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Segue. Gli indici sintomatici della pericolosità sociale del detenuto ai fini della proroga del 41-bis

APPLICAZIONE, PROROGA E REVOCA DEL REGIME DETENTIVO SPECIALE

6. Segue. Gli indici sintomatici della pericolosità sociale del detenuto ai fini della proroga del 41-bis

Ai fini della prognosi circa la perdurante capacità del soggetto in vinculis di riallacciare rapporti con la societas sceleris e nell'ottica, verosimilmente, di una maggior certezza del diritto, la novella del 2009 ha “codificato” all'art. 41-bis comma 2-bis ord. penit. una serie di fattori sintomatici della pericolosità del dete-nuto, da cui poter desumere la sussistenza delle condizioni necessarie per la reite-razione del “carcere duro”135. Tali parametri, largamente ricavati dalla precedente elaborazione pretoria e dottrinale, fungono, quindi, da linee guida tanto per l'am-ministrazione ex ante quanto, eventualmente, ex post per il tribunale di sorveglian-za in sede di reclamo136.

In particolar modo, il legislatore ha specificato che la proroga del regime speciale può essere disposta quando risulta che la capacità del detenuto di mante-nere collegamenti con l'organizzazione criminale, terroristica o eversiva non è ve-nuta meno, «tenuto conto anche del profilo criminale e della posizione rivestita dal soggetto in seno all'associazione, della perdurante operatività del sodalizio cri-minale, della sopravvenienza di nuove incriminazioni non precedentemente valu-tate, degli esiti del trattamento penitenziario e del tenore di vita dei familiari del sottoposto. Il mero decorso del tempo non costituisce, di per sé, elemento suffi-ciente per escludere la capacità di mantenere i collegamenti con l'associazione o dimostrare il venir meno dell'operatività della stessa».

Quanto al primo degli indici sopra richiamati – il profilo criminale del de-tenuto –, nonostante la Cassazione in più occasioni abbia ribadito come la motiva-zione del decreto di proroga non possa limitarsi a riprodurre la biografia delin-quenziale e giudiziaria del soggetto senza alcun riferimento ad altre apprezzabili e

(135) «Positivo è il tentativo di risolvere i dubbi interpretativi in tema di proroga della misura già applicata con una descrizione più puntuale dei criteri di valutazione ai quali essa deve essere ancorata, oggi espressi con una indicazione generica che ci si propone di superare mediante una specificazione normativa degli indici rivelatori del permanente collegamento con le organizzazioni criminali». Così Consiglio Superiore della Magistratura, Parere sul disegno di legge n. 733 del 3

giugno 2008, recante “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”, cit., p. 4.

(136) Per questa considerazione v. S. GROSSO, Novità in materia di proroga: ragionevole

concrete circostanze da cui desumere la perdurante pericolosità del medesimo137, v'è da dire che, dalla lettura della giurisprudenza, si può scorgere il costante im-piego del parametro de quo. L'«elevato» o «allarmante» (così si legge in alcune pronunce) profilo criminale del detenuto viene di norma motivato dal numero e dalla gravità dei reati commessi ed eventualmente dal periodo di latitanza trascor-so138. Pare comunque ragionevole escludere che il passato delinquenziale del sog-getto – elemento del tutto statico e pertanto incapace di fornire indicazioni aggior-nate in merito all'attuale capacità del detenuto di ristabilire contatti con il sodali-zio139 – possa giustificare ex se l'applicazione di un regime speciale che, come si è più volte ribadito, fa dell'esigenza di prevenzione (in chiave quindi futura) la sua unica ratio140.

La posizione rivestita all'interno della compagine criminale rappresenta an-ch'essa uno degli indicatori maggiormente utilizzati ai fini della proroga del

41-bis141. Peraltro, sembra questo il parametro più solido a cui ancorare la prognosi di perdurante pericolosità sociale del detenuto, poiché si deve verosimilmente ritene-re che la capacità di costui di riallacciaritene-re rapporti con il crimine organizzato sia tanto maggiore quanto più elevato è il ruolo da lui ricoperto e ciò in considerazio-ne del crescente apporto strategico che l'associato in vinculis potrebbe potenzial-mente fornire qualora venisse meno nei suoi confronti l'applicazione del “carcere duro”. Inoltre, atteso che la posizione rivestita dal soggetto nell'ambito della

com-(137) Per tutte, Cass., Sez. I, 8 febbraio 2005, n. 4480, Galatolo, cit.

(138) In considerazione del periodo di latitanza v. recentemente Cass., Sez. VII, 17 marzo 2015, n. 44914, Virga, inedita; Cass., Sez. I, 17 novembre 2015, n. 11602, Trombetta, inedita.

(139) A riprova di tale assunto si consideri che molti detenuti diventati collaboratori di giustizia, e per questo esclusi dal campo di operatività della disciplina extra ordinem (in quanto non più peri-colosi), possono “vantare” un profilo delinquenziale di elevatissimo spessore.

(140) Ed infatti si può anche osservare come nel testo normativo l'indice in questione sia legato dalla congiunzione “e” al parametro successivo.

(141) Se in molti casi il regime speciale è stato prorogato a soggetti collocati in «posizione di vertice» (v. ad esempio Cass., Sez. I, 6 ottobre 2011, n. 48396, Lucchese, cit.; Cass., Sez. I, 17 set-tembre 2014, n. 52548, Apicella, cit.) o incaricati di un «ruolo apicale» (in questo senso cfr. Cass., Sez. VII, 19 novembre 2015, n. 19868, Macrì, cit.; Cass., Sez. VII, 19 maggio 2015, n. 47692, Pre-sta, inedita) in seno al sodalizio, in altri casi si è ritenuto sufficiente, ai fini della reiterazione del “carcere duro”, l'aver assunto, da parte del detenuto, una posizione «se non apicale, comunque qualificata dall'essere stato un sanguinario e spietato esponente, protagonista della strategia stragi-sta contro lo stragi-stato e le sue istituzioni». In questi termini Cass., Sez. VII, 10 marzo 2016, n. 19290, Giuliano, inedita.

pagine mafiosa è passibile di un'evoluzione nel tempo, l'impiego del parametro in argomento – a differenza di quanto s'è detto in relazione al precedente – consenti-rebbe di fondare la reiterazione del regime speciale su dati costantemente aggior-nati e quindi effettivamente indicativi della persistente esigenza di prevenzione. Per converso, quindi, risulta necessario il continuo monitoraggio da parte degli or-gani investigativi delle vicende interne all'associazione mafiosa142, onde stabilire quale ruolo è attualmente riconosciuto al detenuto e, di conseguenza, quale livello di pericolosità egli mantiene143. Sul punto, secondo la Cassazione, costituisce «un'erronea applicazione dell'art. 41 bis [ord. penit.]» il ritenere che il regime spe-ciale «non si attagli tout-court a soggetti che non si trovino in posizione apicale e comunque a chi non sia stata contestata […] l'aggravante di cui al [secondo] capo-verso dell'art. 416 bis c.p.144, ben potendo per contro asseverarsi la necessità della prosecuzione del regime, non solo dalla comunque certa collocazione del soggetto nella consorteria di riferimento, sulla base delle informative assunte e della bio-grafia criminale che gli è propria, ma anche dagli altri elementi dalla legge indica-ti nella novella del 2009»145.

Il terzo indice a cui fa riferimento l'art. 41-bis comma 2-bis ord. penit. è rappresentato dalla perdurante operatività del sodalizio criminale146. In questo caso sembra di essere di fronte ad un elemento certamente necessario ma non suf-ficiente: necessario in quanto la capacità del detenuto di mantenere contatti con la

(142) Sul punto cfr. dettagliatamente S. GROSSO, op. cit., p. 744 e s.

(143) V. Cass., Sez. I, 20 novembre 2014, n. 52985, Marchese, inedita secondo cui «in assenza […] di ruoli di rilievo nell'organizzazione criminale di appartenenza, non può ragionevolmente ac-creditarsi alcuna necessità per essa (organizzazione) di perseguire rapporti o interlocuzioni col de-tenuto», il quale peraltro è sempre stato un mero esecutore di ordini omicidiari, ruolo «allo stato palesemente inadeguato per le condizioni personali» del soggetto.

(144) Recita il secondo comma dell'art. 416-bis cod. pen.: «Coloro che promuovono, dirigono o organizzano l'associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da quattro a nove anni».

(145) In questi termini Cass., Sez. I, 25 maggio 2011, n. 25898, P.N.A. in proc. Dessì, inedita. Nella medesima direzione cfr. Cass., Sez. I, 17 febbraio 2011, n. 11023, P.M. in proc. Badagliacca,

inedita; Cass., Sez. I, 14 maggio 2015, n. 19222, P.N.A. in proc. Cosentino, inedita. Da ultimo

Cass., Sez. I, 10 dicembre 2015, n. 17024, P.N.A. in proc. Gioffrè, inedita. Sul punto, in dottrina, v. F. FIORENTIN, Regime del “41 bis” non applicabile ai semplici affiliati, in Corr. merito, 2008, f. 8-9, p. 947 ss.

(146) Parametro anche questo molto utilizzato: v. a titolo esemplificativo Cass., Sez. I, 14 mag -gio 2015, n. 19223, Paviglianiti, inedita; Cass., Sez. I, 16 gennaio 2007, n. 12477, Putrone, cit.; Cass., Sez. I, 27 aprile 2006, n. 14551, P.G. in proc. Di Giacomo, cit.; Cass., Sez. I, 28 settembre 2005, n. 39760, Emmanuello, cit.

criminalità organizzata postula ineluttabilmente l'esistenza di un'associazione de-linquenziale attiva sul territorio147; non sufficiente poiché, ai fini della proroga, oc-corre verificare (oltre a quanto detto) l'attuale interesse da parte del sodalizio all'e-ventuale apporto strategico che potrebbe fornire il detenuto qualora venisse meno nei suoi confronti l'applicazione del regime speciale. Anche questo parametro, com'è peraltro evidente, deve essere costantemente attualizzato148 mediante l'indi-cazione di elementi aggiornati da cui inferire sia la perdurante operatività dell'or-ganizzazione149 che la sussistenza di un interesse della stessa nei confronti del de-tenuto150.

La sopravvenienza di nuove incriminazioni non precedentemente valutate costituisce, a ben vedere, un indicatore di pericolosità sociale di variabile utilità a seconda che i fatti cui esse si riferiscono siano recenti ovvero risalenti nel tempo. Infatti, nel primo caso, specie qualora le condotte siano poste in essere in costanza di detenzione, l'autorità amministrativa avrebbe nella sua disponibilità elementi at-(147) P. CORVI, Trattamento penitenziario e criminalità organizzata, cit., p. 185 e s. Secondo S. ARDITA, La Cassazione sancisce l'obbligo di motivare anche la prova negativa, cit., p. 3085 «non può esservi infatti ragionevole dubbio sulla circostanza che ogni esigenza prevenzionale vada ri-condotta in primo luogo alla persistenza sul territorio di una organizzazione criminale. Solamente rispetto a tale operatività ha senso ragionare in ordine alla capacità del singolo detenuto di colle -garsi con l'esterno. Per meglio dire è la organizzazione medesima che tiene viva questa capacità, che ha interesse ad interagire con il detenuto, che intende avvalersi delle sue conoscenze per conti-nuare a condurre iniziative illecite, o addirittura per essere da lui governata».

(148) Sul punto v. P. GRASSO, M. PRESTIPINO, Il regime differenziato dell'art. 41 bis ord. penit.

ha ancora un futuro quale strumento di contrasto alla criminalità organizzata?, in F. it., 2007, f. 4

p. 249 secondo cui «il grado, la valenza e l'efficacia degli elementi dai quali poter desumere l'at -tuale operatività di una o più articolazioni territoriali ovvero l'attualità dell'interesse criminale per un determinato settore di intervento devono necessariamente commisurarsi al tempo durante il quale il detenuto cui si riferisce l'accertamento è già stato sottoposto al regime differenziato. Mag-giore il tempo di detenzione sofferta e, dunque, più lontana nel tempo la prova de collegamento, più significativa ed individualizzante dovrà, in corrispondenza, apparire la prova dell'operatività dell'articolazione territoriale o della persistenza dell'interesse mafioso per il settore di intervento».

(149) Come evidenziato in dottrina, la verifica circa la perdurante operatività del sodalizio andrà condotta in relazione non all'intera compagine mafiosa bensì, da un punto di vista verticale, alla singola articolazione in cui è inserito il detenuto e, da un punto di vista orizzontale, ai settori di in-tervento del gruppo criminale. In questo senso, già prima della riforma del 2009, si erano espressi P. GRASSO, M. PRESTIPINO, op. cit., p. 249.

(150) V. Cass., Sez. I, 5 febbraio 2015, n. 23393, P.M. in proc. Paolello, inedita ove ai fini del-l'annullamento del decreto ministeriale si da rilievo, tra gli altri elementi, anche alla mancanza di interesse a un rinnovato apporto del detenuto dimostrata dai nuovi vertici e componenti della Stid-da. Peraltro v. Cass., Sez. I, 14 gennaio 2009, n. 4428, Riedo, cit. secondo cui «la proroga del regi-me di detenzione differenziato previsto dall'art. 41-bis L. n. 354 del 1975 non può trovare giustifi-cazione soltanto nella permanenza in vita dell'associazione mafiosa e nell'assenza di atteggiamento collaborativo da parte del detenuto che con detta associazione abbia tenuto contatti».

tuali tali da “aggiornare” le precedenti conoscenze e quindi sicuramente decisivi ai fini della proroga; nel secondo caso, invece, ove le sopravvenute incriminazioni fossero riferite a fatti datati non farebbero altro che “confermare” una pericolosità magari non più sussistente. A ciò si aggiunga che non tutte le condotte criminose possono giustificare la reiterazione del “carcere duro” in quanto è ragionevole ri-tenere che a tal fine possano valere soltanto quelle realmente sintomatiche della pretesa «capacità del detenuto di mantenere collegamenti con l'organizzazione cri-minale». Per contro non è da escludere che anche fatti non necessariamente inte-granti (perlomeno a carico del soggetto in vinculis) alcun reato siano idonei a di-mostrare detta capacità: si pensi, ad esempio, alla figura criminis di cui all'art. 391-bis cod. pen. la quale, all'evidenza, postula una perdurante pericolosità del de-tenuto pur incriminando soltanto colui che consente al soggetto sottoposto alle re-strizioni di cui all'articolo 41-bis ord. penit. di comunicare con altri in elusione delle prescrizioni all'uopo imposte.

Quanto agli «esiti del trattamento penitenziario151», in giurisprudenza s'è detto che essi «costituiscono uno degli elementi di cui si deve tenere conto al fine di valutare il pericolo che il detenuto possa, in regime di detenzione ordinaria, ri-prendere i contatti con membri dell'associazione criminosa di appartenenza»152, salvo poi precisare che «il buon comportamento inframurario non è, di per sé solo, sintomo di resipiscenza e di seria riconsiderazione critica del proprio passato»153. Il parametro de quo è oggetto di particolare attenzione anche in dottrina. Già pri-ma della novella del 2009, parte degli interpreti evidenziava come il tentativo di ricavare la diminuita capacità di collegamento dal percorso individuale del dete-nuto si prestasse ad insuperabili equivoci negando ogni reale funzione di preven-zione all'istituto154. D'altronde, era stato affermato che se ciò che conta ai fini della (151) È stato osservato da attenta dottrina come il riferimento agli esiti del trattamento «peniten-ziario» e non di quello «rieducativo» lasci trasparire la consapevolezza dalle scarse attività tratta-mentali a disposizione dei detenuti sottoposti al “carcere duro”. Per questa considerazione v. L. CESARIS, sub art. 41-bis ord. penit., 2015, cit., p. 472.

(152) In questi termini Cass., Sez. I, 23 ottobre 2013, n. 2948, Trombetta, in G. it., 2014, p. 709. (153) Così Cass., Sez. I, 6 ottobre 2011, n. 48396, Lucchese, cit.

(154) In questi termini S. ARDITA, La Cassazione sancisce l'obbligo di motivare anche la prova

negativa, cit., p. 3085 il quale specifica che «se si volesse desumere un giudizio di pericolosità dal

intra-proroga è la capacità di mantenere collegamenti con il crimine organizzato, il ve-nir meno di tale capacità non può di per sé fondarsi «sul giudizio individuale posi-tivo ipoteticamente formulabile in capo al suddetto detenuto circa la regolarità della sua condotta carceraria, ovvero circa la sua adesione alle offerte di tratta-mento»155. La codificazione di tale indice ad opera della citata riforma non ha fatto venire meno i dubbi circa la reale idoneità di quest'ultimo a dimostrare la cessa-zione delle esigenze preventive. Parte della dottrina, in particolare, sottolinea come la dizione normativa, destinata a tradursi in un mero flatus vocis, tradisca «un ipocrita sbandieramento di un manifesto roboante ma vuoto di contenuti»156, quale la prospettiva di una pretesa possibilità di rieducazione da parte di coloro che sono sottoposti al “carcere duro”. Atteso che nei confronti di tali soggetti la fi-nalità rieducativa della pena «viene di fatto obliterata dall'adozione del regime dell'art. 41-bis»157, l'indice de quo parrebbe collocarsi «in un'accurata politica di

marketing che, dietro una formula strategicamente rispettosa del principio

costitu-zionale di rieducazione della pena, sia volta a destare il plauso di un'opinione pub-blica che, in assenza di serie politiche contro la criminalità organizzata, si conten-ta di meri e quanto mai inutili giri di vite»158.

Non manca tuttavia chi auspica un'adeguata valorizzazione dei risultati del percorso trattamentale del detenuto: ciò infatti – senza condurre necessariamente ad attribuire al regime differenziato una funzione retributiva – da un lato, consen-tirebbe una maggiore aderenza tra proroga dello stesso ed effettiva pericolosità so-ciale e, dall'altro, avrebbe l'effetto di riportare la persona del detenuto al centro dell'esecuzione penale, anche nei casi di sospensione dell'ordinario trattamento pe-nitenziario159. Ciononostante, seppur il comportamento intramoenia del soggetto

in vinculis possa fornire qualche (timido) segnale rivelatore di un concreto

distac-preso – si finirebbe per attribuire all'istituto una funzione meramente retributiva, e si sovrapporreb-be al giudizio di prevenzione – sulle capacità dinamiche e collettive di perpetrazione di reati in contesto organizzato – la dimensione del giudizio individuale, propria dell'accesso ai benefici peni-tenziari».

(155) Così V. GREVI, op. cit., p. 4596, nt. 20. (156) Testualmente S. GROSSO, op. cit., p. 747.

(157) F. FIORENTIN, Il controllo giurisdizionale sulla proroga, cit., p. 2020. (158) Così S. GROSSO, op. cit., p. 747.

co dalla realtà criminale di provenienza ovvero di un tentativo di reinserimento sociale160, non si disconosce qui come un deciso “rispolvero” del parametro in questione appaia alquanto remoto e di difficile realizzazione: si pensi al fatto che tra i soggetti cui compete il potere istruttorio non compaiono né il direttore del carcere né il magistrato di sorveglianza avente giurisdizione sull'istituto, vale a dire le due figure maggiormente adiacenti al detenuto e quindi più “istruite” ri-spetto al percorso trattamentale del medesimo. Se a ciò si aggiunge che, anche in sede di reclamo, la competenza centralizzata del tribunale di sorveglianza di Roma esclude di fatto la partecipazione, in seno al collegio, dell'omonimo magi-strato con giurisdizione sulla struttura carceraria ove il detenuto è ristretto161, allo-ra si materializza il dubbio circa la reale importanza riconosciuta dal testo norma-tivo al comportamento intramoenia del soggetto in vinculis, la quale, al cospetto delle esigenze di prevenzione proprie degli istituti che, come il regime speciale, compongono il sistema del “doppio binario”, finisce per essere drasticamente compressa.

Da ultimo, ai fini della proroga del “carcere duro” occorre prendere in con-siderazione il tenore di vita dei familiari del sottoposto e ciò in quanto l'esperienza maturata nella lotta alla criminalità di stampo mafioso ha permesso di evidenziare come le varie organizzazioni assicurino regolarmente un sussidio economico alle famiglie dei detenuti mediante la periodica erogazione di mezzi finanziari la quale finisce quindi per assumere carattere sintomatico del persistente legame tra la per-sona in vinculis e la compagine criminale operante sul territorio162.

La codificazione normativa degli indici di pericolosità riveste senza dub-bio un ruolo importante onde consentire all'amministrazione di fondare, e al tribu-nale di sorveglianza di sindacare, la motivazione della proroga sulla base di ele-(160) Cfr. Cass., Sez. I, 5 febbraio 2015, n. 23393, P.M. in proc. Paolello, cit. in cui vengono va-lorizzati, ai fini della revoca del “carcere duro”, i segnali di disponibilità manifestati dal detenuto verso le istituzioni mediante la destinazione dei beni dell'eredità paterna alla soddisfazione delle spese di giustizia e delle obbligazioni civili.

(161) Per questa considerazione v. puntualmente M. RUARO, La magistratura di sorveglianza, cit., p. 136.

(162) Sul punto cfr. P. GRASSO, M. PRESTIPINO, op. cit., p. 250 e s.; P. CORVI, Trattamento

peni-tenziario e criminalità organizzata, cit., p. 186; S. ARDITA, Il regime detentivo speciale, cit., p. 116. In giurisprudenza v. Cass., Sez. I, 27 aprile 2006, n. 14551, P.G. in proc. Di Giacomo, cit.

menti ritenuti ex lege sintomatici della capacità del soggetto in vinculis di mante-nere collegamenti con la criminalità organizzata. Cionondimeno, da un lato, la Su-prema Corte, già prima del 2009, aveva ritenuto non necessaria l'analisi e l'utiliz-zazione di tutti i parametri (allora elaborati dalla medesima giurisprudenza, oggi codificati) «essendo sufficiente anche la presenza di alcuni di essi purché le risul-tanze non siano in contraddizione con elementi di elevato spessore»163; dall'altro, l'impiego da parte del legislatore della particella «anche», collocata in apertura dell'elenco, esclude il carattere tassativo dello stesso164, con la conseguenza che tanto la perdurante esigenza di prevenzione quanto il suo venir meno ben possono essere dedotte da altri parametri non contemplati dalla littera legis. In quest'ottica, mantengono sicura valenza gli indici via via elaborati dalla prassi165 e dalla giuri-sprudenza166 nel corso degli anni.

(163) Così Cass., Sez. I, 27 aprile 2006, n. 14551, P.G. in proc. Di Giacomo, cit.

(164) P. CORVI, Trattamento penitenziario e criminalità organizzata, cit., p. 184, nt. 201; F. GIUNCHEDI, Esecuzione e modalità di espiazione della pena, cit., p. 21.

(165) In particolare, un contributo di primaria importanza non può che essere fornito dalle «Li-nee di orientamento sull'applicazione del regime speciale di detenzione ex art. 41 bis O.P. alla luce della giurisprudenza costituzionale» già elaborate nel 1998 dalla Direzione Nazione Antimafia. Il documento in questione tra gli indici di pericolosità sociale annovera: la prosecuzione

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