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Forma, efficacia temporale e notificazione del provvedimento sospensivo delle regole del trattamento penitenziario

APPLICAZIONE, PROROGA E REVOCA DEL REGIME DETENTIVO SPECIALE

3. Forma, efficacia temporale e notificazione del provvedimento sospensivo delle regole del trattamento penitenziario

A mente dell'art. 41-bis comma 2-bis ord. penit., il provvedimento di so-spensione delle ordinarie regole trattamentali è adottato con – rectius: assume la forma del – decreto motivato. La presente disposizione si pone in linea con quanto previsto in via generale dall'art. 3 l. 241/9059 e recepisce, in subiecta materia, gli insegnamenti della Consulta in ordine alla necessità che il provvedimento ministe-riale, tanto di applicazione quanto di proroga del regime speciale, rechi adeguata motivazione per ciascuno dei detenuti cui è rivolto, onde consentire all'interessato un'effettiva tutela giurisdizionale60. Ne consegue che qualora l'amministrazione (58) Cfr., ex plurimis, Cass., Sez. I, 10 gennaio 2005, n. 2660, Lombardo, cit.; Cass., Sez. I, 20 settembre 2005, n. 39803, Sanatiti, cit.: «il termine di dieci giorni per l'adozione della decisione sul reclamo avverso il decreto ministeriale di applicazione o conferma del regime differenziato ai sen-si dell'art.41 bis della legge 26 luglio 1975 n. 354 ha natura ordinatoria e pertanto la sua inosser-vanza non è causa di inefficacia del provvedimento impugnato».

(59) Tale disposizione recita: «Ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l'organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato, salvo che [per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale]. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'ammi-nistrazione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria».

(60) Corte cost., sent. 28 luglio 1993, n. 349, in www.giurcost.org; Corte cost., sent. 5 dicembre 1997, n. 376, in www.giurcost.org.; Corte cost., ord. 23 dicembre 2004, n. 417, in

www.giurco-st.org: «i provvedimenti che applicano l'art. 41-bis, comma 2, dell'ordinamento penitenziario

deb-bono essere concretamente motivati in relazione alle specifiche esigenze di ordine e di sicurezza che ne costituiscono il presupposto, in quanto il regime differenziato si fonda sull'effettivo pericolo della permanenza dei collegamenti interni ed esterni con le organizzazioni criminali e con le loro attività, e non sull'essere i detenuti autori di particolari categorie di reati». Per la necessità che il provvedimento ministeriale sia motivato v. anche Trib. Sorv. Sassari, 22 ottobre 1993, Vollaro, in

F. it., 1995, f. 2, p. 237. Tra le pronunce della Suprema Corte v. Cass., Sez. I, 6 luglio 1994, Rizzi,

in Giust. pen., 1995, f. 3, p. 665. Peraltro, in aderenza a tale principio, la Suprema Corte ha ritenu-to legittima l'emanazione di un unico provvedimenritenu-to per più destinatari, contenente una motiva-zione comune, allorquando i gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica risultino oggettivamen-te comuni a più soggetti, salvo l'unico insuperabile limioggettivamen-te che tale motivazione consenta di indivi-duare, in concreto e in rapporto a ciascun detenuto, le ragioni che hanno indotto l'amministrazione ad intervenire. In tal senso Cass., Sez. I, 9 settembre 1994, Modeo, in Cass. pen., 1995, p. 3068. In

ometta di indicare le ragioni in fatto e in diritto che l'hanno indotta ad intervenire, il decreto risulterebbe viziato, se non altro, da violazione di legge; sarebbe inoltre annullabile per eccesso di potere nei casi di insufficienza, approssimazione, illogi-cità, contraddittorietà, incongruenza, perplessità della motivazione61.

Quanto all'efficacia temporale del suddetto decreto, a seguito della riforma del 2009, il legislatore ha novellato in peius la previgente disciplina disponendo che il provvedimento di sospensione delle ordinarie regole trattamentali «ha dura-ta pari a quattro anni ed è prorogabile nelle stesse forme per successivi periodi, ciascuno pari a due anni».

A fronte della lacuna che aveva caratterizzato l'originaria versione dell'arti-colo de quo62 – ove, nel silenzio della legge, la durata del “carcere duro” veniva stabilita discrezionalmente dall'autorità amministrativa (in sede di emissione del decreto) nel consueto termine di sei mesi63 – la riforma del 2002, colmando detto vuoto normativo, aveva fissato i limiti temporali del provvedimento di prima ap-plicazione nel minimo di un anno e nel massimo di due con la possibilità di proro-garne l'efficacia per periodi successivi pari ciascuno ad un anno64.

motivazione, la suprema Corte ha chiarito che, quando tali ragioni si fondano su circostanze di fat-to comuni a più persone, è superfluo richiedere la ripetizione dell'esposizione delle stesse per cia-scun interessato al provvedimento.

(61) Per i vizi della motivazione degli atti amministrativi v., per tutti, P. M. VIPIANA, V. CINGANO, L'atto amministrativo, Padova, 2012, p. 154 e ss.

(62) La dottrina non ha mancato di evidenziare come, in assenza di una determinazione legislati-va circa la durata del provvedimento di sospensione delle ordinarie regole trattamentali, quest'ulti-ma potesse estendersi in quest'ulti-maniera indefinita nel tempo. Cfr. A. MARTINI, op. cit., p. 214; F. GIUNTA,

Art. 1 l. 16.2.1995 n. 36, in L. p., 1996, p. 49; F. CESARI, F. MONARI, sub art. 41-bis ord. penit., in M. PAVARINI, Codice commentato dell'esecuzione penale, (a cura di B. GUAZZALOCA), vol. I, Tori-no, 2002, p. 89.

(63) Non solo il decreto di prima applicazione ma anche le proroghe avevano l'efficacia tempo-rale di sei mesi. La scelta di fissare la durata del provvedimento ministeriale in un termine simile traeva origine da un obiter dictum della Consulta la quale rilevava come «nell'ambito dell'ordina-mento penitenziario [fosse] già espressamente previsto un tipo di regime detentivo – il “regime di sorveglianza particolare” – disciplinato degli artt. 14 bis e seguenti, che nella sua concreta applica-zione viene ad assumere un contenuto largamente coincidente con il regime differenziato introdot-to con il provvedimenintrodot-to ex art. 41 bis, secondo comma, di sospensione del trattamenintrodot-to penitenzia-rio». In forza di questa (pretesa) somiglianza tra i due istituti, l'autorità amministrativa, al fine di colmare la suddetta lacuna normativa, aveva applicato in via analogica al “carcere duro” il termine di sei mesi previsto ex lege per il regime di sorveglianza particolare. Per questa considerazione v. C. FIORIO, La stabilizzazione delle “carceri-fortezza”, cit., p. 410, nt. 44.

(64) Nonostante al Ministro fosse attribuito il potere di disporre la durata del regime speciale en-tro un massimo ed un minino, nella prassi raramente il Guardasigilli si avvaleva del termine massi-mo. Per questa considerazione v. Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della

crimi-Verosimilmente, secondo la dottrina, a giustificare tale dilatazione tempo-rale rispetto alla precedente prassi erano, da un lato, esigenze organizzative di bu-rocrazia ministeriale nonché, dall'altro, la necessità di evitare che l'eventuale re-clamo avverso il decreto applicativo o di proroga venisse deciso “fuori tempo massimo”65. Infatti, anteriormente all'intervento legislativo del 2002, era più volte accaduto che, nelle more del giudizio di impugnazione (i tribunali di sorveglianza disattendevano sistematicamente il termine di dieci giorni per la decisione66), il provvedimento oggetto di gravame perdesse efficacia (a causa dello spirare del termine semestrale) e venisse quindi “sostituito” da uno nuovo con la conseguenza che il ricorso avverso il vecchio decreto finiva per essere dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse ad impugnare67. Questa eventualità determi-nava un inaccettabile vuoto di tutela giurisdizionale a cui il legislatore, anche a se-guito dei moniti della Corte europea dei diritti dell'uomo68, ha rimediato dilatando

nalità organizzata mafiosa o similare, Relazione al Parlamento sulle questioni emerse in sede di applicazione della nuova normativa in tema di regime carcerario speciale previsto dall’articolo 41-bis dell’ordinamento penitenziario (legge 26 luglio 1975 n. 354, modificata dalla legge 23 di-cembre 2002, n. 279) approvata nella seduta del 8 marzo 2005, doc. XXIII n. 13, p. 13, reperibile

al sito www.senato.it.: «La Commissione sollecita, inoltre, una riflessione sulla scelta politica del Ministro di contenere nel minimo (un anno) la durata dei decreti di applicazione del regime diffe-renziato emessi nel corso del 2003, laddove la nuova legge consente una durata pari al doppio. Nel senso della maggiore durata si è opportunamente espresso il Procuratore nazionale antimafia nel corso della sua audizione» (p. 21).

(65) A. BERNASCONI, op. cit., p. 298; L. CESARIS, sub art. 41-bis ord. penit., in V. GREVI, G. GIOSTRA, F. DELLA CASA (a cura di), Ordinamento penitenziario: commento articolo per articolo, Padova, 2006, p. 433.

(66) V. per tutte Corte eur. dir. uomo, 28 settembre 2000, n. 25498/94, Messina c. Italia.

(67) Per questa soluzione giurisprudenziale v. Cass., Sez. Un., 24 marzo 1995, n. 10, Meli, in

Riv. pen., 1996, p. 61 secondo cui essendo decorso il termine finale di applicazione del trattamento

carcerario differenziato previsto dal decreto ministeriale, si deve ritenere venuto meno l'interesse processuale del ricorrente alla proposta impugnazione e pertanto, il ricorso va dichiarato inammis-sibile. Nella medesima direzione Cass., Sez. I, 24 novembre 1995, n. 6047, Bianco, in Cass. pen., 1996, p. 3770. In dottrina riportano tale circostanza, tra gli altri, P. CORVI, op. cit., p. 179, nt. 187; L. CESARIS, sub art. 41-bis ord. penit., 2006, cit., p. 433; A. BERNASCONI, op. cit., p. 298. V. anche

Senato della Repubblica. XV Legislatura. Relazione sullo stato di attuazione della legge recante modifica degli articoli 4-bis e 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di trattamento penitenziario, (Trasmessa alla Presidenza il 28 febbraio 2007), Doc. CCXXXI n. 1, p. 6, reperibile

al sito www.senato.it.

(68) Corte eur. dir. uomo, 30 ottobre 2003, n. 41576/98, Ganci c. Italia; Corte eur. dir. uomo, 8 febbraio 2005, n. 60915/00, Bifulco c. Italia; Corte eur. dir. uomo, 28 giugno 2005, n. 53720/00, Gallico c. Italia; Corte eur. dir. Uomo, 10 novembre 2005, n. 56317/00, Argenti c. Italia; Corte eur. dir. uomo, 4 dicembre 2007, n. 60395/00, Papalia c. Italia; Corte eur. dir. uomo, 17 settembre 2009, n. 74912/02, Enea c. Italia, Corte eur. dir. uomo, 6 febbraio 2010, n. 16436/02, Barbaro c. Italia. Cfr. sul punto P. CORVI, La Corte europea dei diritti dell'uomo sul regime detentivo speciale, in Dir. pen. proc., 2008, p. 1194 e s.; C. MINNELLA, La giurisprudenza della Corte europea dei

di-lo spatium temporis di efficacia del provvedimento ministeriale69.

Allo scopo di irrigidire ulteriormente il “carcere duro”70, la novella del 2009, da un lato, come s'è detto, ha raddoppiato i termini di durata del decreto tan-to di prima applicazione quantan-to di proroga che ora sono rispettivamente di quattro e di due anni, e, dall'altro, eliminando ogni margine di discrezionalità per l'ammi-nistrazione, le ha precluso la possibilità di graduare entro un minimo ed un massi-mo l'efficacia temporale del regime differenziato, come invece era previsto dalla disciplina ante riforma71.

Parte della dottrina non ha mancato di manifestare critiche riguardo a tale scelta legislativa, evidenziando come con essa sia stata aggravata l'afflittività del “carcere duro”72, nonché sia stato annullato il principio di individualizzazione del

ritti dell'uomo sul regime carcerario ex art. 41-bis ord. penit. e la sua applicazione nell'ordina-mento italiano, in Rass. penit. crim., 2004, f. 3, p. 223 e ss. il quale evidenzia come, tra l'altro,

nel-la sentenza Ganci c. Italia nel-la Corte di Strasburgo abbia condannato il nostro paese per nel-la vionel-lazione non dell'art. 13 CEDU bensì per la più grave violazione dell'art. 6 CEDU.

(69) In merito a tale scelta operata dal legislatore, si esprime in modo critico A. BERNASCONI,

op. cit., p. 299 e s., nt. 29 il quale ritiene che «non [sia] affatto possibile fare leva […] sulle

disfun-zioni organizzative e sui tempi dilatati del procedimento di sorveglianza per legittimare l'opzione legislativa volta ad ampliare il termine di efficacia dell'art. 41-bis comma 2 ord. penit.». Nella me-desima direzione L. CESARIS, sub art. 41-bis ord. penit., 2006, cit., p. 433. Contra C. MINNELLA,

op. cit., p. 227; B. BOCCHINI, Carceri e sistema penitenziario, in Dig. Pen. Agg., III, tomo 1, Tori-no, 2005, p. 132 e s.; A. DI GIOVANNI, Forma, contenuto e impugnabilità, cit., p. 57 secondo cui «non può che accogliersi positivamente la prevista ampliata delimitazione temporale». Ancorché si avrà modo di analizzare in maniera più dettagliata l'argomento nel prosieguo del lavoro, pare tutta-via opportuno segnalare come, a seguito della riforma del 2002, la situazione di mancata tutela giurisdizionale di cui trattasi abbia trovato più adeguato rimedio nell'elaborazione giurisprudenzia-le: in linea con gli insegnamenti della Corte di Strasburgo, la Cassazione ha ribaltato il precedente orientamento cui si è fatto cenno (Cass., Sez. Un., 24 marzo 1995, n. 10, Meli, cit.), riconoscendo la sussistenza dell'interesse ad impugnare anche qualora il provvedimento sottoposto a gravame sia scaduto e quindi sostituito. In tal senso v. per tutte Cass., Sez. I, 26 gennaio 2004, n. 4599, Zara, in

Cass. pen., 2004, p. 2294: «rispetto al provvedimento ministeriale di applicazione o di proroga del

regime speciale di detenzione dell'art. 41 bis l. n. 354 del 1975, anche quando ne siano scaduti gli effetti per lo spirare del termine di efficacia, non può ritenersi venuto meno l'interesse del ricorren-te alla proposta impugnazione, della quale non va pertanto dichiarata l'inammissibilità per carenza di interesse. Ciò alla luce di quanto previsto nella nuova disciplina introdotta con l. n. 279 del 2002 che, in caso di revoca della misura in sede giudiziaria, obbliga il ministro, ove intenda disporre un nuovo provvedimento, a tener conto della decisione del tribunale di sorveglianza, evidenziando elementi nuovi o non valutati in sede di reclamo». In dottrina cfr. sull'argomento S. ARDITA, Sulla

permanenza dell'interesse ad impugnare e sull'obbligo di motivazione del provvedimento di reite-razione del regime detentivo speciale, in Cass. pen., 2004, p. 2297 e s.; L. BLASI, Più garanzie sul

“carcere duro”, in Dir. e giust., 2004, f.11, p. 30 e ss.

(70) P. CORVI, Trattamento penitenziario e criminalità organizzata, cit., p. 149; M. F. CORTESI,

L'inasprimento, cit., p. 1081.

(71) Per tutti M. F. CORTESI, L'inasprimento, cit., p. 1081.

trattamento e ciò attesa l'impossibilità di regolare l'applicazione del regime in rela-zione alle esigenze poste dal singolo detenuto ed alla pericolosità sociale dello stesso73.

L'interpolazione in esame lascia, tuttavia, intendere che il legislatore abbia recepito, in subiecta materia, l'idea di chi ritiene che le norme a contenuto preven-tivo – a differenza di quelle sanzionatorie, le quali impongono una dosimetria del-la pena – non si prestino ad applicazioni differenziate74. Ed infatti, anche con rife-rimento all'impossibilità di modulare la durata del provvedimento sospensivo, emerge la scelta di improntare ogni decreto ministeriale, sia sotto il profilo conte-nutistico che sotto quello temporale (appunto), ad un unico rigido paradigma.

Quest'ultimo aspetto non manca di suscitare dei dubbi: essendo verosimil-mente variabile la pericolosità dei “detenuti differenziati”, sarebbe stato forse pre-feribile fissare la durata del provvedimento entro un minimo e un massimo onde anticipare o posticipare, a seconda delle esigenze, la “verifica” in sede di proroga circa l'attuale necessità o meno di mantenere il soggetto al “carcere duro”.

La scelta di dilatare, dal punto di vista temporale, l'operatività del medesi-mo pare non possa essere avvalorata nemmeno in considerazione del dato empiri-co in ordine alla tendenziale stabilità che, per empiri-consolidata esperienza giudiziaria75, connota il vincolo associativo intercorrente tra i componenti la compagine mafio-sa: infatti, se rispetto ai vertici delle organizzazioni criminali l'affectio societatis è tanto forte da escludere verosimilmente che la pericolosità sociale di questi ultimi possa scemare in breve tempo, all'opposto può ritenersi che simile considerazione

La deroga, cit., p. 42 e s. definiva “peggiorativa” già l'estensione temporale operata con la riforma

del 2002.

(73) M. F. CORTESI, Il nuovo regime, cit., p. 905 e s. L'Autrice prospetta una violazione dell'art. 3 Cost. – in quanto la previsione in argomento impedisce di trattare in modo differente situazioni giuridiche diverse – nonché, con riferimento agli imputati, dell'art. 27 comma 2 Cost. essendo, la posizione di questi ultimi, equiparata quella dei condannati. In senso critico rispetto a questa modi-fica operata con la riforma del 2009 v. anche L. CESARIS, sub art. 41-bis ord. penit., 2015, cit., p. 469; P. CORVI, Trattamento penitenziario e criminalità organizzata, cit., p. 149. Ritiene, invece, ap-prezzabile l'intervento normativo il Consiglio Superiore della Magistratura, Parere sul disegno di

legge n. 733 del 3 giugno 2008, recante “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”, delibera

del 10 giugno 2009, in www.csm.it, p. 4.

(74) S. ARDITA, Il regime detentivo speciale, cit., p. 85 e ss.

(75) V. per tutti G. FALCONE, Cose di cosa nostra, Milano, 2012, p. 111: «entrare a far parte del-la mafia equivale a convertirsi a una religione. Non si cessa mai di essere preti. Né mafiosi».

non valga per coloro che occupano posizioni di livello inferiore76, con la conse-guenza che l'omologazione dei detenuti al 41-bis finisce per risolversi in una vio-lazione del principio di uguaglianza.

Attese queste considerazioni, si può qui condividere la proposta avanzata dagli Stati Generali dell'esecuzione penale là dove si “invita” a ripristinare «un margine di discrezionalità tra il minimo ed il massimo» ridando al regime speciale una durata «non inferiore ad un anno e non superiore a due […] prorogabile nelle stesse forme per periodi successivi, ciascuno pari ad un anno», sulla scorta di quanto a suo tempo previsto dalla riforma del 200277.

Da ultimo, per quanto concerne la notifica del decreto applicativo del “car-cere duro”, la circolare ministeriale 9 ottobre 2003 n. 3592/6042 ha specificato i relativi adempimenti che devono essere curati dalla direzione dell'istituto, preci-sando in particolare che si deve procedere alla formale notifica ed all'esecuzione del provvedimento nello stesso giorno di ricezione del medesimo, previa consegna della copia all'interessato. Inoltre, atteso che il dettato normativo dell'art. 41-bis comma 2-quinquies ord. penit. ha riconosciuto anche al difensore del detenuto il diritto di impugnare il decreto ministeriale78, la suddetta circolare ha disposto come, a tal fine, in capo al direttore dell'istituto incomba l'onere di comunicare

an-(76) Secondo il dottor Vincenzo Macrì «per boss di grande rilevanza locale e nazionale i quattro anni iniziali possono andare molto bene, ma per un personaggio minore si potrebbe anche graduare il termine da un minimo ad un massimo». Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno

della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, Audizione del procuratore aggiun-to della Direzione Nazionale Antimafia, dotaggiun-tor Vincenzo Macrì, sul regime detentivo speciale pre-visto dall'articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975 n. 354, Resoconto stenografico n. 45

dell'11/05/2010, reperibile al sito www.senato.it., p. 12.

(77) Cfr. Stati generali dell'esecuzione penale, Tavolo 2 – Vita detentiva, responsabilizzazione,

circuiti e sicurezza, p. 17, reperibile al sito www.giustizia.it. Ove la proposta venisse approvata, il

secondo periodo dell'art. 41-bis comma 2-bis ord. penit. sarebbe così sostituito: «Il provvedimento medesimo ha durata non inferiore ad un anno e non superiore a due ed è prorogabile nelle stesse forme per periodi successivi, ciascuno pari ad un anno».

(78) Secondo la giurisprudenza di legittimità «qualora il decreto di applicazione o di proroga del regime di cui all'art. 41 bis ord. penit. sia stato notificato anche al difensore, in ossequio all'art. 2 della Circolare del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria n. 100844 del 9 ottobre 2003, il termine per il difensore per proporre reclamo decorre dal momento della notifica a lui effettuata». Nella specie, la Corte ha cassato la decisione del tribunale di sorveglianza che aveva considerato tardivo il reclamo del difensore proposto oltre il termine di 20 giorni dalla notifica del decreto di proroga al detenuto, ma entro i termini decorrenti dalla notifica a lui effettuata. Così Cass., Sez. I, 19 dicembre 2011, n. 3634, C.G., in CED Cass., n. 251851. Cass., Sez. I, 12 ottobre 2011, n. 98, B.A., in Cass. pen., 2013, p. 331.

che a costui l'emissione e l'avvenuta notifica del provvedimento sospensivo79.

4. La proroga: onere della prova e presupposti per la reiterazione del

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