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La giurisprudenza di legittimità del BGH e del BVerfG In particolare la

Parte SECONDA

LA TRANSIZIONE TEDESCA POST-UNIFICAZIONE E L’APPLICAZIONE DELLA FORMULA DI RADBRUCH AL DIRITTO PENALE.

2. La Transizione Post-Unificazione: I processi per gli “omicidi al muro di Berlino”.

2.2 I processi per gli omicidi dei fuggitivi al muro di Berlino 253

2.2.4 La giurisprudenza di legittimità del BGH e del BVerfG In particolare la

sentenza Bundesgerichtshofes del 3 novembre 1992.

Il contrasto interpretativo verificatosi nella prima giurisprudenza di merito, aveva suscitato una particolare attesa per una pronuncia definitiva di legittimità e questa non si fece attendere. Nel percorso che segue si farà riferimento ad alcune decisioni incorporanti storici principi enunciati dal BGH o Corte federale di Cassazione e dal BVerfG o Corte Costituzionale federale (con sede a Karlsruhe).

L’attesa – per conoscere quale “soluzione” avrebbe adottato la Corte Suprema – da parte della dottrina, era trepidante. Infatti, come visto, le strade imboccate dal Landgericht di Berlino nelle pronunce del 20 gennaio e del 5 febbraio del 1992 era diametralmente opposte per quanto avessero entrambe portato a pronunce di condanna degli imputati. Dalla scelta in tal senso del BGH dipendeva la “responsabilità penale degli organi di vertice della disciolta DDR”: se fosse prevalsa la tesi secondo cui le norme dello “Schießbefehl” erano conformi ai principi dello Stato di diritto (quindi quella della

Jugendkammer) sarebbe stato molto difficile configurare una responsabilità penale in

capo agli organi politici della DDR e, di conseguenza, gli unici responsabili sarebbero rimasti gli esecutori materiali.

La decisione in questione venne emanata dal Bundesgerichtshofes il 3 novembre 1992291 e con essa venne rigettato il ricorso proposto dagli imputati condannati con sentenza della

Jugendkammer del Landgericht Berlin del 5 febbraio 1992. Al di là del dispositivo, “il

punto centrale della sentenza fu la vexata questio circa l’applicabilità della causa di giustificazione di cui al §27 Grenzgesetz der DDR”292

ed in tal senso si ripropone l’interrogativo: le norme della DDR sono così “intollerabilmente ingiuste” da essere

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Come si può leggere anche dal passaggio centrale di tale legge del 26.03.1992 sui crimini commessi dalla DDR: “Nel computo del termine di prescrizione, per la prescrizione di fatti che furono commessi durante il dominio del regime di non diritto della SED, ma che sono rimasti impuniti in conformità della volontà espressa o presunta dalla direzione dello Stato o del partito dell’ex DDR per motivi politici o altrimenti incompatibili con i presupposti essenziali di un libero ordinamento proprio di uno Stato di diritto, il periodo dall’11 ottobre 1949 al 2 ottobre 1990 rimane fuori considerazione. In tal periodo la prescrizione non ha operato.”

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BHG, 03.11.1992 in Neue Jurisdische Wochenschrift, 1993, p.141 ss.; ed anche in Entscheidungen des BGH in Strafrecht, p.39,1,16 ss.

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considerate prive di efficacia vincolante? Di riflesso, nel contrasto tra Certezza del diritto e Giustizia, quale dei due valori prevale? La soluzione elaborata dal BGH si prestò a diverse polemiche, ma viene ancora oggi ricordata come “epocale”.

In primo luogo, la Suprema Corte ritiene – con riferimento alla immunità giudiziaria di diritto internazionale seguente il principio “par in parem non habet judicium”293

– che la

“act of State doctrine” non è riconosciuta come regola generale di diritto internazionale

ai sensi dell’Art.25 della Costituzione tedesca. Inoltre – riprendendo la pronuncia del Landgericht Berlin del 20 gennaio 1992 – rileva che gli imputati non godevano di alcuna immunità in virtù del diritto internazionale dato che la DDR era ormai da considerarsi estinta.294

Il nodo cruciale della pronuncia è però rappresentato dalla volontà della Corte di ispirarsi alla “Unerträglichkeitsformel” di Radbruch, e, nel farlo, afferma l’esistenza di concreti

punti di riferimento per verificare l’intollerabile contrasto. Il riferimento in questo

senso era chiaramente alle Convenzioni internazionali sui diritti dell’uomo, il Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966 (al quale la DDR aveva aderito) con riferimento specifico agli Artt.6 e 12 del Patto del 1966 che sanciscono, rispettivamente, il “diritto alla vita” e il “diritto di espatrio”. Nel constatare ciò, il BGH riscontrava il contrasto della legislazione DDR dello “Schießbefehl” rispetto ai principi più elementari di giustizia e con i diritti fondamentali dell’uomo “quantomeno per il modo con cui essa

è stata interpretata ed ha vissuto nella prassi di quel paese”.295

Il §27 Grenzgesetz der DDR, così come interpretato e applicato dalla prassi di Stato, non dava base ad una valida causa di giustificazione : nel conflitto tra il bene giuridico del diritto alla vita e quello dell’integrità delle frontiere , la legge della DDR e la relativa prassi di Stato intravedevano nell’impedimento dell’espatrio non autorizzato un interesse di rango superiore rispetto a quello della salvaguardia della vita; tale “inaccettabile”

293

“Par in parem non habet iudicium (o imperium)”, principio secondo cui uno Stato non deve farsi giudice dell’autorità di uno Stato diverso. Così in G.FORNASARI, Giustizia di transizione e diritto penale, Giappichelli, Torino, 2013, p.52.

294 Secondo la ricostruzione di R.MUHM, op.cit. in Indice Penale, 1994, p.636. 295

Sotto questo profilo la legislazione DDR viene considerata come “urto coi principi fondamentali dell’umana convivenza consacrati in dichiarazioni e trattati internazionali che riconoscono tra i diritti fondamentali quello dell’espatrio, e segnatamente con il Patto Inter. Sui diritti civili e politici del 1966, al quale la DDR accedette nell’anno 1974 depositando nel novembre di detto anno gli strumenti di ratifica”. Vassalli ricorda inoltre che tale Patto entrò in vigore nel 1976, ma la DDR trascurò di introdurre nella propria legislazione le modificazioni imposte da talune clausole, Tale omissione non ha valore - secondo il BGH- in quanto basta già la ratifica per far si che i propri cittadini possano usufruire del diritti compresi nel Patto: tra questi figura ai sensi dell’articolo 12/co.2 il “diritto di poter lasciare qualsiasi paese compreso il proprio”. Secondo la ricostruzione di G.VASSALLI, Formula di Radbruch e diritto penale, op.cit., 2001, p.99.

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motivazione scriminava il comportamento delle guardie. Tale causa di giustificazione dunque “deve considerarsi inefficace e non può essere presa in considerazione”.

A questo punto però, la Corte si “prodiga” nello sviluppare un passaggio apparentemente superfluo. Nello specifico essa si pone l’interrogativo ulteriore se, a prescindere dalla “dichiarazione di nullità delle norme dello Schießbefehl, la condotta degli imputati potesse considerarsi, ugualmente, antigiuridica. In tal senso la Corte aggiunge che: “tale

tipo di nullità deve essere ammessa solo in casi estremi” – inoltre – “una causa di

giustificazione, considerata come tale al momento del commesso reato, può venire disapplicata unicamente nel caso in cui rappresenti una violazione delle norme di diritto di rango superiore, e più particolarmente dei principi di giustizia e di umanità”.

In altri termini, una norma positiva del legislatore statuale può venire disapplicata solamente nel caso in cui rappresenti una violazione delle norme di rango superiore – ossia dei principi di giustizia e di umanità – e una simile violazione deve essere di entità tale da contrastare la opinio juris comune a tutti i popoli e a tutte le nazioni in merito al valore della dignità umana. Il conflitto tra certezza del diritto e giustizia – per essere risolto in favore della seconda – deve essere talmente “intollerabile” da imporre l’esigenza che la legge positiva “ingiusta ed erronea” sia soppressa.296

La Corte arriva alla medesima soluzione seguendo due distinte vie: da una parte afferma la nullità della legge DDR in quanto contrastante con i principi e le normative di diritto internazionale e dall’altra afferma che, anche a voler considerare “valida” tale legge, questa raggiunge un grado di ingiustizia così intollerabile da perdere qualsiasi efficacia vincolante in favore della giustizia. In altri termini, sia in considerazione dei principi del diritto di natura, sia in base ad una interpretazione conforme ai diritti umani della normativa vigente nell’estinta DDR. Le guardie di frontiera hanno commesso fatti illeciti. A questo punto rimane un ultimo importante interrogativo di fondo, anch’esso non trascurato dal Bundesgerichshofes: Tale giurisprudenza, viola il principio di cui al

§103/co.2 della Costituzione tedesca?

Il principio a cui si fa riferimento è ovviamente quello del nullum crimen sine praevia

lege scripta o “principio di irretroattività” penale. In tal senso, la Suprema Corte nega

ogni possibilità che questo possa ritenersi violato dal riconoscimento della punizione dei suddetti crimini: “le cause di giustificazione sottostanno alla tutela costituzionale

dell’irretroattività della legge penale, dato che la differenza tra fattispecie e causa di liceità è di natura essenzialmente tecnica”. Il divieto di retroattività penale ha il

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fondamentale compito di “tutelare il cittadino dall’arbitrio del legislatore”. Non è certamente questo il caso in esame dove i soggetti hanno commesso dei fatti “in assenza” di una causa di giustificazione e quindi “antigiuridici già al momento della loro

esecuzione”. La tutela fornita dal principio di irretroattività, in altri termini, non sussiste

nel caso in cui una norma penale fosse stata interpretata in modo non conforme ai diritti umani in virtù della preminenza del “überpositives recht” (che è conveniente tradurre come “diritto di natura”).297

Di conseguenza:“non può considerarsi arbitrario giudicare ora in base a criteri

interpretativi i quali avrebbero dovuto essere sviluppati già all’epoca dell’ex DDR”.298

Negli anni successivi la produzione del BGH fu ampia e si rivolse a riaffermare e approfondire i temi messi in evidenza in questa prima pronuncia. Da ricordarsi è sicuramente la sentenza Bundesgerichtshofes del 25 marzo 1993299 destinata alla

confutazione delle impugnazioni relativa alla pronuncia del Landgericht di Berlino del 20 gennaio 1992. Della appena esaminata pronuncia del 3 novembre 1992, questa seconda condivide soprattutto la parte in cui la legislazione della DDR dello Schießbefehl viene considerata “inesistente”. L’elemento di novità consiste invece nella mancanza di riferimenti a questioni di “überpositives recht”. E’ bene ricordare che con questa sentenza il BGH ha parzialmente annullato la pronuncia del 20 gennaio del Landgericht Berlin.

Nel 1994 abbiamo altre pronunce che oltre a confermare le precedenti linee di pensiero, le rimarcano in maniera decisa. Con ciò si fa riferimento a: Bundesgerichtshofes del 18

gennaio, del 19 aprile e del 26 luglio 1994300.

297 In base a questa ricostruzione, non appare inoltre difficile riscontrare una certa ambiguità nelle

deduzioni argomentative della dottrina maggioritaria tedesca qualora intenda inficiare la validità della nozione dei crimini contro l'umanità riferendosi al principio nullum crimen, nulla poena sine lege in ambito di diritto internazionale. Questo atteggiamento è una reiterazione delle critiche mosse all'assetto giuridico del processo di Norimberga, senza prendere in considerazione il fatto che al contrario, in ambito di diritto interno, le stesse Alte Corti della Repubblica Federale di Germania disapplicano il precetto dell'art. 103, comma 2 della Legge Fondamentale in base al diritto naturale. Così in R.MUHM, La natura giuridica dei crimini contro l’umanità e le attuali critiche in Germania in RIDPP, 1997, p.256 ss.

298 Schroeder osserva che la soluzione del BGH può considerarsi compromissoria in quanto “tenta di

conciliare le diverse soluzioni interpretative accolte dal Landgericht di Berlino” ma “da ciò derivano alcuni aspetti di contraddittorietà ed incoerenza”. Per approfondire la critica F.C.SCHROEDER, Die Rechtswidrigkeit der Fluechtlinngserschiebungen zwischen Tranzendenz und Immanenz in Juristische Rundschau, 1993, p.45 ss.

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BGH, 25.03.1993 in Neue Juristische Wochenschrift, 1993, p.1932 ss.

300 BGH,18.01.1994 in Neue Juristische Wochenschrift, 1994, p.2237 ss.; BGH, 19.04.1994 in NJW, 1994,

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Nelle prime due, la Suprema Corte si occupò del problema della prescrizione tenuto conto che nel frattempo era intervenuta la legge del 26 marzo 1993 che in breve affermava la sospensione del termine (il termine doveva considerarsi “non decorso”) per

i fatti avvenuti durante il regime di Unrechtstaat della SED e che erano rimasti impuniti.

Le sentenze in questione denotano le difficoltà nell’applicazione concreta di questa legge alla luce del fatto che il termine di prescrizione per gli avvenimenti ad oggetto dell’imputazione era da considerarsi ampiamente decorso. Si arrivò così a “negare” due precedenti, nonché controversi, orientamenti: quello di cui al §2/co.3 della Costituzione che richiamava all’applicazione della legge più mite e venne inoltre ribadito che “le

norme sulla prescrizione sono anzitutto di diritto processuale”. Tali sentenze non sono

invece granché rilevanti nel merito in quanto confermano in toto (rinviandovi) gli orientamenti già analizzati. La sentenza del 26 luglio è più particolare. Questa riguardava nello specifico l’impugnazione delle condanne inflitte dal Landgericht di Berlino a tre componenti del Consiglio nazionale di difesa della DDR. Vengono “analiticamente” rievocati i passaggi cruciali della pregressa giurisprudenza sia di merito che di legittimità, ricalcando tra l’altro la sentenza di condanna inflitta ad Erich Honecker e ai suoi complici, per aver emanato la richiamata legge del 1974 affermando che la responsabilità stava anche “nell’aver creato uno stato di terrore volto a distogliere i cittadini dal

presentare domande di espatrio”.

Orbene, dopo essersi rapportato ancora una volta ai problemi precedenti ed avere ricordato la formula di Radbruch, il BGH affronta il tema della violazione dei principi di civiltà e del rispetto dei diritti dell’uomo, ai quali la DDR dichiarava di ispirarsi. Proprio in virtù di questa “fittizia” adesione a tali principi giuridici da parte della DDR, si doveva ricavare l’invalidità delle cause di giustificazione degli omicidi al muro di Berlino e questo anche in virtù della manifesta ingiustizia stante alla base degli ordini impartiti agli esecutori che nessun tipo di indottrinamento avrebbe potuto “offuscare”.

Successivamente, in alcune pronunce rese dalla 5^ sezione del Bundesgerichthofes del

20 marzo 1995301, il BGH richiama la precedente giurisprudenza in materia

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