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Analogie tra le transizioni tedesche: le condizioni di punibilità e l’impunità in Günther Jakobs.

Parte TERZA

1. Punibilità o Impunità? Analogie e differenze tra le esperienze tedesche.

1.1 Analogie tra le transizioni tedesche: le condizioni di punibilità e l’impunità in Günther Jakobs.

Negli anni successivi al 1991, vi furono molti giuristi che si opposero alle persecuzioni penali e alle condanne dei crimini del decaduto regime DDR, su tutti si ricordano Isensee, Polakiewicz e prima di loro Jakobs. Le loro tesi non furono tenute in considerazione dai tribunali “di transizione” e furono oggetto di diverse critiche. Günther Jakobs nel 1985 elaborò la sua (probabilmente) più importante teoria, quella definita del “diritto penale

del nemico”324 secondo la quale esisterebbe un “binario parallelo rispetto al diritto penale

del cittadino” per determinati tipi di autore che, non offrendo le sufficienti garanzie cognitive, meritano sanzioni più severe. Non è questa la sede per approfondire tale tesi dello Jakobs, tuttavia è opportuno citarla al fine di trarne il particolare concetto di diritto utilizzato dall’autore e sul quale si modella anche la sua posizione relativa all’impunità dei crimini dei crimini di Stato. Secondo l’autore, l'ordinamento giuridico deve innanzitutto essere in possesso degli strumenti adeguati per orientare in maniera effettiva le scelte e i comportamenti dei membri della comunità. Ritiene, a tal fine, che le norme di un ordinamento giuridico debbano essere provviste di effettiva validità fattuale, di un adeguato “consolidamento cognitivo”, e che la loro sanzione venga riaffermata

“controfattualmente”. Sulla scorta di queste premesse, Jakobs cerca di tracciare un

parallelo tra l’esperienza post-nazista e quella post-comunista ed in linea generale afferma che, dopo il crollo di un regime, si debbono presentare tre condizioni affinché la punizione per i crimini commessi sotto quello precedente sia possibile ed ammissibile325. La prima condizione è la “Zurechenbarkeit” o “attribuibilità del fatto agli autori”, nel senso che, l’autore di un fatto avesse o potesse avere la coscienza del disvalore della propria azione; se dunque il sistema corrompe il soggetto al punto tale da fargli perdere la coscienza del disvalore compiuto, egli non potrà considerarsi responsabile dei crimini commessi.

La seconda condizione è la “Erforderlichkeit der Strafe” ossia, la “necessità della

pena” per ristabilire l’ordine violato. Infine, terza è la “Positivität” che deve rendersi

come “esistenza di un diritto positivo” (letteralmente la “positività del diritto”) che permetta la punizione dei crimini commessi sotto il regime precedente, ma intesa in un

324

Contenuta anche in G.JAKOBS, Strafrecht, allgemeiner Teil: die Grundlagen und die Zurechnungslehre, Walter de Gruyte, Berlin/New York, 1983.

325 G.JAKOBS, Vergangenheitsbewaeltigung durch Strafrecht?Zur Leistungsfaehigkeit des Strafrechts

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senso che include fondamentalmente l’irretroattività penale. Dopo aver presentato queste tre condizioni generali che potrebbero anche dirsi necessarie al fine di attuare una “transizione democratica”, Jakobs osserva nello specifico le due transizioni tedesche. In ordine alla punibilità dei crimini perpetrati dai Nazisti, sono presenti le prime due condizioni e questo dovrebbe bastare al fine di consentirne la punizione. Vanno ricordati i dubbi relativi al riscontro della seconda condizione con riferimento ai processi che vennero celebrati a distanza di molto tempo rispetto alla fine del secondo conflitto mondiale in quanto – secondo l’autore – “di punizione non vi era più bisogno alcuno

visto che il regime era ormai definitivamente caduto”.

Più complesse sono le considerazioni attinenti al terzo requisito. Durante tutto il periodo del dominio Nazista non si ha memoria di una normativa che rendesse formalmente lecito lo sterminio degli ebrei, ma d’altro canto, non si poteva tralasciare di osservare quale era il diritto effettivamente vigente. In tal senso, va ricordato che anche un

“Führerbefehl”(ordine del Führer) aveva valore quale fonte del diritto seppur – come

ricorda Fornasari – vi era un vivace dibattito in dottrina su quale valore attribuire a tale “ordine”, in quanto, non vi era alcuna legge che lo qualificava come fonte del diritto, tuttavia nella prassi, perché questo potesse essere vincolante, non vi era nemmeno un obbligo di pubblicazione.326 Orbene, pur considerando lo sterminio degli ebrei scriminato da un Führerbefehl, non si ha certezza sul fatto che Hitler avesse emanato un ordine in tal senso. Seppur vi furono diverse testimonianze al processo di Norimberga, l’unico atto tangibile, seppur a contenuto non totalmente chiaro e specifico, fu quello riguardante la cc.dd. “soluzione finale” che doveva riferirsi allo sterminio di quella parte della popolazione ebraica deportata nei campi di concentramento e sottoscritto da Hitler, Göring ed Eichmann. Jakobs riteneva però che, oltre a non esserci riscontri concreti sull’esistenza di un ordine di Hitler con ad oggetto lo sterminio degli ebrei, non si poteva sostenere neppure la tesi secondo cui tali ordini erano da considerarsi nulli in quanto posti in violazione dei diritti fondamentali dell’uomo: “un ordinamento giuridico deve essere

valutato nella sua globalità e non può disconoscersi il valore di fonte normativa ad un singolo atto che in tale ordinamento si innesta”327

. Il risultato al quale giunse l’autore fu

che i crimini commessi sotto il regime Nazista normalmente non potevano essere soggetti a pena, ma se il legislatore avesse deciso di sospendere eccezionalmente l’efficacia del

326 G.FRONASARI, I principi del diritto penale tedesco, Cedam, Padova, 1993. Va comunque ricordato

che il dibattito dottrinale trovò soluzione nel senso di riconoscere il valore di fonte del diritto per gli ordini del Führer v. ROESEN, Rechtfragen der Einsatzgruppen-Prozesse in NJW, 1964, p.133 ss.

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divieto di retroattività della legge penale, avrebbe potuto applicare le pene previste per tali crimini nel nuovo Stato Democratico.

Con riferimento all’esperienza post-comunista, Jakobs afferma che nessuna delle “sue” condizioni è da ritenersi integrata. In tal senso, parte dall’obiezione di fondo, della positività del diritto DDR e quindi dell’impossibilità, per la Germania unificata, di superare il principio di irretroattività. Tale ricostruzione è “strettamente giuspositivista”: il punto di partenza sono le disposizioni dello Schießbefehl che giustificano l’uso delle armi da parte delle guardie di frontiera. Per tale, in quanto giustificati, (con riferimento specifico al §27 Grenzgesetz der DDR) gli autori dei fatti non possono essere punibili. Le valutazioni “sovrapositivistiche”, in relazione all’entità e alla natura dei diritti violati, non bastano a fondare una punizione secondo criteri giuridici. I fatti commessi nella Germania dell’Est fino al 1989 vanno valutati alla stregua delle disposizioni di “diritto penale internazionale” contenute nel codice penale della Germania Federale. Di conseguenza, sono da ritenersi punibili soltanto quei fatti che già lo erano secondo le disposizioni del codice penale federale (e con ciò si allude chiaramente a una punibilità ai sensi del diritto penale internazionale della BRD). Alla luce di ciò, Jakobs sostiene che:

“proprio la rinuncia ai procedimenti penali per i crimini compiuti nella DDR rappresenterebbe la testimonianza che questo regime appartiene ad un passato ormai definitivamente superato” e questo perché “lo Stato di diritto non esercita vendetta e non può agire sulla base dei pur giusti sentimenti delle vittime”.328

Nel riprendere il discorso antecedentemente fatto circa i modelli di “Transitional Justice” si potrebbe dire che Jakobs tende a “ripudiare” il modello punitivo incentrato

sulla retroattività delle sanzioni, la quale – secondo le già citate parole di Donini – “è tipica degli ordinamenti totalitari”. Tuttavia, si è dimostrato che al fine di superare questo modello “estremo” e “vittimocentrico”, non si può optare per la soluzione diametralmente opposta del “colpo di spugna” – che a ben vedere è quanto propone l’autore – perché non si realizzerebbe nessuna della finalità fondamentali della transizione. Se da un lato è infatti vero che si tende a “superare il passato” al fine di aprire alla nuova “era democratica”, dall’altro, tale superamento non può avvenire attraverso una “fredda” imposizione delle garanzie dello Stato di diritto, ma – come più volte sottolineato – attraverso la creazione di un animus che possa essere comunemente accolto da tutti i “protagonisti della transizione”.

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Questa, come si avrà modo di vedere, è soltanto una delle diverse critiche che possono esser mosse alla tesi dell’“impunità” propagandata dallo Jakobs, che nonostante ciò non desistette successivamente (dopo la pubblicazione delle prime sentenze del 1992 del BGH) dal sottolineare la sua posizione secondo cui “la punizione degli omicidi al muro

da parte della giurisdizione dello Stato unificato è assolutamente illegittima”.329

Dottrina e giurisprudenza degli ultimi anni avevano abbandonato – secondo questa nuova ricostruzione di Jakobs – l’idea di qualificare la DDR come “Inland” e di conseguenza di riguardare alle questione della Germania “all Grenze”. Poste le motivazioni precedentemente addotte, va dunque aggiunto che i tribunali della Germania unificata, stavano cercando di “arrogarsi” competenze non proprie andando a giudicare di fatti compiuti in uno Stato che era a tutti gli effetti “Sovrano” nel momento in cui tali fatti avvennero. In questo senso l’offensiva di Jakobs nei confronti dell’operato dei tribunali della “seconda transizione” tedesca fu pesante in quanto egli affermò che in uno Stato dove si puniscono retroattivamente dei fatti avvenuti in un altro Stato che all’epoca degli stessi era sovrano, “il diritto giusto non ha tutela per definitionem” inoltre “una punizione

non può pretendere di fondarsi sul diritto naturale, come avverrebbe esigendo di applicare la formula di Radbrcuh”.330 L’autore si interroga allora sulla possibilità – come proposto da Pieroth – di derogare al principio di irretroattività aggiungendo un riferimento costituzionale in tal senso modellato sull’Art.7/co.2 CEDU. Tale soluzione in linea generale non è da escludersi, tuttavia non può essere in alcun modo considerata per il caso di specie perché “i processi istaurati contro simili personaggi rappresentano un

tipo di reazione che non ha a che fare né con compiti di prevenzione generale né con un diritto penale proprio dello Stato di diritto e fondato sulla colpevolezza.”

In questo senso Jakobs torna al punto di partenza, in quanto, al fine di dare un riscontro alla sua “pretesa impunità”, traccia un parallelo tra l’esperienza di transizione post- comunista e la sua teoria del “diritto penale dei nemico” affermando in tal senso che i tribunali tedeschi non stavano punendo determinati “tipi di individui” in quanto responsabili, bensì in quanto facenti parte di uno specifico tipo di “autore” che, per le sue peculiari caratteristiche, va considerato alla stregua di un nemico dell’ordinamento.

329 Tale posizione ancora più decisa viene assunta in G.JAKOBS, Untaten des StaatesUnrecht im Staat.

Strafe fuer die Toetungen an der Grenze der ehemaligen DDR? in Goltdammer’s Archiv, 1993, p.1 ss.

330

Nell’affermare questa tesi, Jakobs – secondo quanto riporta Vassalli – cita un passo di Thomasius: “Cave tamen, ne putes, legem naturalem et humanam esse species eiusdem naturae. Lex naturali set divina magis ad consilia pertinet, quam ad imperia, lex humana proprie dicta non nisi de norma imperii dicitur”.

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