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I detenuti in attesa di giudizio al 41-bis: la presunzione di non colpe- colpe-volezza in balia delle esigenze di prevenzione?

I PRESUPPOSTI APPLICATIVI DEL REGIME DETENTIVO SPECIALE

7. I detenuti in attesa di giudizio al 41-bis: la presunzione di non colpe- colpe-volezza in balia delle esigenze di prevenzione?

Durante la vigenza dell'originaria versione dell'art. 41-bis comma 2 ord. penit., stante la generica menzione dei «detenuti», si dubitava se il regime detenti-vo speciale potesse trovare applicazione anche con riferimento agli indagati e agli imputati ovvero se la sua operatività dovesse restare circoscritta ai soggetti con-dannati in via definitiva. Mentre la dottrina si presentava spaccata sul punto122, la giurisprudenza di legittimità si era consolidata sull'interpretazione estensiva123, avallata in ciò dalla Corte costituzionale che, chiamata a pronunciarsi in merito alla questione, ebbe a chiarire che «non può invocarsi la presunzione di non colpe-volezza per impedire l'applicazione di misure che non hanno e non possono avere natura e contenuto di anticipazione della sanzione penale, bensì solo di cautela in relazione a pericoli attuali per l'ordine e la sicurezza, collegati in concreto alla de-tenzione di determinati condannati o imputati per delitti di criminalità organizza-ta»124. Siffatta linea giurisprudenziale è stata espressamente recepita per tabulas dal legislatore il quale, sin dal 1998, ha interpolato l'art. 41-bis ord. penit. con espliciti riferimenti alla figura del detenuto in attesa di giudizio125, sicché dall'at-(122) In senso favorevole all'applicabilità del regime speciale nei confronti del detenuto-imputa-to v. L. D'AMBROSIO, op. cit., p. 419, nt. 8; A. MARTINI, op. cit., p. 210; G. NEPPI MODONA,

Ordina-mento penitenziario, in Dig. Pen., IX, Torino, 1995, p. 54. Per il riferiOrdina-mento alla sola categoria dei

condannati cfr. M. PAVARINI, Il trattamento dei detenuti differenziati, cit., p. 749; B. GUAZZALOCA,

Differenziazione esecutiva e legislazione d'emergenza in materia penitenziaria, in Dei delitti e del-le pene, 1992, f. 3, p. 145.

(123) Cass., Sez. I, 5 giugno 1995, n. 3410, Ascione, in Giust. pen., 1996, f. III, p. 344: «In tema di ordinamento penitenziario le disposizioni di cui all'art. 41-bis l. 26 luglio 1975, n. 354 trovano applicazione, come è dimostrato dall'uso del generico termine “detenuti”, non solo nei confronti di condannati, ma anche riguardo a imputati i quali sono anch'essi, d'altra parte, soggetti ad una for-ma di “trattamento” (art. 1 comfor-ma 5 ord. penit.) e destinatari di norme quali, ad esempio, quelle in materia di colloqui, di corrispondenza, di remunerazione, di peculio, di permessi per gravi eventi familiari; e ciò senza considerare che la ratio legis, ispiratrice dell'introduzione della norma in esa-me (art. 19 d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv. con modificazioni in l. 7 agosto 1992, n. 356), è di tut-ta evidenza identica tut-tanto per i detenuti-condannati quanto per quelli in carcere per custodia caute-lare, giacché sia per gli uni che per gli altri possono porsi le identiche esigenze di ordine carcerario e di sicurezza pubblica». Nella medesima direzione cfr. Cass., Sez. I, 3 giugno 1994, Carollo, in

Cass. pen., 1995, p. 2281; Cass., Sez. I, 27 novembre 1996, n. 6288, P.M., in Cass. pen., 1998, p.

258.

(124) Corte cost., sent. 5 dicembre 1997, n. 376, cit.

(125) Inequivocabili in tal senso sono la menzione dei titoli di custodia cautelare e delle misure cautelari operata all'ultimo periodo del comma 2 dell'art. 41-bis ord. penit.; il riferimento all'«uffi-cio del pubblico ministero che procede alle indagini preliminari» effettuato al comma 2-bis; lo spe-cifico richiamo alla figura dell'«imputato» fatto alla lett. b) del comma 2-quater.

tuale formulazione del disposto normativo deve indubbiamente evincersi l'operati-vità del “carcere duro” anche nei confronti di tali soggetti126.

Questa scelta, ispirata ad evidenti esigenze securitarie, ha tuttavia suscitato dubbi di ortodossia costituzionale in ordine al supposto vulnus dell'art. 27 comma 2 Cost., specie con riferimento agli indagati, la cui posizione processuale è ancora tutta da definire127. Pare quindi decisivo capire fino a che punto le istanze di venzione sottese al 41-bis possano spingersi, senza travalicare i limiti della pre-sunzione di non colpevolezza costituzionalmente garantita ai detenuti in attesa di giudizio.

Concentrandoci in via esclusiva sulla figura dell'imputato per il delitto di cui all'art. 416-bis cod. pen., occorre rammentare che, al riguardo, l'ordinamento detta, in materia di “carcerazione preventiva”, una disciplina speciale in ragione delle peculiarità che tale fattispecie criminosa presenta. Invero, l'art. 275 comma 3 secondo periodo cod. proc. pen. pone, con riferimento a quest'ultima, una duplice presunzione128: la prima, di carattere relativo (iuris tantum), attiene alle esigenze (126) Secondo i dati riportati in Senato della Repubblica. XVII Legislatura. Commissione

straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, Rapporto, cit., p. 51, al 31 dicembre

2015 la popolazione dei detenuti sottoposti al regime speciale era così ripartita: definitivi 45,6%; in attesa di primo giudizio 6,7%; appellanti 5%; ricorrenti 5,6%; posizione giuridica mista senza definitivo 8%; posizione giuridica mista con definitivo 28,5%; internati 0,5%. Sommando i sog-getti in attesa di primo giudizio, gli appellanti, i ricorrenti e quelli con posizione giuridica mista senza definitivo si può osservare come la percentuale di coloro che, pur non essendo (ancora) stati condannati in con sentenza passata in giudicato, sono detenuti in regime di “carcere duro” è piutto-sto alta, pari al 25,3%.

(127) Così L. CESARIS, sub art. 41-bis ord. penit., 2015, cit., p.455. Peraltro, C. FIORIO, Giusto

processo e fenomenologia della detenzione, in G. CERQUETI, C. FIORIO (a cura di), Sanzioni e

pro-tagonisti del processo penale, Padova, 2004, p. 172, evidenzia come l'applicazione del regime

spe-ciale ai detenuti in attesa di giudizio configuri una sorta di “misura cautelare atipica” contrastante con i principi di tassatività e di giurisdizionalità cautelari.

(128) L'art. 275 comma 3 cod. proc. pen., così come modificato dalla legge 16 aprile 2015 n. 47 statuisce: «La custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando le altre misure coercitive o interdittive, anche se applicate cumulativamente, risultino inadeguate. Quando sussi-stono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui agli articoli 270, 270-bis e 416-bis del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari. Salvo quanto previsto dal secondo periodo del presente comma, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui all'artico-lo 51, commi 3-bis e 3-quater, del presente codice nonché in ordine ai delitti di cui agli articoli 575, 600-bis, primo comma, 600-ter, escluso il quarto comma, 600-quinquies e, quando non ricor-rano le circostanze attenuanti contemplate, 609-bis, 609-quater e 609-octies del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari o che, in relazione al caso concreto, le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure».

cautelari, che il giudice deve considerare sussistenti ogni qual volta non consti la prova della loro mancanza; la seconda, di carattere assoluto (iuris et de iure), con-cerne la scelta della misura ed è fondata su un apprezzamento legale, vincolante e incontrovertibile, di adeguatezza della sola custodia carceraria a fronteggiare le predette esigenze, con conseguente esclusione di ogni soluzione “intermedia” tra questa e lo stato di piena libertà dell'imputato129.

In altri termini, tenuto conto della circostanza che «l'appartenenza ad asso-ciazioni di tipo mafioso implica un'adesione permanente ad un sodalizio crimino-so di norma fortemente radicato nel territorio, caratterizzato da una fitta rete di collegamenti personali e dotato di particolare forza intimidatrice»130, si ritiene – secondo una regola di esperienza sufficientemente condivisa – che, in presenza di gravi indizi di colpevolezza relativamente alla commissione del delitto di cui al-l'art. 416-bis cod. pen., il periculum in mora possa essere affrontato soltanto con la misura più afflittiva, in deroga al principio di residualità della custodia cautelare in carcere, «non essendo le misure “minori” sufficienti a troncare i rapporti tra l'indiziato e l'ambito delinquenziale di appartenenza, neutralizzandone la pericolo-sità»131.

Ragionando in questa direzione, si potrebbe affermare che, con riferimento a quei soggetti particolarmente restii ad affrancarsi dal sodalizio delinquenziale di appartenenza e collocati in posizione di vertice all'interno dello stesso, le evidenti istanze special-preventive sottese all'art. 275 comma 3 cod. proc. pen.132 possano essere adeguatamente soddisfatte solo, ove ne sussistano i relativi presupposti, con l'applicazione del regime speciale, il quale – come si è ampiamente detto – mira (129) V., per tutti, S. PALADINO, Reati di mafia e presunzione di necessità della custodia

cautela-re in carcecautela-re. Gli orientamenti della Corte costituzionale a particautela-re dalla sentenza 25-29 marzo 2013, n. 57, in federalismi.it, 25 settembre 2013; V. GREVI, Misure cautelari, in G. CONSO, V. GREVI, M. BARGIS, Compendio di procedura penale, Padova, 2012, p.406 e ss.; A. PULVIRENTI,

Una visione d'insieme della normativa penitenziaria in tema di criminalità organizzata: dalla legi-slazione di emergenza alla legilegi-slazione di settore, in B. ROMANO, G. TINEBRA (a cura di), Il diritto

penale della criminalità organizzata, Milano, 2013, p. 335.

(130) Così Corte cost., sent. 21 luglio 2010, n. 265, in www.giurcost.org.

(131) Nuovamente Corte cost., sent. 21 luglio 2010, n. 265, cit. Cfr. anche A. PULVIRENTI, op.

cit., p. 335.

(132) Sul fatto che tale disciplina sia «evidentemente ricollegabile a non sottaciute istanze di di-fesa sociale» cfr. V. GREVI, Misure cautelari, cit., p. 407.

appunto ad impedire la perpetuatio delicti dei detenuti provenienti dal mondo del-la criminalità organizzata, ponendosi, con ciò, in sintonia con quelli che, grosso modo, sono gli obiettivi della custodia cautelare133. Nondimeno, una lettura costi-tuzionalmente orientata della situazione in esame impone che le suddette esigenze di difesa sociale e di prevenzione non possano protrarsi fino a pregiudicare la pre-sunzione di non colpevolezza di cui al secondo comma dell'art. 27 Cost.

Ad avviso di chi scrive, il corretto bilanciamento tra i due interessi con-trapposti richiede, in primo luogo, che l'adozione, nei confronti del detenuto-im-putato, di un istituto di particolare rigore come il regime speciale venga subordi-nata ad un elevato grado di certezza relativamente alla sussistenza del fumus

com-missi delicti. In prospettiva de iure condendo, questa esigenza potrebbe essere

soddisfatta – là dove non sia ancora intervenuta l'eventuale condanna in primo grado – mutuando, dal giudizio immediato custodiale, il principio di “evidenza della prova” ed assoggettando, perciò, l'adozione del decreto sospensivo alla “cri-stallizzazione”, ad opera del tribunale della libertà, del provvedimento cautelare emesso dal giudice a quo ovvero allo spirare del termine perentorio di dieci giorni previsto per proporre impugnazione avverso di esso.

In secondo luogo, il necessario rispetto della presunzione di non colpevo-lezza impone all'amministrazione di monitorare costantemente gli sviluppi del procedimento di cognizione, ricorrendo, se del caso, alla revoca anticipata del de-creto ministeriale qualora, dalle progressive risultanze processuali, la posizione del detenuto risulti ridimensionata.

8. Gli internati al 41-bis: il difficile rapporto tra regime speciale e

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