. in occasione del -le proroghe, in particolare sugli sviluppi dei procedimenti nel corso dei quali sono state emesse -le misure cautelari di cui sopra, sull'operatività delle cosche di riferimento, su ogni altro elemento utile ad integrare ed aggiornare le informazioni già in possesso del D.A.P. Dove il contributo cono-scitivo delle D.D.A. risulta decisivo è nell'apporto di conoscenze e informazioni provenienti dalle indagini circa metodi, tecniche, frequenza, dei contatti che detenuti, anche sottoposti al regime del 41 bis, riescono a mantenere con l'esterno». Per quanto concerne, invece, il ruolo della D.N.A., essa «ha sempre, sollecitamente ed analiticamente fornito i pareri richiesti, attivando sin dall'inizio della sua attività, che risale al gennaio del 1993, un sistema organizzativo interno, secondo il quale spetta al sostituto delegato al collegamento investigativo con un determinato distretto giudiziario elaborare il parere (o la proposta) relativamente al detenuto di competenza del medesimo distretto. La competenza venne stabilita non già sulla base del luogo di detenzione, bensì su quello dell'ap-partenenza criminale dello stesso (generalmente il luogo nel quale ha sede l'A.G. che ha emesso la misura cautelare o la condanna)». Per queste ed altre indicazioni cfr. V. MACRÌ, op. cit., p. 18 e s.

dette informazioni fornite dalla D.N.A. possano tenere luogo del parere del pub-blico ministero, sicché la mancata acquisizione di quest'ultimo non configura nul-lità del provvedimento ministeriale bensì mera irregolarità37.

La medesima giurisprudenza ha escluso la necessità di sentire il P.M. allor-ché il decreto di sospensione delle regole del trattamento sia diretto ad un detenuto in espiazione di pena definitiva poiché sarebbe del tutto incongruo attribuire la funzione consultiva al pubblico ministero presso il giudice competente per l'esecu-zione stante la possibilità che quest'ultimo sia diverso da quello che ha emesso la condanna di riferimento per l'applicazione del regime differenziato38.

Se in tutti questi casi la giurisprudenza tende a negare la necessità di senti-re il P.M.39, al contrario la dottrina maggioritaria, facendo leva sul dato testuale dell'art. 41-bis comma 2-bis ord. penit. – ed in particolare sull'impiego da parte del legislatore della congiunzione «e» nonché della formula «sentito l'ufficio del pub-blico ministero» – ritiene obbligatoria e non rimessa alla discrezionalità del

Mini-(37) Cass., Sez. I, 10 gennaio 2005, n. 2660, Lombardo, in CED Cass., n. 230552; Cass., Sez. I, 20 settembre 2005, n. 39803, Sanatiti, in CED Cass., n. 232946; Cass., Sez. I, 21 novembre 2003, Sciuto, in CED Cass., n. 226636; Cass., Sez. I, 5 marzo 2004, n. 15029, Vitale, in CED Cass., n. 228898 ove si precisa che «la mancata acquisizione del parere del p.m. procedente non comporta alcuna conseguenza sul piano della validità dell'atto, non essendo prevista dalla legge alcuna san-zione»; Cass., Sez. I, 10 gennaio 2005, n. 2658, Sciara, in CED Cass., n. 230549 secondo cui la Direzione nazionale antimafia e la Direzione distrettuale antimafia, «essendo organismi di raccor-do investigativo, sono in graraccor-do di fornire tutte le informazioni necessarie in merito alla associazio-ne mafiosa di apparteassociazio-nenza del ricorrente».

(38) In questo senso Cass., Sez. I, 21 novembre 2003, n. 1372, Bruzzise, in Cass. pen., 2005, p. 1389; Cass., Sez. I, 10 gennaio 2005, n. 2660, Lombardo, cit. Nella stessa direzione, seppur con differenti argomentazioni, cfr. Cass., Sez. I, 14 novembre 2003, n. 449, Ganci, in CED Cass., n. 226629 secondo cui: «in tema di regime carcerario previsto dall'art. 41 bis l. 26 luglio 1975 n. 354 (c.d. Ordinamento penitenziario) il parere del p.m. che il Ministro della giustizia deve acquisire prima di disporre la sospensione delle regole di trattamento non è dovuto con riferimento alla posi-zione dei condannati in via definitiva, in quanto il testuale tenore del comma 2 bis del citato artico-lo, come introdotto dall'art. 2 l. 23 dicembre 2002 n. 279, prevede che sia sentito l'ufficio del p.m. che procede alle indagini preliminari ovvero quello presso il giudice che procede, sicché la dispo-sizione è riferibile esclusivamente ai detenuti in custodia cautelare e non anche a quelli che si tro-vano in espiazione di pena in esecuzione di condanna irrevocabile».

(39) Tuttavia, in un'isolata pronuncia, la Corte di cassazione, chiamata a vagliare la legittimità di un provvedimento di applicazione del regime speciale emesso senza senza attendere le informazio-ni della D.I.A. e del Comando generale dei Carabiinformazio-nieri, ebbe a dire che «secondo il chiaro tenore della norma […] l'unica condizione indefettibile per l'emissione del decreto ministeriale è l'audi-zione dell'ufficio del P.M. procedente» restando insindacabile la scelta di procedere o meno ad ul-teriori integrazioni istruttorie. Così Cass., Sez. I, 21 ottobre 2008, n. 41081, B.S., in Cass. pen., 2009, p. 3979.

stro l'acquisizione del suddetto parere40. Solo una quota minoritaria degli interpreti sembra suffragare l'orientamento giurisprudenziale che esclude la necessità di sen-tire il P.M. quando si tratti di soggetti detenuti in espiazione di pena definitiva poi-ché, dal suo tenore letterale, la disposizione in esame – «sentito l'ufficio del pub-blico ministero che procede alle indagini preliminari ovvero quello presso il giudi-ce progiudi-cedente» – parrebbe riferirsi esclusivamente ai detenuti in custodia cautelare in carcere41.

A ben vedere, questa opinione non sembra pienamente condivisibile in quanto il riferimento al giudice procedente, in mancanza di alcun distinguo tra procedimento di cognizione e procedimento di esecuzione ed attesa la natura giu-risdizionale (anche) di quest'ultimo42, porta a ritenere necessaria l'acquisizione del parere de quo pure durante la fase esecutiva. Cionondimeno, ci si domanda quale sia l'ufficio del pubblico ministero dinanzi ad un condannato in espiazione di pena definitiva stante la possibilità che a carico di quest'ultimo pendano soltanto proce-dimenti di fronte alla magistratura di sorveglianza43.

Al di là degli approdi giurisprudenziali di cui sopra, l'instaurazione della fase istruttoria delineata dall'art. 41-bis comma 2-bis ord. penit. va ritenuta uno specifico ed indispensabile presupposto del decreto ministeriale nonché una con-dizione di primaria legalità dello stesso44. Di conseguenza, l'omessa acquisizione (40) P. CORVI, op. cit., p. 145; L. CESARIS, sub art. 41-bis ord. penit., in F. DELLA CASA, G. GIOSTRA, Ordinamento penitenziario commentato, (a cura di F. DELLA CASA), Padova, 2015, p. 468; R. DEL COCO, La sicurezza e la disciplina penitenziaria, in P. CORSO (a cura di), Manuale

del-la esecuzione penitenziaria, Midel-lano, 2013, p. 203; M. MONTAGNA, Il regime carcerario

differen-ziato verso nuovi equilibri, in Dir. pen. proc., 2004, p. 1290; F. GIUNCHEDI, Linee evolutive della

giurisprudenza di legittimità in ordine ai rinnovati standards probatori dell'art. 41 bis ord. penit.,

in G. it., 2005, p. 2358.

(41) G. M. NAPOLI, Il regime penitenziario, Milano, 2012, p. 223. Nello stesso senso cfr. L. BLASI, Per limitare i diritti civili occorre un atto del giudice, non del Ministro. L'articolo 41bis op

contrasta con l'articolo 15 della Costituzione, in Dir. e giust., 2004, f. 4, p. 12 e ss.

(42) Sul punto v. M. SCAPARONE, Procedura penale, vol. II, Torino, 2013, p. 393 secondo cui an-che il procedimento di esecuzione è un procedimento giurisdizionale.

(43) Per queste considerazioni v. A. DI GIOVANNI, Ordinamento penitenziario, la riforma non è

solo 41bis. Numerose le novità introdotte dalla legge 279/02, in Dir. e giust., 2003, f. 1, p. 11;

EAD., Forma, contenuto e impugnabilità del provvedimento ex articolo 41bis. L'analisi della

rifor-ma tra conferme ed incertezze, in Dir. e giust., 2002, f. 43, p. 56 la quale intravede nell'ufficio del

P.M. che ha seguito il processo l'unico soggetto in grado di avere una completa cognizione della condannato. Cfr. anche R. DEL COCO, op. cit., p. 203.

(44) In questi termini M. MONTAGNA, op. cit., p. 1290. Nella stessa direzione v. F. GIUNCHEDI,

delle suddette informative dovrebbe correttamente determinare l'annullabilità del provvedimento di applicazione del regime speciale in quanto inficiato da violazio-ne di legge45.

Resta, invece, il dubbio se le “consultazioni” richieste al Ministro siano idonee o meno a produrre effetti vincolanti in sede di adozione del decreto di so-spensione delle regole del trattamento46. La risposta affermativa parrebbe dettata dalla maggior “familiarità” della materia (il contrasto alla criminalità organizzata) che gli organi inquirenti possiedono rispetto al Guardasigilli e dalla mancata pre-visione di strumenti giuridici per impugnare l'eventuale diniego ministeriale. Tut-tavia, la tesi negativa sembra la più aderente al disposto normativo atteso che il le-gislatore là dove ha voluto disciplinare ipotesi di pareri vincolanti, lo ha fatto in modo differente rispetto all'art. 41-bis ord. penit.47.

Da ultimo occorre precisare che in sede di applicazione o di proroga del regime speciale non è prevista l'instaurazione di alcuna sorta di contraddittorio e non è nemmeno richiesto che al detenuto sia data la comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 della legge 7 agosto 1990 n. 24148, con conseguente impos-sibilità per l'interessato di partecipare al procedimento stesso e di venire a cono-scenza del contenuto delle informazioni e dei pareri acquisiti dal Ministro49.

Infat-(45) L. CESARIS, op. cit., p. 468; M. MONTAGNA, op. cit., p. 1290.

(46) Per la tesi affermativa v. L. CESARIS, op. cit., p. 469 secondo cui le informative dovrebbero avere valore vincolante «al fine di ancorare il decreto a dati oggettivi». Contra M. RUOTOLO,

Quando l'emergenza diventa quotidiana, cit., p. 424.

(47) V., a titolo esemplificativo, l'art. 146 comma 5 D.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42: «Sull'istanza di autorizzazione paesaggistica si pronuncia la regione, dopo avere acquisito il parere vincolante del soprintendente in relazione agli interventi da eseguirsi su immobili ed aree sottoposti a tutela dalla legge o in base alla legge...»; oppure l'art. 14 D.P.R 24 novembre 1971 n. 1199 ove si dice: «La decisione del ricorso straordinario è adottata con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministero competente, conforme al parere del Consiglio di Stato».

(48) Dispone l'art. 7 della L. 241/90: «Ove non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento, l'avvio del procedimento stesso è comunicato,

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