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Il presupposto oggettivo: i gravi motivi di ordine e di sicurezza pub- pub-blica quali fenomeni di natura extra-penitenziaria

I PRESUPPOSTI APPLICATIVI DEL REGIME DETENTIVO SPECIALE

6. Il presupposto oggettivo: i gravi motivi di ordine e di sicurezza pub- pub-blica quali fenomeni di natura extra-penitenziaria

A mente del primo periodo dell'art. 41-bis comma 2 ord. penit., il regime (106) Per queste considerazioni cfr. concordemente P. CORVI, op. cit., p. 139; A. BERNASCONI,

L'emergenza diviene norma, cit., p. 296. Quest'ultimo Autore ritiene pertanto che

l'amministrazio-ne e, soprattutto, la magistratura di sorveglianza abbiano «il non semplice compito di conferire spessore ai collegamenti evitando, al tempo stesso, soluzioni di comoda acquiescenza all'equazio-ne “assenza di collaborazioall'equazio-ne uguale pericolosità del detenuto”». Egli tuttavia nutre perplessità in tal senso in quanto, da un lato, ritiene che in fase istruttoria le notizie sui collegamenti vengano stereotipate e, dall'altro, sostiene che la magistratura di sorveglianza tenda a non discostarsi da tali indicazioni.

(107) Così S. ARDITA, Il “carcere duro” tra efficacia e legittimità, cit., p. 254.

(108) L'espressione, citata testualmente, è di A. BERNASCONI, L'emergenza diviene norma, cit., p. 296.

detentivo speciale può essere applicato qualora «ricorrano gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica». Questo presupposto di natura oggettiva o “ambientale”109, già presente nella versione originaria della disposizione de qua, concorre, con gli altri requisiti di carattere soggettivo analizzati nei paragrafi precedenti, a determi-nare il perimetro operativo del “carcere duro”. Tuttavia, già i primi commentatori della norma, ebbero modo di osservare come la formula impiegata («gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica»), risultando prima facie indefinita e «di labile consistenza»110, apra le porte a valutazioni che possono presentarsi come estrema-mente opinabili, specie in mancanza di parametri d'ausilio utili nel vagliare la sus-sistenza di uno stato di concreta minaccia e allarme sociale111.

Ciò su cui non sembrano esservi dubbi è che le situazioni di ordine e sicu-rezza pubblica menzionate dalla norma alludano a fenomeni estranei all'universo penitenziario112 e quindi indipendenti dalla buona o cattiva condotta tenuta in isti-tuto dal soggetto in vinculis113. Infatti, le ragioni che hanno spinto il legislatore ad introdurre il secondo comma dell'art. 41-bis ord. penit. risiedono nella constata-zione che molti dei drammatici fatti di sangue di cui la mafia si è resa responsabile sono stati deliberati anche dai boss detenuti, assunti a veri e propri punti di

riferi-(109) Così lo definisce A. BERNASCONI, L'emergenza diviene norma, cit., p. 292.

(110) Così T. PADOVANI, Il regime di sorveglianza particolare, cit., p. 185. Nella stessa direzione v. N. DE RIENZO, op. cit., p. 102; F. GIUNTA, op. cit., p. 47; M. PAVARINI, Il trattamento dei detenuti

differenziati, cit., p. 748; R. MERANI, op. cit., p. 287. Più recentemente, sempre sulla medesima li-nea, cfr. R. DEL COCO, op. cit., p. 201; P. CORVI, op. cit., p. 138.

(111) Cfr. N. DE RIENZO, op. cit., p. 102.

(112) Cfr., tra gli altri, S. ARDITA, Il nuovo regime dell'art. 41-bis, cit., p. 6; ID., Problematiche

di prevenzione, cit., p. 4; D. PETRINI, op. cit., p. 241 e s.; N. DE RIENZO, op. cit., p. 102; F. GIUNTA,

op. cit., p. 47; F. P. C. IOVINO, Osservazioni sulla recente riforma dell'ordinamento penitenziario, in Cass. pen., 1993, p. 1259; A. MARTINI, Commento all'art. 19 D.L. 8/6/1992, in L. p., 1993, p. 212; S. F. VITELLO, Brevi riflessioni sull'art. 41-bis dell'ordinamento penitenziario nel più vasto

contesto del sistema penitenziario, in Cass. pen., 1994, p. 2865; L. BLASI, L'articolo 41-bis comma

2° dell'ordinamento penitenziario, cit., p. 266; A. LAUDATI, op. cit., p. 95; L. D'AMBROSIO,

Proro-gato il trattamento penitenziario “di rigore”, in Dir. pen. proc., 1995, p. 418; più recentemente M.

F. CORTESI, L'inasprimento, cit., p. 1077; L. FILIPPI, G. SPANGHER, Manuale di diritto penitenziario, Milano, 2011, p. 196; P. CORVI, op. cit., p. 138; L. CESARIS, sub art. 41-bis ord. penit., 2015, cit., p. 448. T. PADOVANI, Il regime di sorveglianza particolare, cit., p. 186 evidenzia come il potere del Ministro dell'interno di formulare la richiesta di sospensione accentui «il significato e la rilevanza che si è inteso attribuire a situazioni di emergenza legate alla gestione dell'ordine pubblico».

(113) Infatti, per le vicende attinenti la sicurezza interna all'istituto, l'ordinamento penitenziario predispone appositi strumenti rinvenibili nel regime di sorveglianza particolare di cui all'art. 14-bis ord. penit. e nella sospensione delle regole di trattamento di cui al primo comma dell'art. 41-bis ord. penit. Cfr. S. ARDITA, Il nuovo regime dell'art. 41-bis, cit., p. 9 e s.; ID., Problematiche di

mento per i gli affiliati ancora in libertà, spesso in attesa di ricevere ordini dai pri-mi circa la conduzione delle attività illecite, le modalità di reinvestimento degli utili, i rapporti da tenere con le altre organizzazioni114. È quindi del tutto evidente come il vulnus all'ordine e alla sicurezza pubblica che il regime speciale si incari-ca di prevenire sia riconducibile alla pericolosità e alla presenza sul territorio di compagini delinquenziali che mirano ad avvalersi del ruolo strategico svolto dal detenuto115.

Del resto, «è noto che la permanenza in carcere normalmente non recide i legami degli associati, e soprattutto dei capi, con l'associazione mafiosa»116 poiché «in determinati contesti delinquenziali, i periodi di detenzione sono accettati dai sodali come prevedibili eventualità le quali, da un lato, attraverso contatti possibili anche in pendenza di detenzione, non impediscono totalmente la partecipazione alle vicende del gruppo e alla programmazione delle sue attività e, dall'altro, non fanno cessare la disponibilità a riassumere un ruolo attivo non appena venga meno il forzato impedimento»117. Dal che ne discende l'esigenza di «garantire la colletti-vità contro il pericolo di perpetuatio delicti ad opera di soggetti posti al vertice delle organizzazioni criminali»118, capaci, in ragione del potere mantenuto, di pia-(114) S. ARDITA, Il regime carcerario differenziato ex art. 41-bis o. p., cit., p. 350 nonché A. DELLA BELLA, Il regime detentivo speciale ex art. 41-bis comma 2 o.p.: alla ricerca di un

compro-messo, cit., p. 118.

(115) S. ARDITA, Il nuovo regime dell'art. 41-bis, cit., p. 10; G. M. NAPOLI, op. cit., p. 221. Dal canto suo D. PETRINI, op. cit., p. 241 sottolinea che le situazioni di pericolo cui si rifà la norma sono situate in quei luoghi dove le indicazioni, gli ordini e le direttive dei detenuti ancora in con -tatto con l'organizzazione non devono assolutamente giungere.

(116) Così Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2006, n. 14535, Librato, in Cass. pen., 2007, p. 3229. (117) Testualmente Cass., Sez. IV, 7 dicembre 2005, n. 2893, Attolico, in CED Cass., n. 232883. In dottrina v. A. DELLA BELLA, Il regime detentivo speciale ex art. 41-bis comma 2 o.p.: alla

ricer-ca di un compromesso, cit., p. 123 e ss.; G. TONA, I reati associativi e di contiguità, in A. CADOPPI, S. CANESTRARI, A. MANNA, M. PAPA, Trattato di diritto penale, pt. spec., vol. III, Torino, 2008, p. 1116 e ss. ove si afferma che i cd. reati associativi «postulano condotte non necessariamente desti-nate ad esaurirsi prima o nel corso del processo e richiamano strutture delittuose destidesti-nate spesso a sopravvivere a lungo dopo la sanzione» dei loro associati. Si specifica, inoltre, che dati di espe-rienza riguardanti il contrasto ad organizzazioni criminali di quel tipo hanno messo in evidenza come, «data la particolare natura del vincolo mafioso, non [sia] presumibile una successiva desi-stenza del reo, anche in assenza di elementi di prova sulla prosecuzione della condotta»: come dire che, in mancanza di un'espressa dissociazione o di eventi ad essa assimilabili, viene postulata una permanenza tendenzialmente inestinguibile della partecipazione del sodale all'associazione di rife-rimento.

(118) S. ARDITA, Il nuovo regime dell'art. 41-bis, cit., p. 6; L. CESARIS, sub art. 41-bis ord.

nificarne o influenzarne l'operato dall'interno del luogo di reclusione qualora nei loro confronti non fosse disposta la sospensione delle ordinarie regole del tratta-mento.

Il compito di individuare i «gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica» è rimesso al Ministro guardasigilli, il quale è tenuto ad accertare, in concreto, la sussistenza di situazioni di minaccia e allarme sociale119. È peraltro evidente come simili valutazioni esulino dalle prerogative tipicamente riconosciute al responsabi-le del Dicastero della giustizia, postulando la costante osservazione del termome-tro della pericolosità del crimine organizzato e dunque la conoscenza diretta delle fonti investigative e di polizia che possono riferire sul suo stato di salute e sulle azioni che potrebbero essere condotte120. Deve quindi ritenersi fondamentale l'ap-porto conoscitivo degli organi impegnati nella repressione di questa forma di de-linquenza nonché, eventualmente, l'attività propositiva del Ministro dell'interno a cui, tra l'altro, compete, ex art. 14 del D.lgs. 30 luglio 1999 n. 300, la tutela del-l'ordine e della sicurezza pubblica.

In definitiva, è quindi agevole cogliere come l'art. 41-bis comma 2 ord. pe-nit. ed il regime detentivo ivi disciplinato mirino a salvaguardare la salus populi dalla (potenziale) minaccia da parte dei detenuti provenienti dal crimine organiz-zato e capaci, da dentro il carcere, di mantenere rapporti con il sodalizio operante all'esterno. L'istituto extra ordinem, nel perseguire tale obiettivo, non può tuttavia che incidere sull'ondivago rapporto che intercorre tra la necessità di tutelare i dirit-ti del singolo individuo e quella di garandirit-tire la sicurezza della colletdirit-tività: un rap-porto che, quantomeno nelle situazioni di emergenza, pare connotato da «un con-solidato stato di soggezione della prima esigenza rispetto alla seconda»121.

(119) R. DEL COCO, op. cit., p. 201; P. CORVI, op. cit., p. 138; N. DE RIENZO, op. cit., p. 102 e s. osserva come il potere dell'amministrazione si trasformi, senza soluzione di continuità, da «pura valutazione di elementi “esterni” al carcere a intervento concretamente esercitato “all'interno” del carcere».

(120) In questi termini S. ARDITA, Il nuovo regime dell'art. 41-bis, cit., p. 10. Sul punto v. anche A. LAUDATI, op. cit., p. 96.

7. I detenuti in attesa di giudizio al 41-bis: la presunzione di non

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